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Dopo il mattino
Tutto doveva ricominciare da capo. Tutta la strada fatta fino a quel momento non contava più, tutte le cose imparate, tutte le esperienze vissute era come se non fossero state provate. Come lo scrittore che ad un certo punto arriva al fondo del paragrafo mette un punto e va a capo, così avrei dovuto fare io.
Nuovo paragrafo, nuovo argomento, nuovo foglio bianco su cui scrivere, su cui pigiare i tasti ed imbrattare d'inchiostro la pagina, fino a farla sanguinare, fino a farle chiedere pietà, fino ad un altro punto. Poi nuovamente il ciclo ricomincia. Lettera maiuscola e via a pigiare sui dannati tasti, odiati e amati.
Questo avrei dovuto fare da quando quel giorno la vita mi era sfuggita di mano. Da quando ogni cosa aveva deciso di andare a farsi un giro senza chiedermi prima il permesso. Già allora avrei dovuto prender la mia vita per le palle e viverla, semplicemente viverla, come un capitolo nuovo. Tutto bianco senza niente di deciso.
Invece come un amante impazzito ero rimasto attaccato alla vecchia vita, come un neonato ero rimasto attaccato al seno della mamma, senza che comunque da esso ne scaturisse nulla. Imprigionato nella mia stessa prigione dorata, nella mia incapacità di viver le cose senza avere la sicurezza degli affetti che fino a quel momento mi avevano accompagnato.
Ci sono persone che riescono ad andare avanti, una bella stretta tra le spalle, magari un sospiro e una bestemmia e poi via nuovamente a batter la strada nuova senza voltarsi indietro, senza timori, senza rimpianti. Io invece non c'ero riuscito ed ero rimasto attaccato a quel seno arido che neanche a spremerlo come un limone ne sarebbe più uscita una goccia di latte.
Non ho rimpianti per quei tempi, non ho rimorsi, se non il dolore infinito di aver fatto del male a chi amavo. Ecco forse è questo l'unica mia ferita di allora le cui cicatrici sono incise indelebilmente nel mio cuore. Profonde, come solchi in un campo appena arato, son lì. Alcune volte le sfioro e mi ricordo. Mi ricordo del dolore, della sofferenza provata, delle paure e delle ansie che come fantasmi mi invadevano ogni attimo le giornate. Nessun sole all'orizzonte, nessun'alba in procinto di nascere, solo dolore.
Ricordare per non dimenticare, ma vivere senza ricordare, viver con la consapevolezza di essere, di aver sbagliato, di aver sofferto, d aver gioito, di esser stati felici e di esserlo, vivere un respiro dopo l'altro.
Così scatto le mie foto, mi fermo su una scogliera circondato dal mare. Le onde si infrangono sugli scogli ed il vento porta gli spruzzi sul mio visto, sulle mie mani. L'odore del mare mi entra dalle narici, mi scende giù nei polmoni, poi viene trasformato in ossigeno e portato a zonzo per tutto il coro, migliaia di impulsi elettrici dal cervello partano e l'odore del mare entra per sempre a far parte di me, dei miei ricordi. Il ciclo si è chiuso, adesso il mare è pronto per tornare al mare. Espiro.
La macchina fotografica è puntata verso il basso, si alza e l'obbiettivo 70-300 comincia a inquadrare, comincia la trasformazione. Lentamente le parti meccaniche, i pezzi di plastica, le lenti, ogni singolo ed insignificante ingranaggio comincia a trasformarsi, comincia a pulsare insieme al mio cuore, ad essere i miei occhi.
Avete mai provato a guardare le onde. Avete mai provato a diventare un'onda, a guardala a tal punto da sentirvi parti di essa, da sentire la sua voce, il suono sordo che fa certe volte mentre si infrange sugli scogli o quando si scontra con un'altra. Avete mai provato.
Sono un'onda e mi infrango su uno scoglio, un'esplosione di energia in un istante per poi richiudersi su me stessa e dare vita ad un'altra onda. Un infinito gorgoglio e pulsare di vita che si perpetua senza sosta, senza stanchezza. Starei ore a guardare le onde, starei giorni su quel molo. Sarei un onda ed il tempo non avrebbe più motivo di esistere.
Così il dito affonda sul pulsante di scatto, l'occhio fa una leggera contrazione come se si fosse chiuso per una frazione di secondo e un miliardo di impulsi elettrici partano dal cervello e si incidono nel mio cuore per sempre. Questo è il mio fare fotografia. Cammino lentamente e le onde mi sorridono come se mi salutassero, come se mi danzassero attorno, come se mi volessero comunicare qualcosa.
Mentre in realtà son io a voler comunicare con loro, con il mondo che mi circonda. Un solo scatto, una sola onda per un miliardo di emozioni fermate nel tempo, anzi dal tempo strappate.
Che senso ha negare la sofferenza, far finta che ogni cosa vada bene, che senso ha non fermarsi mai a guardare le onde. Se le persone si fermassero ogni tanto su quel molo potrebbero guardasi dentro e diventare onde, niente più temo, niente più dolore e sofferenze. Solo il mare.
Mare consapevolezza dell'essere parte di qualcosa. Qualcosa che nasce e che muore e che rinasce nella morte stessa. Un ciclo, un cerchio dove uomo e donna si rincorrono a vicenda, o semplicemente rincorrono qualcosa, fino a quando non saranno consapevoli che stanno semplicemente correndo in tondo e che non arriveranno mai alla fine poiché la fine stessa coincide con il principio.
Tra correre e camminare preferisco camminare, così visto che comunque non raggiungerò mai la fine, tanto vale che mi goda il viaggio ed il panorama! Le onde è un vero peccato guardarle di sfuggita, così tutto il resto. C'è chi per fare tutto corre corre corre e magari va lontanissimo, ma poi se gli chiedi cosa si ricordi del viaggio ti sa a malapena rispondere da dove era partito. Se invece lo chiedi ad una persona che cammina questa ti saprà descrivere il profumo dei vicoli vicino al porto o il colore degli occhi di una vecchietta incontrata per strada mentre chiedeva l'elemosina.
Nocciola scuro erano i suoi occhi.
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- ... Imprigionato nella mia stessa prigione dorata, nella mia incapacità di viver le cose senza avere la sicurezza degli affetti che fino a quel momento mi avevano accompagnato. Molto bello questo passaggio e quello precedente.
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