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Marco
Quella sera Marco ululò come mai era riuscito a fare nelle innumerevoli prove in cui si era cimentato giorni prima. La luna era splendidamente tonda nei suoi confini così ben definiti nel mare di cielo blu scuro, che pareva finta. Forse anche questo fu di aiuto a Marco. Dopo il primo ululato si sentiva strano, diverso, proprio quello che voleva, che cercava. Ne seguirono altri e questa sua sensazione di diversità, di non-normalità alimentava il bisogno di continuare ad essere come un lupo. Aveva tredici anni e quella fu la prima vera occasione in cui ebbe la conferma di quello che da un po' di tempo gli frullava in testa. La normalità, per lui non doveva esistere. Lui non voleva nel modo più assoluto essere normale, vivere una vita normale, lui voleva essere diverso e quella sera ci riuscì seppur per pochi istanti. A scuola i suoi compagni parlavano sempre di calcio o di livelli superati alla playstation e tutta questa quotidiana normalità gli causava angoscia e si isolava. Ma non soffriva. Gli intervalli delle lezioni erano occasione per lui di fare cose che nessun altro avrebbe mai sognato di fare. Gli piaceva saltellare su di una sola gamba fino allo stremo, fino a quando sentiva l'acido lattico comprimere l'arto e bloccarlo. Oppure spesso sedeva sotto una grande quercia del cortile scolastico e stava lì ad osservare i compagni nei loro giochi dannatamente normali. A casa, si sentiva più libero. I suoi genitori gestivano un ristorante take-away e stavano fuori tutto il giorno. Alla sera il più delle volte erano stravolti, e con Marco passavano ben poco tempo. Non si accorgevano di avere un figlio particolare. Per loro era un ragazzo come tutti gli altri, forse con più sensibilità, ma nel complesso normale.
Il tempo passava, Marco cresceva, ma nella sua mente c'era sempre quella convinzione di appartenere ad un mondo diverso, fatto di cose assolutamente anormali per chi viveva nella normale realtà. A quindici anni ebbe la prima ragazza. Rachele (questo era il suo nome) resistette con lui solo per un'estate finita la quale lo salutò spazientita dicendogli che stare con uno con le rotelle che girano al contrario non era la sua aspirazione. Nessuno mai glielo aveva gridato in faccia. Per la prima volta Marco si sentì combattuto con se stesso. Una parte avrebbe desiderato ricucire il rapporto strappato da Rachele, sentiva di provare qualcosa per lei, ma non sapeva bene cosa.
L'altra parte, quella "ululante", cercava di ricondurlo sulla sua strada, quella per la quale stava vivendo. Il suo mondo diverso, dove solo lui poteva capirlo e abitarlo. Inutile dire che il lupo ebbe il sopravvento. Rachele fu solo la prima di quelle quattro ragazze che ebbe in seguito. Nessuna riuscì ad entrare nel suo mondo ma tutte non si sforzarono neppure di capirlo veramente.
A sedici anni, il giorno del suo compleanno (era il 6 di Novembre) i suoi genitori si accorsero che parlava da solo. Era notte e Marco stava nella sua camera, seduto alla scrivania con il lume acceso e litigava con se stesso. Ad ogni battuta rispondeva con voce camuffata quasi stesse recitando da solo un copione a due. Madre e padre stettero per un po' dietro alla porta quasi convinti che nella sua camera ci fosse qualcun altro. Poi dopo aver sentito Marco imprecare con voce decisa e molto duramente, aprirono la porta. Lui rimase per un attimo stranito e poi con voce flebile disse "Sono io, Marco, e sono diverso. Voi mi credete normale, ma non lo sono. Io sono diverso" e poi scoppiò in un pianto disperato. Sua madre accorse subito ad abbracciarlo cercando di rincuorarlo. Suo padre rimase quasi scioccato. Possibile che in questi anni non si fossero mai accorti dei problemi che ora, come funghi velenosi, erano spuntati nella loro vita.
Due settimane dopo Marco fu accompagnato, dietro consiglio medico di un amico di famiglia, presso il centro Psicologico della città. Il dottor "cervellistrizza" come lo aveva battezzato Marco, disse ai suoi genitori sin dalla prima seduta, che sarebbe stato meglio avere colloqui con lui senza la loro presenza. Accettarono di buon grado affinchè tutto si risolvesse nel modo migliore.
