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La morte è il mio mestiere
La morte è il mio mestiere. Sono cresciuto tra queste quattro mura, e la mia mente anno dopo anno si è abituata al mio stile di vita. Ho esattamente trent'anni, compiuti da una settimana. I miei capelli sono neri, i miei occhi verdi, amo il mio cane e la mia casa, non ho una famiglia, non sono mai stato capace di stare con qualcuno. I miei genitori sono periti in un incendio parecchi anni fa, non ho fratelli né sorelle. Ho cominciato a fare il mio lavoro esattamente quindici anni or sono. Sono molto ricercato per il ruolo che ricopro, amo il mio soprannome e ciò che svolgo.
Ah, a proposito... il mio soprannome è Lo Stampatore, e di mestiere faccio il killer.
Quella notte mi era sembrata interminabile. Avevo contato le righe sul muro almeno una decina di volte prima che il telefono emettesse il suo squillo.
Fissai la cornetta nera e l'alzai l'istante dopo.
"Sì?"
"Ho un lavoro per lei", mi disse la voce tremante.
"L'ascolto."
"C'è una casa, vicino al bosco. È isolata. Ci vive una coppia di vecchi."
"Vecchi quanto?"
"Sull'ottantina."
Attesi.
"Li deve uccidere", mi disse.
Annuii lievemente.
"Perché?"
La voce esitò.
"Non posso dirglielo."
Sorrisi, e i miei denti bianchi risaltarono tra le labbra carnose, quasi porpora.
"È la prassi."
Ma dall'altra parte non vi fu rimando.
"Se mi ha chiamato saprà anche come lavoro. Devo lasciare lo stampo. Devono pagare per i loro peccati."
Il mio interlocutore esitò. In quell'istante capii che stava ansimando, indeciso se andare avanti o fermarsi in tempo.
"Lui abusava di me; la moglie lo sapeva e non ha mai detto niente."
Esitai nel rispondere.
"Va bene."
Il ragazzo all'altro capo del telefono non disse nulla; e percepii in quel silenzio, la paura.
"Se non è convinto possiamo lasciar perdere."
"No!" aveva esclamato con ferma decisione.
Fu allora che sembrava stessi dialogando con un amico di vecchia data, passando direttamente al tu.
"Non dovresti avere dubbi, ragazzo. Se è vero che quelle persone ti hanno fatto del male starai bene anche con te stesso, una volta sistemati a dovere."
"Se non sono io a decidere cosa infliggergli, tu cosa farai?", aveva domandato quasi preoccupato.
"Di questo ne sentirei parlare dai giornali e dalle TV", feci una pausa. "Sai anche però che prima dovrò accertarmi della veridicità delle tue parole."
"Sì, lo so."
"Passiamo alla questione finanziaria. Io prendo diecimila euro ad omicidio."
"Come glieli farò avere?"
"La somma deve essere inserita all'interno di una borsa nera. Dovrai lasciarla dietro alla siepe del parco di via Ventimiglia, quella che fa angolo con corso Dante."
"Lo farò."
"Dammi qualche giorno. Se non riceverai alcun messaggio da parte mia, significa che svolgerò il lavoro."
Dall'altra parte udii l'aggancio della cornetta. Io invece rimasi qualche secondo con l'apparecchio vicino all'orecchio. Infine attaccai.
Dopo essermi informato a sufficienza sul conto dei due coniugi, ero pronto per svolgere ciò che sapevo fare meglio al mondo: punire.
Camminai lungo il vialetto principale. La notte era buia, e l'unica luce ad illuminare il posto era un lampione situato all'inizio della strada isolata.
M'infilai i guanti da lavoro e mi mossi con una valigetta in mano, canticchiando la musica di una canzoncina che avevo udito da qualche parte in radio.
La musica mi rilassava. Di solito quando lavoro, spesso ho lo stereo acceso: prediligo la musica classica.
La strada era deserta, e non mi fu difficile entrare.
Le luci all'interno erano spente. Per essere al corrente dei loro movimenti e delle loro abitudini, li avevo seguiti per due settimane circa.
Alle dieci in punto i coniugi andavano a letto. Secondo il mio orologio da polso erano le dieci e un quarto: perfetto.
