Molti e molti anni fa, mio padre funzionario delle ferrovie italiane venne trasferito alla stazione internazionale di un paese della Svizzera a pochi passi dalla frontiera Italiana.
Qui ho trascorso la mia fanciullezza.
Molte volte mi recavo alla stazione per vedere i treni in partenza.
Quelli che mi colpivano di più erano i treni che io chiamavo della speranza perché erano stracolmi di emigranti italiani che avevano lasciato il loro paese natio con delle valigie di cartone legate con dello spago piene di pochi vestiti ma tante derrate alimentari delle loro regioni.
Nei loro occhi leggevo la stanchezza del viaggio che allora era interminabile.
Tutta la notte e buona parte del giorno.
La tristezza dei loro cuori per aver lasciato a casa parenti, mogli e figli, ma la speranza di poter raggranellare qualche soldo da mandare a casa dava loro la forza di continuare la strada intrapresa.
Poi venivano fatti scendere dal treno, incolonnati e portati in un palazzo adiacente alla stazione dove la polizia controllava i loro permessi provvisori di lavoro. Chi era in regola passava oltre per effettuare la visita medica, gli altri venivano accompagnati subito su di un treno e con il foglio di via rispediti a casa,
Durante la visita medica solo chi era sano usciva, dove li attendeva rappresentanti del datore di lavoro che li accompagnava nei cantieri, sistemati in baracche di legno attrezzate di tutto, cucina, gabinetti e lavabi, ma pur sempre baracche di legno.
E il giorno dopo iniziavano a lavorare, un lavoro duro, gli attrezzi di lavoro a quei tempi non erano moderni come quelli di adesso, martelli pneumatici, scavatrici potentissime, ruspe gigantesche, bisognava fare tutto con pale e picconi, sotto il sole cocente, la pioggia battente o le grandi nevicate.
Loro in silenzio lavoravano, pur di migliorare la loro vita e quella dei loro famigliari rimasti a casa, perché le leggi di allora non permettevano di portare con loro mogli e figli.
Molti di loro morivano sul lavoro, o per disgrazia o per avvenuta malattia, ma comunque con il loro operato hanno contribuito allo sviluppo di questa nazione e tanti con il passare degli anni si sono inseriti bene con la popolazione ottenendo la cittadinanza svizzera.
Ora sono passati tanti anni, ho una famiglia e sono un pensionato e mi accorgo che molte cose sono cambiate, tante in bene altre in male.
I miei connazionali non espatriano più, c'è solo una minima parte che attraversa la frontiera per venire da noi a lavorare, sono i cosìdetti frontalieri.
Il tempo passa inesorabile nella mia vita. La modernità con le sue scoperte scientifiche migliora la nostra esistenza, eppure la vita della povera gente non è cambiata, ora ci sono i richiedenti d'asilo,
sono persone di tante etnie che arrivano in questo paese, io li incontro, li saluto cerco di parlare con loro per donare un conforto e per poter vedere nei loro occhi un sorriso, quel sorriso che da bambino cercavo negli occhi dei miei connazionali emigranti.