racconti » Racconti fantastici » Il giardino zen
Il giardino zen
Erik era un cacciatore. Non nel senso classico, però: era sì un cacciatore, ma nell’accezione più moderna del termine. Non esistevano più cacciatori, almeno per come li si intendeva fino a un dieci anni prima: era un cacciatore di carcasse. Uno degli ultimi rimasti.
Nessuno stava dietro al Messia.
Tuttavia Erik ci riusciva, anzi, lo aveva quasi raggiunto. Aveva sacrificato tutto ciò che possedeva per inseguirlo, e per non perderlo di vista aveva addirittura abbandonato la sua famiglia lungo la via. “Non c’è più speranza per noi, vai, amore mio! ” gli aveva gridato la moglie Alina e lui, senza pensarci troppo, si era lanciato all’inseguimento del Messia, che proseguiva veloce, seguito dal fumo delle foreste in fiamme.
Non avrebbe avuto senso restare con la moglie, perché se non si rimaneva al passo con il Grande Distruttore non si riusciva a sopravvivere: per nutrirsi degli avanzi dei roghi che provocava il Messia bisognava essergli a non più di qualche chilometro di distanza, altrimenti non si sarebbe riuscito ad ottenere che cenere, dal suo passaggio.
Così, un giorno lei lo baciò e gli disse: “Ferma quella bestia, tanto per me non c’è speranza, come non ce n’è stata per i nostri bambini, e per tutti gli altri”. L’aria rarefatta non le aveva concesso il tempo per dire altro, e lui era partito, intento a fermare la distruzione che si stava diffondendo nel mondo per mano del Messia, il Grande Distruttore.
Rapido come il leopardo, e paziente come la iena, Erik seppe sopportare l’attesa della vendetta. Seppe attendere che il piatto si raffreddasse al punto giusto. All’alba di un giorno che ormai quasi nessuno poteva annotare negli almanacchi, si trovò ad essere non più di cento metri da lui.
Come un seminatore in mezzo a un campo stava il Messia, ma anziché semi per far germogliare la terra, egli diffondeva sale, affinché nulla potesse ricrescere dopo il suo passaggio, dopo aver bruciato per sempre la speranza della vita, rappresentata dal verde dell’erba...
Appostato dietro alla carcassa di un grosso animale, Erik pianificò il suo approccio al Messia, che gli dava le spalle, tutto intento a cospargere il sale. Dopo aver preso quel che rimaneva di commestibile della carne bruciata del povero mammifero, Erik preparò all’uso il suo grosso pugnale da caccia, ed atteso il momento opportuno si lanciò sull’unica preda vivente che gli fosse capitata da una anno a quella parte.
Una preda che avrebbe reso molto, soprattutto dopo la sua morte.
Il Messia indossava una grossa maschera antigas – per salvarsi dal fumo provocato dai roghi – e molta gente aveva fantasticato sul suo aspetto. C’era chi diceva fosse un mediorientale, altri credevano fosse di origine africana… ma era probabile che fosse meticcio, come la maggior parte degli esseri umani nel ventiquattresimo secolo: sta di fatto che nessuno mai lo aveva visto senza quella maschera.
A grandi passi Erik si avvicinò a lui. Finalmente, dopo tanto tempo passato a rincorrerlo.
Una volta raggiuntolo alle spalle, Erik lo prese e gli appoggiò la lama affilata al collo:
Finalmente ti ho preso, maledetto – gli disse.
Il Messia si voltò sorpreso, si tolse la maschera. Si rivolse ad Erik:
Avete bisogno, signore?
