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L'uomo con la valigia
L’uomo con la valigia.
Sempre pronto a partire,
lo vedevo passare attraverso i vetri del mio bar.
Si distingueva dalla gente per il suo incedere elegante,
con la sua valigia in mano ed il cappello Borsalino.
Si fermava sempre al solito posto.
Al terminal numero 2 dell’aeroporto di Malpensa.
Col naso all’insù guardava il tabellone delle partenze,
non abbassava mai lo sguardo.
Lo studiava con attenzione, affascinato, quasi fosse una bella donna.
Rimaneva lì per ore e non partiva mai.
L’uomo con la valigia, lo vedevo passare
ogni mattina, portava con sé la vita di un uomo di mezza età.
Con lo stesso cappello in testa e la valigia nera.
Verso la stessa meta, ogni giorno.
Il suo viaggio era a piedi nella strada,
malata di polvere e realtà.
La sua destinazione il terminal numero 2.
L’uomo con la valigia mi passava davanti,
cercavo di guardarlo negli occhi sfuggenti.
Volevo farmi raccontare i suoi pensieri,
ma nessuna emozione lo tradiva.
Gli importava solo del terminal numero 2.
Era diventato un rito,
un momento in cui voleva fuggire dalla realtà.
Forse la valigia era solo un timido pretesto.
Un cassetto vuoto da riempire di sogni e speranze.
Sogni e speranze che s’infransero quando seppe
della chiusura dell'aeroporto.
Una scomoda verità bagnata di lacrime e rumori di città.
Dicevano che ne avrebbero costruito uno più grande,
dall’altra parte della città
L’uomo con la valigia,
continuò il suo viaggio come ogni mattina.
Fino a quando dell'aeroporto non
rimase più niente,
solo angoli bui come quell'ombra sul suo viso.
Quel giorno,
rimase lì fino alla sera e
per tutta la notte a guardare gli ultimi brandelli di vita.
La mattina dopo non lo vidi passare,
ma il trambusto della gente mi fece pensare al peggio.
Uscii dal bar e mi avvicinai dove tutti si accalcavano
Riconobbi il suo cappello Borsalino.
Lui era lì, disteso, immobile come un aereo che aspetta di prendere il volo.
In mano stringeva ancora la sua valigia nera,
scura come il suo sangue avvelenato.
Questa volta se ne era andato e non sarebbe
più tornato.
Chinai la testa mentre lo portavano via.
Mi si avvicinò un poliziotto che mi chiese se lo conoscevo...
Forse non conoscevo lui
ma conoscevo la sua vita.
Quella che cominciava ogni mattina tra il frastuono degli aerei in volo
e il suo passo silente.
Allora il poliziotto mi consegnò la sua valigia
e mi disse che potevo farne ciò che mi pareva, tanto li dentro non c’era niente.
Presi la valigia e me ne tornai a casa defilandomi tra i curiosi del momento.
Quante volte avevo vista quella valigia,
sembrava quasi fosse mia.
Con le mani tremanti, la aprii.
Dentro c’era una rosa ormai secca senza petali.
Frugai nelle tasche con attenzione e in una di queste
trovai un biglietto sgualcito ed ingiallito dal tempo.
Mentre in un' altra piccola tasca c'era la foto di una donna.
Sul biglietto c’era scritto:
“Un pensiero per la donna che non avrò mai! ”
La donna della foto era una dipendente dell’aeroporto al terminal numero 2.
Il poliziotto si era sbagliato.
Non era vero che dentro la valigia non c’era niente.
C’era la vita di un uomo.
L’uomo con la valigia,
in partenza per un viaggio,
cominciato e mai finito.
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