Utilizzai i miei attrezzi per aprire la porta, la serratura scattò ed io entrai. Mi richiusi la porta alle spalle e lentamente salii gli scalini per raggiungere il piano superiore e così la camera da letto.
La stanza era semi buia.
Raggiunsi il letto e li fissai: così felici, tranquilli.
Mi avvicinai all'abat-jour e l'accesi. Al clic, l'uomo aprì di scatto gli occhi e mi fissò.
Fece per darmi un colpo in faccia, ma prontamente recuperai la lampada e lo colpii in pieno viso, facendolo scaraventare ai piedi del letto.
Piegai il collo e mi raddrizzai.
La donna che nel frattempo si era svegliata aveva cominciato a gridare.
"Sapete..." continuai. "Volevo fare le presentazioni, ma a quanto pare dovrò passare subito al perchè mi trovo qui."
L'uomo era ancora frastornato, e un rivolo di sangue gli scese dalla fronte lungo la guancia.
La donna continuava ad urlare. Mi portai così con le ginocchia sul letto e tirandola verso di me per i capelli, chiarì scandendo ogni singola parola: "Se non chiudi quella fogna, ti ammazzo come un cane."
L'anziana socchiuse gli occhi e le lacrime traboccarono dagli occhi rugosi.
Mollai la presa.
"Allora", continuai scendendo dal letto e avvicinandomi alla valigetta. "Voi siete i coniugi Faretti, giusto?"
Non ricevendo risposta, mi voltai.
"Sto parlando con voi."
La donna annuì lentamente.
Sorrisi. Feci scattare la serratura della valigetta e tornai con lo sguardo su questa.
"Ora vi spiego come stanno le cose: qualcuno mi ha chiamato, incolpandovi di abusi sessuali e di mancata denuncia..."
Sempre indossando i guanti, srotolai il panno che vi tenevo all'interno.
"... qua inizia il mio compito."
"Chi è lei, cosa vuole da noi?", domandò lei con gli occhi segnati dal pianto.
Annuii e mi voltai verso di lei.
"È giusto. La sua domanda è lecita", feci una pausa. "Io sono Lo Stampatore e di mestiere faccio il killer."
La donna sembrò svenire, ma non lo fece.
Le sorrisi.
"No, no, signora. Resti sveglia... deve sapere ciò che le spetta."
Recuperai quattro pezzi di corda. Quando mi avvicinai a loro, proseguii.
"Voi adottate bambini da quando avete scoperto di non poterne avere; gesto molto lusinghiero..." continuai legando ad entrambi le mani alla testiera. "Ma c'era un secondo fine, vero?
Nessuno dei due rispose, così continuai: "Lei ha abusato di un bambino", dissi rivolgendomi all'anziano uomo. "Se mi sembra di ricordare bene, dall'anno 1993 al 1996..."
Poi gli presi le caviglie e gliele legai al pezzo di corda fissato alla sponda del letto. Infine gli calai pigiama e mutande, scoprendo la pelle vecchia e rugosa.
Con un gesto mi sistemai gli occhiali sul naso.
"La prego..." sentii implorarmi dalla donna. "Ormai è vecchio, lo risparmi, la prego."
La fissai intensamente.
"Lui sarà pure vecchio cara signora, ma i traumi sono difficili da dimenticare, e il ragazzo che mi ha ingaggiato per sistemarvi evidentemente non l'ha mai scordato."
Riportai lo sguardo sulla valigetta. Mentre sentivo piangere entrambi, con un attenta selezione feci scorrere il dito lungo i vari attrezzi, infine scelsi il coltello misurante una lama di dieci centimetri.
"Gli errori si pagano, cari i miei coniugi", mi voltai verso di loro. "E adesso pare proprio che sia il vostro turno."
Mi avvicinai e con un colpo secco gli praticai l'evirazione.
Mentre l'uomo dissanguava e perdeva i sensi, la donna si mise a gridare a perdi fiato.
Recuperai una pinza e mi avvicinai con un secondo coltello. Mentre si dimenava come un'anguilla, le tirai fuori la lingua e con la pinza gliela bloccai. Il coltello fece il resto: via in un colpo.
Slegai le corde che la tenevano legata, e la trascinai vicino alla finestra. Poi l'aprii.
Mentre sanguinava dalla bocca, l'anziana prese a dimenarsi con tutte le forze che ancora aveva in corpo.
