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Missione mortale
Aveva un sorriso raggiante. Capelli castani mossi e occhi scuri giganti.
Lo incontravo tutti i pomeriggi alla fermata del pullman.
Se ne stava lì con la sua tracolla, e il giornale del Politecnico in mano. Ecco, quella era l'unica informazione che possedevo: sapevo che con molta probabilità era uno studente del Politecnico di Torino.
Quel giorno sembrava agitato. Continuava a fissare l'orologio e a guardarsi in giro.
Avrei voluto avere il coraggio di farmi avanti, ma non ero mai stata intraprendente.
Una volta sull'autobus, presi posto in uno dei sedili davanti; guardai fuori del finestrino. Ero intenta a fissare quel cielo così grigio che prometteva pioggia e conciliava il sonno, quando mi sentii toccare una spalla.
“Scusa? ”
Mi voltai: era lui.
“Sì? ”
“Scusa, puoi dirmi che ore sono? ”
Risi sotto i baffi: ok, era un tipo che ci stava provando. L'orologio ce l'aveva, avevo visto che leggeva l'ora pochi minuti prima di salire sul pullman.
Risposi: “Sono le cinque e mezza. ”
“Grazie. ”
Io sorrisi e di rimando indicai il suo polso: “Cos'ha il tuo che non va? ”
Lui balbettò qualcosa d'incomprensibile. Poi mi tese la mano e si presentò: “Massimo. ”
“Caterina”
“Non vorrei che tu pensassi che sono uno che abborda le ragazze sui pullman... ”
“Oh no! Perché dovrei? ”
Si toccò il capo e commentò. “Ho fatto una figuraccia, vero? ”
Anche se ero maledettamente diffidente, lì per lì mi venne da ridere.
“Non fa niente, tranquillo! ”
Quella fermata caricò un numeroso tot di anziani e di conseguenza mi alzai per lasciargli il posto. Sì, perché se poi non lo fai, s'incazzano e ti guardano male. Tanto vale...
Mi spostai e Massimo mi seguì.
Non so dove trovai il coraggio per domandargli: “Vai al Politecnico? ”
Lui inclinò il viso e socchiuse gli occhi: “Come lo sai? ”
Indicai il giornale che teneva in mano.
Lui seguì il mio sguardo e sorrise.
“Sì, sono un assistente di un docente di chimica. ”
Mostrai il mio stupore. “Sembri giovanissimo, credevo fossi un frequentante. ”
In quel momento due uomini vestiti di nero salirono sull'autobus e si diressero verso di noi.
Massimo mi si avvicinò e quasi sfiorandomi il viso, disse: “Scusami. ”
Io lo fissai senza capire. “Scusa per cosa? ”
Mi prese per mano e scavalcammo la folla che si era venuta a creare.
“Vieni! ”
“Ora non prenderti confidenze! ”
Ma lui mi trascinò contro voglia giù dall'autobus.
“Non è la mia fermata! ”
“EHI VOI! ” gridò uno.
Ci voltammo entrambi di scatto. Una volta a terra, Massimo mi disse: “Portala in salvo. Alla biblioteca storica, via Bogino, chiedi di Luisa. Lei saprà come aiutarti. ”
“Ma di che cosa stai parlando? ” domandai sempre più spaventata.
Massimo si guardò indietro e vide i due uomini venirci in contro. Mi spinse e gridò: “VAI! SCAPPA! ”
I due uomini cominciarono a correre, uno in direzione di Massimo, l'altro nella mia.
“Oh merda! ” esclamai.
Mi misi a correre senza pensarci due volte. Indossavo gli anfibi e un cappotto un po' lungo che m'intralciava la corsa, ma non avevo scelta. O correvo o morivo.
Corsi per un lungo tratto. Poi ricordai quello che mi ripetevo quando vedevo i film con gli inseguimenti: appena puoi, svolta, non correre sempre dritto.
Così feci: non appena possibile, girai a sinistra. Feci un altro tratto, e mi nascosi dietro un vecchio furgone.
Dalla mia visuale, potevo scorgere le scarpe del tizio che mi aveva seguito.
Lo vidi fermarsi davanti il furgone, e girare su se stesso.
Ero talmente spaventata che avevo paura che quell'uomo potesse sentire il mio respiro affaticato. Mi portai così entrambe le mani davanti alla bocca e attesi.
