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Il bene ritrovato
Anche quella mattina era in notevole ritardo. Seduto alla guida, osservava il cielo scuro che non prometteva niente di buono. La primavera tardava ad arrivare. Non pioveva e questo era già tanto per lui che odiava la pioggia e i disagi che crea in città.
Aveva accompagnato Sara a scuola e ora era bloccato nel traffico sulla Tangenziale. Le macchine avanzavano a passo d’uomo, formando quasi un enorme e mostruoso serpente di lamiera, velenoso, che lentamente digeriva quei corpi immolati sull’altare sacrificale di quella schizofrenica città.
Lui, però, non s’innervosiva più come una volta; anzi era alquanto sereno e bendisposto verso quella povera e ansimante umanità che lo circondava e lo pressava quasi a spingerlo oltre la meta da raggiungere.
Sara stava crescendo bene, ed era molto maturata ultimamente; tra qualche mese avrebbe finito le medie e dopo le vacanze avrebbe iniziato a frequentare il ginnasio e a rendersi più autonoma.
Anche con Sandra, negli ultimi tempi le cose andavano meglio; c’erano stati meno incomprensioni e nervosismi. In effetti, l’intervento li aveva molto ravvicinati e soprattutto aveva permesso loro di riconsiderare molti aspetti della loro vita e sapere apprezzare le piccole gioie che la malattia lentamente ma inesorabilmente aveva appiattito sino a cancellare.
Solo ora si rendeva conto del tempo recuperato non dovendo andare più tre volte a settimana, di tutte le settimane dell’anno, con il sole o con la pioggia, che avesse impegni di lavoro o fosse in ferie, triste o contento, che avesse voglia o no.
Era stato baciato dalla fortuna quella fredda sera autunnale; a tarda ora aveva ricevuto una telefonata con cui lo convocavano in ospedale per l’intervento; dopo tanti anni, tante visite e controlli, tante attese disilluse, tanti tentativi andati a vuoto. Promesse, speranze che ora, improvvisamente, erano già qualcosa di lontano e dimenticato.
Certo gli era rimasto il cruccio di non aver potuto ringraziare coloro che con un semplice sì gli avevano trasformato la vita da quell’inferno che era diventata a un qualcosa di molto simile a quello che era prima che si ammalasse.
Aveva pensato spesso ai suoi benefattori. Dapprima anche in maniera poco equilibrata, travolto com’era dagli eventi. Aveva cercato in tutti i modi di conoscere le persone cui doveva la salute ritrovata, il suo futuro e della sua famiglia. Pian piano, a macchia d’olio, aveva iniziato a indirizzare la sua gratitudine verso tutti le persone con cui veniva in contatto. Talvolta anche con atteggiamenti imbarazzanti per chi non conosceva il suo stato d’animo e la sua storia. Nel suo cuore, incrudito dalla malattia, erano improvvisamente e di nuovo nati i sentimenti che aveva da bambino; gli tornava in particolare alla mente quel giorno, a sette o otto anni che era stato sorpreso per strada da un forte temporale mentre giocava con il suo amico e sua madre che li fece asciugare e gli dette per merenda una grossa fetta di pane con la cioccolata.
Sì, per lui è come se gli avessero dato di nuovo una maglia asciutta e una fetta di pane e cioccolata.
Finalmente la matassa del traffico cominciava a dipanarsi e, lentamente, assorto tra i suoi pensieri percorse gli ultimi metri della rampa che lo portava fuori dalla Tangenziale verso la dimensione più umana di S. Lorenzo.
Il basalto dei sampietrini della Tiburtina era ancora più scuro, ora che gocce di acqua cominciarono a cadere riunendosi in piccoli rivoli ai lati della strada.
La grossa moto, a forte velocità, lo sorpassò sulla destra, rasente al ciglio del marciapiede, alzando schizzi di acqua e fango che colpirono anche l’anziana signora che camminava sul marciapiede riparandosi alla meglio sotto uno striminzito e sghembo ombrello; fu centrata in pieno dal fiotto d’acqua alzato dalle ruote.
Lui, si fermò per dare riparo con la sua macchina alla malcapitata.
Si offrì per darle un passaggio sino a casa che non distava molto. Parlarono del più e del meno, per luoghi comuni, per uscire da quel silenzio un po’ imbarazzato che si era creato; ci fu anche un breve cenno a quella giovane figlia che se ne era andata così presto e per sempre, in quella fredda sera autunnale. La mattina si erano salutate con la superficialità della consuetudine; nessuna delle due avrebbe lontanamente immaginato cosa aveva in serbo il destino. Ora tutto era compiuto. Restava la consolazione di aver potuto aiutare molte altre persone che da quella morte avevano tratto la forza per vivere.
Ascoltò in silenzio. Era come paralizzato; sentì un nodo in gola e non ebbe la forza di pronunciare neanche una sola parola. Che dire? Quale parole per esprimere quel fuoco che, improvvisamente, gli si era acceso in petto incendiando il suo cuore che iniziò a battere come se volesse uscire dal torace.
Giunti a destinazione scese dalla macchina e la abbracciò, violentemente e dolcemente, così come i figli sanno fare.
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