"Questo è perché sapeva tutto, e non ha mai detto niente."
L'anziana aveva cercato di parlare, ma invano.
"Le dispiace parlare più forte? Non la sento", dissi con noncuranza ed ironia.
Poi la trascinai sul balcone e la spinsi di sotto.
Il suo grido andò affievolendosi mentre tendeva le mani verso qualcosa che non arrivava.
Infine la vidi schiantarsi al suolo. Poi rientrai. Andai dall'altra parte del letto e tastai il collo dell'uomo. Il battito era cessato.
Forse per la paura gli era venuto un infarto.
Fissai l'orologio che tenevo al polso e mi complimentai con me stesso: avevo impiegato qualcosa come venti minuti.
Recuperai il materiale e lo rimisi in borsa, riprendendo a canticchiare quella canzoncina di cui continuavo a non ricordare il titolo.
Scesi le scale e uscii dalla porta principale. Fissai il corpo senza vita dell'anziana donna, e passai oltre.
Mentre m'incamminavo verso l'auto, sorrisi, e nella mia mente ripresi a ripetere: "La morte è il mio mestiere, mi ci guadagno da vivere, sono Lo Stampatore, e di mestiere faccio il killer."
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0 recensioni:
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- ciao Luigi! Accidenti, sei andato a ripescare un racconto vecchiotto! Rileggendolo ora cambierei parecchie cose.
Ti ringrazio per l'apprezzamento!
- bello, bel racconto, mi piace,
mi piace il tema che hai scelto, gli abusi non dovrebbero mai restare impuniti, psicologici o sessuali che siano, specialmente sui bambini.
il mio voto? un bel 9 su 10 ci sta tutto
- Grazie dei complimenti, Nicolas!
Sono contenta che neanche tu l'abbia trovato banale, non lo voleva per niente essere!
Rileggerò il racconto e vedrò di capire dove hai trovato quei passaggi di cui parli.
Ciao, a presto! 
Anonimo il 07/07/2010 17:14
Il racconto è interessante, ma si perde in alcuni passaggi che potrebbero essere riveduti e corretti, non vedo la banalità (come ho letto in un commento): è una storia di killer psicopatici di cui è piena la cinematografia e la letteratura, questo non fa eccezione. Ognuno di questi protagonisti agisce a modo suo e il modus operandi del tuo personaggio è svelato dal soprannome che si è scelto. In ogni caso brava!
- questo "stampatore" è davvero inquietante... ma del resto fa il killer no?

comunque un bel racconto (mi piace il genere), scritto in maniera impeccabile, tanto da risultare terribilmente realistico. perfetta la descrizione iniziale, breve e concisa... mi hai fatto capire in anticipo che si trattava di un killer
Ciao e a presto!
- @ Giovanni: grazie all'infinito! Sei sempre carissimo! Un bacione!

@ Fabrizio: grazie di essere passato. Poi mi dici quale invece ti è piaciuto di più, ok? Ciao! 
Anonimo il 23/10/2009 20:44
È piaciuto anche a me, ma non credo sia uno dei tuoi lavori migliori. Con stima
Anonimo il 23/10/2009 20:42
È piaciuto anche a me, ma non credo sia uno dei tuoi lavori migliori. Con stima
- BRAVA Robi... come al solito!!!! Anche questo racconto mi è piaciuto!!!!! Si vede che porta il tuo stampo

Oh, capisco...
Anonimo il 23/10/2009 18:10
Si, ho capito, per questo è banale.
- @ Gianluca: certo che trattasi di rabbia e violenza ingiustificata: il protagonista è un killer che lavora su commissione, è un pazzo psicopatico che passa sopra a tutto e tutti.
Ovvio che se fosse stato "normale", non si sarebbe comportato in questo modo.
Anonimo il 23/10/2009 17:01
Rabbia e violenza ingiustificata... certo, l'azione dei due vecchietti andava punita, ma non con tale violenza... perché? Ti consiglio come lettura sull'argomento La bestia nel cuore di Comencini. Stile scorrevole e con la suspence necessaria, peccato per la banalità.
- Piuttosto macabro e sconcertante, comunque, ben scritto e raccontato con la suspence necessaria.
Attenzione a quel "rigolo", forse: rivolo.

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