Dopo qualche secondo, vidi quel paio di scarpe allontanarsi.
Aspettai ancora diversi minuti prima di uscire allo scoperto. Mi alzai e uscii in strada. Faceva freddo e non sapevo cosa stesse succedendo.
Misi le mani in tasca e vi tirai fuori una chiavetta.
“E questa? ”
Poi mi vennero in mente le parole di Massimo. Era questo che i due tizi cercavano.
Che cosa nascondeva all'interno di così importante da farci inseguire?
Aveva detto che sarei dovuta andare alla biblioteca storica di via Bogino.
Ma perché avrei dovuto? Io in tutta quella storia non c'entravo nulla: che se la sbrigasse da solo. Avrei chiamato la polizia e gli avrei spiegato il tutto.
Stavo incamminandomi quando ripensai a Massimo: e se non fosse riuscito a scappare? Se gli fosse successo qualcosa e avessi dovuto recapitare a quella Luisa di cui mi parlava, il contenuto della chiavetta?
Sbattei un piede per terra e a denti stretti dissi semplicemente: “Cazzo! ”
Sbuffai con la consapevolezza che mi sarei di sicuro messa nei guai. Anzi, ci ero già nei guai.
Mi guardai attorno e fissai la via dove mi ero cacciata.
Erano le sei del pomeriggio ed era già buio.
“Perfetto! ”
Presi nuovamente il pullman e raggiunsi la piazzola dove parcheggiavo la mia auto.
La recuperai e mi recai alla biblioteca. Erano le sei e mezza e tra una mezz'ora avrebbe chiuso.
Mi affrettai ad entrare, e una volta al bancone chiesi di Luisa.
“Cosa cerchi da lei? ” mi chiese con tono diffidente.
Arricciai la fronte e cercai di mantenere la calma. “Massimo mi ha detto di cercare Luisa alla biblioteca storica. Sei tu Luisa? ”
Il suo viso si distese. “Sono io. Lui sta bene? ”
“Non lo so. ”
Annuì e mi disse: “Da questa parte. ”
La seguii in una sorta di retrobottega, ma misi le cose in chiaro. “Senti... sono venuta qui perché mi sembrava molto spaventato e ho voluto dargli una mano, ma adesso voglio tirarmene fuori. ”
“Ti ha dato la chiavetta? ”
“Sì. ”
Frugai nella borsa e gliela porsi.
“Ecco. Tutto quello che mi ha chiesto di fare, l'ho fatto. Quindi se non ti dispiace, io me ne vado. Ciao! ”
“Aspetta! ”
Mi fermai.
“Non te ne puoi andare. ”
Io sorrisi di scherno e mi voltai.
“Sì che posso. Varco la soglia e me ne vado a casa. Semplice. ”
“Il tuo compito non è ancora finito. ”
“Il mio compito? ” domandai scettica.
“Se hai rischiato di venire fino qui vuol dire che hai fegato, e se Massimo ha fatto affidamento su di te, sapeva che l'avresti fatto. ”
Esitai nel rispondere. Non sapevo bene cosa dire.
“Il tuo Massimo non mi conosce. Ha trovato un approccio da idiota per parlarmi e mi ha messo a tradimento la chiavetta nella tasca del cappotto. ”
“Questo non cambia le cose. ”
Io sospirai.
“Non voglio guai! Ora sono più chiara? ”
“Be'... se non volevi guai, saresti dovuta andare dritta per la tua strada, e invece non l'hai fatto. Di questo te ne sarò eternamente grata. ”
Camminò fino a raggiungere un computer e a trafficarvi.
“Si può sapere cosa contiene quella chiavetta? ”
Luisa parlò senza voltarsi: “Massimo lavora al Politecnico, è un ricercatore di chimica. Durante le sue ricerche ha scoperto sostanze chimiche mortali rilasciate dentro le acque del Po. La compagnia che le inquina l'ha scoperto e gli danno la caccia. La chiavetta che ti ha dato, è la prova. ”
“Sostanze chimiche di che genere? ” domandai avvicinandomi.
“Diossine, sostanze riconosciute cancerogene per l'uomo e per gli animali. Sostanze che vanno dalla IARC alla TCDD. Bisogna proteggere la chiavetta e portarla alla polizia. ”
“Se bisogna portarlo alla polizia perché mi ha detto di venire qua? Sarebbe stato molto più facile. ”
“Perché dovevo dirti il nome del poliziotto al quale devi rivolgerti. È un amico di cui mi fido ciecamente. Si chiama LaRusso. Commissariato di Via Racconigi” concluse restituendomi la chiavetta.
