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Il Condannato
Avevo commesso delle infamie orribili. Avevo ucciso a pugnalate una povera donna anziana, dopo che ero penetrato nell’appartamento di nascosto, avevo stuprato e ucciso quella giovane ragazza, appena diciottenne, dopo aver sparato in bocca al suo ragazzo mentre erano nascosti in macchina ad amoreggiare, eppoi eppoi… mi ricordo come fosse adesso quelle due povere bambine che fecero il grosso errore di fermarmi per chiedermi l’ora. Dicono che ci siano voluti dei giorni per ritrovare tutti i pezzi e ricomporre i corpi!
La condanna fu ovviamente durissima: impiccagione!
Il processo e il dibattimento che portarono alla suddetta sentenza furono patetici, pieni di una nauseante retorica. Meritavo di morire, è vero, almeno per la naturale legge del contrappasso. Ciò che maggiormente mi infastidì fu il fatto di essere giudicato. Rinfacciai con orgoglio alla corte il loro giudizio che con tanta certezza avevano espresso. Quando mi fu data la parola non la usai per cercare alibi o discolpe, ero reo confesso, ma per vomitare in faccia ai miei giudici tutto il mio disprezzo per la loro tracotanza.
Che diritto avevano loro di giudicare me? chi li aveva investiti di questo diritto? E come potevano farlo? Non mi conoscevano, sulla mia persona avevano imparato qualcosa leggendo delle carte e da testimonianze di terzi, ma nella loro delirante autorità di tenutari della conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male, si presero il diritto di uccidermi. Ma erano forse essi assassini meno di me? Ripeto, mentre la mia morte l’avrei accettata come una naturale nemesi divina, ciò che mi infastidiva al parossismo era la loro sentenza sulla mia persona.
In cosa consisteva, realmente, la mia colpa? L’aver ucciso barbaramente e senza motivo degli innocenti? Ma chi è in grado di giudicare chi è innocente o colpevole? Prendete me ad esempio. Ho scelto forse io di nascere e vivere la vita in questo mondo incoerente ed alienante? E cosa ne sapete voi dell’impulso irrefrenabile che mi ardeva dentro fino alle viscere e mi spingeva ad agire in modo così inconsulto. Compare prima come un’ansia ingiustificata poi si trasforma in dolore fisico, allo stomaco, alle gambe, alla testa e un idea, inizialmente esile come la tela di un ragno poi sempre più consistente, si fa spazio dai profondi recessi dell’anima. Ed una voce lontana e vicina allo stesso tempo ti sussurra quale strada intraprendere per lenire i tuoi mali. Una voce subdola ed odiosa che non ti da scampo e non ti da alternativa. Ma niente mi è stato mai permesso di sapere riguardo all’origine dei miei dolori e a quella voce infernale. Sì signori, proprio così, se un inferno esiste quella voce proveniva proprio da là. Ed io non ci ho mai capito niente e non ho potuto che subire il demone che parlava con me. Sapeste quante notti chiuso nella mia cameretta ho provato ad indagare e a percorrere a ritroso le caverne del mio inconscio. Mi sono sempre perso. Non ci ho mai capito niente. C’è poco da farci, ci sono certe verità che l’uomo nasconde anche a se stesso.
E voi vi prendete il diritto di analizzarmi, di vivisezionarmi e, infine, di giudicarmi. Che ipocriti meschini, siate maledetti tutti quanti. Se solo aveste provato quello che ho provato io e se sapeste quante volte ho provato a rifuggire da quel fuoco che mi bruciava dentro fino nell’anima. Si perché un’anima ce l’ho anch’io e non me la sono scelta. Non ho scelto niente di tutto questo ma ad un certo punto mi trovo colpevole di essere come sono e su cui non mi è mai stata data voce in capitolo. Non mi è mai stata data una scelta. Mi ritroverò presto con un cappuccio scuro in testa ed una grossa corda al collo. Una botola sotto i miei piedi si aprirà e tutti brinderanno per aver fatto finalmente giustizia su atti di chiara colpevolezza. Io però mi chiedo e vi chiedo, visto che assumete sempre il diritto di essere i tenutari della verità: chi è il vero colpevole? State veramente punendo il vero colpevole o avete scelto inconsapevolmente e per comodità un capro espiatorio?
E cosa dire del boia che aprirà al botola? Quale regola o legge fa si che anch’egli non venga definito un assassino?
A pochi giorni dalla condanna avevo ormai smaltito ogni tossina di paura che mi aveva attanagliato per mesi. L’ineluttabilità dell’evento faceva cessare anche la paura che nasce ogniqualvolta si continua a nutrire anche solo un lumicino di speranza. L’unico tarlo che mi rodeva ancora nel cervello era la quantità di tempo che doveva passare dal momento in cui la botola si sarebbe aperta al momento in cui tutto sarebbe completamente terminato. Avevo sentito tante storie riguardo a persone salvate da tentativi di impiccagioni o morti sopravvenute dopo lunghi minuti di agonia.
Chiamai una guardia gli esposi le mie perplessità. Egli mi guardò con un sorriso condiscendente e si allontanò per rifarsi vivo poco dopo con un volume, credo enciclopedico, in mano.
“Le leggo testualmente” mi disse, con atteggiamento formale e distaccato, ma educato.
Impiccagione: Nei casi di impiccagione giudiziaria, nella quale il corpo, con il cappio al collo, viene a precipitare nel vuoto per l’aprirsi di una botola, la morte può essere istantanea, per lesione dei centri nervosi midollari, prima ancora che i fenomeni asfittici abbiano avuto il tempo di prodursi. Negli altri casi (omicidio, suicidio, accidente) in cui l’impiccato può mantenere il contatto col suolo, la morte sopravviene in 5-10 min. in seguito alla compressione che viene a prodursi su laringe, trachea, arterie e nervi del collo.
“Quest’ultimo non sarà il suo caso” aggiunse, “L’evento quindi, per ciò che la riguarda, avverrà istantaneamente, se questo la può consolare. ”
E questo mi consolò.
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