Inutile sottolineare l’espressione di sorpresa che andava delineandosi sul volto di Erik. Non tanto per l’aspetto del Messia – era un normalissimo vecchietto dai tratti asiatici, occhiali rotondi e rughe intorno agli occhi a mandorla -, bensì per la tranquillità che lo permeava. Che quel vecchietto stesse compiendo un atto disdicevole, questo Erik lo sapeva benissimo, ma il fatto che non lo turbasse affatto l’esser stato colto in flagrante, beh questo era davvero molto strano. Possibile che il Messia non si sentisse in colpa nemmeno un po’ per quanto stava compiendo? Erik non era uno che si perdeva in ciance, e quindi in genere badava alla sostanza dei fatti, ad un rapido risolversi delle questioni, ma rimase attonito di fronte a quanto aveva davanti a sé. Di fronte a tanta spudoratezza. Tra i due, quindi, fu il Messia il primo trovare le parole:
C’è qualcosa che non va?
Ti ammazzo figlio di un cane!!! – inveì Erik senza badare a cosa avesse appena detto il Messia
Cosa?
Come cosa!? Bruciare tutto, uccidere ogni essere vivente. Lei sta distruggendo il pianeta! La mia famiglia è stata annientata dalla carenza di cibo, questa è la fine del mondo!!! – disse Erik. Il Messia pareva non capirlo.
Il vecchietto restò sorpreso di fronte al modo con cui vennero proferite le parole di Erik. Egli pareva assolutamente consapevole e convinto di quello che stava facendo. La mancanza di aria faceva sì che lo scambio di parole fra i due fosse inframmezzato da lunghe pause, dedicate al recupero di ossigeno.
Il cuore di Erik era pieno di odio nei confronti dell’Assassino, ma la calma del Messia pareva avere il potere di convincere il giovane cacciatore a riflettere. Egli infatti stava frenando la sua mano, che era in procinto di vibrare un colpo in grado di far terminare quel processo di distruzione della natura e del mondo.
Il loro dialogo era formato da sguardi ed espressioni, più da parole. Da atteggiamenti, non da attribuzioni di peso ad unioni più o meno fasulle di suoni.
Povero Erik. Non sapeva che quella distruzione era completamente legale e voluta dagli uomini. Non sapeva che il genere umano aveva deciso di redimersi al cospetto di Dio. L’evoluzione della civiltà aveva raggiunto livelli tali da bandire la caccia e la raccolta. La misericordia tanto a lungo inseguita aveva finalmente bussato alla porta del mondo, e vi era entrata dalla porta principale. Vi era entrata di diritto.
Tutti gli esseri della terra erano uguali. Anche i più piccoli, e nessun altro essere doveva sentirsi in diritto di togliere la vita ad un altro.
Tuttavia, se gli uomini avevano raggiunto un accordo, purtroppo gli altri animali non prestavano ascolto a questa legge, e continuavano a commettere omicidi: i lupi azzannavano gli agnelli, i gatti sbranavano i topi… non pareva esserci verso di ottenere giustizia, se non questo, per cui il Messia era venuto, secondo alcuni anzi tornato, tra gli uomini. Per la prima volta nella storia, almeno per quanto la memoria ci possa assistere, gli esseri umani porsero la guancia, e cominciarono a morire volontariamente di fame. Tuttavia, non sarebbe stato giusto lasciare che gli animali si uccidessero tra loro, così un Eletto, il Messia, avrebbe trasformato il mondo in un grande deserto, laddove Dio avrebbe finalmente smesso di assistere a omicidi, e avrebbe potuto contemplare il silenzio.
Ma questo non poteva saperlo, il povero Erik. Il suo popolo era rimasto a lungo nelle viscere della terra, ad attendere che il ghiaccio che li aveva imprigionati si sciogliesse, ed ora che si attendevano una nuova vita, solo la sabbia li aveva accolti. Nessuno conosceva la loro lingua, e nessuno parve mai interessato a sapere con esattezza chi fossero. La sua pelle bianchissima non poteva reggere a lungo i raggi del sole, ed in quel mentre cadde a terra privo di sensi. Il Messia gli riservò uno sguardo compassionevole, e dedicandogli un pensiero lo gettò fra le creature redente dal rogo. Le alte fiamme abbracciarono il corpo del grande cacciatore, come la convinzione di essere nel giusto riscaldava il cuore del Grande Distruttore, del Messia, dell’Assassino.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0