Vi fu un momento di silenzio. La fissai indecisa. Poi la presi, e la misi in borsa.
“Quale impedimento hai? Non puoi andarci tu? ”
D'un tratto udii una voce maschile.
“Temo che nessuno di voi, potrà. ”
Mi voltai di scatto e così fece anche Luisa.
I due tizi vestiti di nero se ne stavano in piedi con le armi puntate contro di noi.
“Datemi quei dati, o via ammazzo. ”
“Sta mentendo” esordì Luisa. “Ci ucciderà comunque. Non dargli niente. ”
Sentii il cuore in gola e non sapevo come comportarmi.
L'uomo mirò al computer e sparò un colpo.
“Subito, e non è un consiglio” scandì.
“E va bene” disse Luisa.
Raggiunse il mobiletto e aprì un cassetto. Quando si avvicinò al tizio che aveva parlato, disse mostrando un CD. “Ecco quello che volete. Ora andatevene. ”
L'uomo lo prese e sorrise.
“Noto con piacere che hai smesso di fare la dura. ”
Dentro di me pensai a quello che avevo appena visto. Luisa aveva dato a me la chiavetta con i dati, e allora capii cosa stava facendo trafficando col computer prima: una copia.
“Adesso fuori di qui! ”
I due uomini sorrisero.
“La mamma non ti ha mai detto di non fidarti degli sconosciuti? ” esordì uno.
Luisa arricciò la fronte. Poi d'un tratto si sentì un rombo assordante che mi fece mancare il respiro.
Stava tenendosi il ventre insanguinato e tremava. Poi cadde a terra.
Nel momento in cui vidi puntarmi le armi contro, mi fu istintivo difendermi. Due calci dritti nei rispettivi inguini. Poi mi rimisi a correre, ma una volta fuori, e prima di raggiungere l'auto, qualcuno mi venne addosso facendomi cadere.
Col viso rigato di lacrime per lo spavento e la paura della situazione, gridai: “CAZZO, STAI ATTENTO! ”
Lo guardai.
“Massimo? ”
“Stai bene? ”
“Sali in macchina! ” gli urlai.
Un proiettile raggiunse lo specchietto del passeggero. Girai la chiave, misi la prima e partii.
“Ora andiamo alla polizia, e restituiamo questa dannata chiavetta all'agente LaRusso. Poi non ne voglio più sapere, né di te né delle acque del Po. ”
Lui chinò il viso. Poi mi fissò.
“Vi hanno fatto del male? ”
Io esitai, e sempre guardando la strada, dissi pacatamente: “La tua amica, l'hanno ammazzata. ”
Massimo socchiuse gli occhi, e guardò oltre il vetro.
“Mi dispiace di avervi coinvolte. ”
Io scossi il capo, ma non risposi.
Una volta consegnato i dati e spiegato la storia all'ispettore LaRusso, uscimmo dal commissariato che era mezzanotte passata.
L'aria era gelida. Mi cinsi il cappotto e mi strinsi nelle spalle.
Quando arrivammo all'auto, Massimo sorrise e mi disse: “Grazie mille di avermi aiutato. ”
Annuii senza aggiungere altro.
Annuì a sua volta e fece per andarsene. Poi si voltò e tutto d'un fiato disse: “Immagino che se dovessi invitarti a bere un caffè, mi manderesti a quel paese, vero? ”
“Sì. ”
Lui annuì nuovamente. “Magnifico! Come non detto. ”
Riprese a camminare, quando io precisai: “Ma solo perché io non bevo caffè. ”
Si fermò e si voltò.
“Vada per una cioccolata? ” conclusi.
Lui si avvicinò col sorriso sulle labbra, il sorriso raggiante che vi descrivevo all'inizio.
“Vada per la cioccolata, allora. ”
In quel preciso istante sentii smuovermi il braccio.
Aprii gli occhi e mi ritrovai Massimo davanti. Mi guardai attorno: ero sul pullman.
“Scusa se ti ho svegliata; sai dirmi che ore sono? ” mi domandò.
Sgranai gli occhi incredula. Poi fissai l'orologio. “Le cinque e mezza. ”
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