Il dottore ogni volta lo faceva accomodare sulla sua chaise longue di pelle nera e lui sistematicamente quando si adagiava, chiudeva intorno a se stesso appuntite barricate impenetrabili. Il "cervellistrizza" lo tempestava di domande banali quasi stupide alle quali Marco rispondeva senza nessuna flessione guardando ora il soffitto, ora quella foto sulla scrivania, ora il portaombrelli di giunco. Poi tutte le volte, alla fine della seduta, l'unica domanda seria (prima o poi Marco glielo avrebbe chiesto perchè attendesse sempre la fine dell'incontro per arrivare al sodo) alla quale lui rispondeva serio, senza la minima esitazione. Passavano i giorni, le settimane, i mesi e Marco sentiva crescere il desiderio di aprirsi, sfogare le amarezze, le paure. Ma non a quel dottore, solamente avido di denaro e assolutamente (a parer suo) menefreghista camuffato da brava persona con finta intenzione di aiutarlo.
Una mattina decise di saltare la scuola. Ai suoi non disse nulla. Si preparò come sempre lo zaino e anziché mettere i libri, mise dentro alcune scatole di biscotti, due succhi di frutta e una manciata di mini ovetti di cioccolato. Ne andava matto. Gli piaceva tenerli in bocca a farli sciogliere senza masticarli e poi guardandosi allo specchio digrignava i denti marroni e faceva facce degne di un film di Romero. Uscì di casa piuttosto presto, con la scusa che sarebbe andato da Giuliano (il suo quasi amico di scuola) e insieme avrebbero poi raggiunto la scuola. La sua destinazione vera era invece un'altra. Aveva le idee chiare su cosa avesse fatto quel giorno. Prese l'autobus numero 4 per dirigersi verso la periferia del paese. Dalla fermata dovette camminare una decina di minuti per arrivare all'altra fermata del bus che lo avrebbe portato in collina. Una volta giunto lì avrebbe percorso un breve tratto di sentiero in mezzo alla boscaglia e sarebbe arrivato dove avrebbe trascorso, avvolto dalla pace più totale e nella sua amata solitudine, la tanto agognata mattinata "diversa". Quel posto per Marco aveva un fascino particolare. Una piccola radura a strapiombo sul panorama più bello che i suoi occhi avessero mai visto. Osservare il mondo da lassù lo faceva sentire importante e sicuro di se stesso. Proprio quello di cui in quel periodo aveva bisogno. Ma il destino è ignaro a tutti noi comuni mortali, e Marco essendo un mortale, magari non comune, in quel posto tanto amato, non arrivò mai. Quella dannata mattina la sua corsa si fermò in quei dieci minuti di cammino che separavano la fermata del bus da cui era sceso a quella in cui doveva salire sul bus per giungere in collina. Un tratto di strada non pericolosa, munita di marciapiede, proprio sul quale una Lancia Delta dopo una serie di carambole finì la sua corsa investendolo in pieno.
Marco aveva lo zaino sulle spalle e stava fischiettando. Non si accorse di nulla. Quando sentì lo stridore delle gomme dell'auto impazzita era già troppo tardi. Si girò di schiena come se il suo zaino potesse attutirne l'impatto. Fu devastante. Marco si addormentò incastrato sotto il muso dell'auto. Gocce di olio avevano macchiato quello zainetto, simbolo di quella mezza giornata di libertà. Quelli che seguirono, furono attimi tremendi. Ma non per Marco.
Era nel suo posto segreto, seduto a gambe incrociate. Una brezza leggera lambiva il suo volto e chiudendo appena gli occhi si sentiva coccolato. Poi li riapriva e osservava quel panorama così bello, nitido, il suo paese pareva così lontano ai piedi della valle. Gli passò nella mente una infinità di pensieri. Quel "cervellistrizza", la sua voce calda che diceva solo idiozie pure ben pagate, quella sedia strana di pelle troppo dura e per niente comoda, le lacrime di sua mamma durante quell'abbraccio in quella strana sera nella sua camera, quegli ululati fatti con tutta la forza nel petto, quelle interminabili mattine a scuola, gli intervalli sempre in solitudine, Rachele e la sua rabbia nell'aver trovato in lui troppe diversità. In un lampo, con lo sguardo perso nel cielo chiazzato, rivisse quei momenti.
Ci misero oltre due ore, i vigili del fuoco per liberare il corpo addormentato di Marco da quella Lancia del '93. I suoi genitori furono avvertiti da una telefonata dei carabinieri. Erano distrutti. Quando giunsero sul posto, fino all'ultimo non credettero si potesse trattare del loro figliolo. Era andato a scuola. Non poteva essere lui. Non aveva mai fatto cose del genere. O per lo meno li aveva sempre avvisati. Dovettero comunque subire la "pratica" del riconoscimento del corpo (la prova più devastante che un genitore possa superare) e non ebbero dubbi. Era il loro Marco. Dormiva come un angioletto. Si strinsero l'uno all'altra e mentre i medici legali lo portavano via gridarono e piansero tutta la loro disperazione. Altri tipi di ululati, avrebbe pensato Marco.
Il conducente del veicolo impazzito, un venticinquenne, morì sul colpo. In seguito si scoprì che la sera precedente all'incidente era stato lasciato dalla ragazza. Affogò la disperazione nell'alcool e non tornò neppure a casa. Vagò tutta la notte con una bottiglia di Jack Daniels come passeggera al suo fianco fino al dannato epilogo.
Nei mesi seguenti i genitori di Marco ricevettero messaggi, lettere di cordoglio da molte persone, anche del tutto sconosciute. A scuola, nella classe di Marco, il suo banco, vuoto, venne riempito di scritte multicolori e anche alcuni professori (che avevano sempre odiato e punito l'imbrattamento dei banchi) ci misero le proprie firme.
I genitori di Marco, risposero a tutti, ringraziando della solidarietà che ricevettero.
Ma come si sa, nonostante la vita ci metta sempre alla prova, anche molto duramente, bisogna guardare avanti, tirarsi su e proseguire. Con molte difficoltà ci riuscirono, anche facendo uso, soprattutto agli inizi, di quel "cervellistrizza" che tanto Marco non sopportava. Si rassegnarono comunque del fatto che la loro vita era cambiata per sempre. I sorrisi, già scarsi quando Marco era con loro, ora seppur ancora meno frequenti erano oltremodo assai precari, finti.
Esattamente sei mesi dopo il tragico incidente, a casa dei genitori di Marco arrivò un pacco.
La madre credeva fosse l'ennesimo gesto di cordoglio, mandato da chissà quale brava persona, ma invece non era così. Il mittente era il distretto di zona della Polizia Scientifica. Con profonda angoscia i genitori la aprirono. Dentro, avvolto in un sacchetto di plastica trasparente un paio di pantaloni. Erano quelli di Marco. Erano i Jeans che Marco quella mattina aveva indosso. Il primo gesto della madre, fu quello di avvicinarli al viso, di fare un gran respiro per estrapolarne l'odore del suo figliolo. In pochi secondi quei pantaloni assorbirono le lacrime della madre intenta ora ad accarezzarli. Il padre di Marco la abbracciava e a stento riusciva a contenere a sua volta il pianto.
Quando si ripresero un pochino, una delle mani della mamma di Marco sfiorò la tasca posteriore, e sentì che dentro c'era qualcosa. In un secondo ci infilo le dita dentro e tiro fuori subitamente un foglietto stropicciato piegato su se stesso. Dapprima i due si guardarono attoniti ma nello stesso tempo sconvolti. La madre di Marco lo aprì e notò immediatamente la calligrafia del suo figliolo.
Lessero quello scritto per decine di volte, e fino a che ebbero lacrime in corpo piansero.
" cari mamma e papà, forse voi con il vostro lavoro non ve ne siete accorti, ma io non sto bene.
Quel dottore mi sta assillando, e io non ce la faccio più.
Io sono diverso. E lassù qualcuno mi sta chiamando. Io devo andare.
Vi prego, oggi vi ho detto una bugia. Non sono andato a scuola. Perdonatemi.
Quando troverete questo messaggio sul sedile del bus, io starò bene.
Non piangete per me. Sarò diverso per sempre.
Non piangete. Vi prego.
Mi addormenterò in volo. Non temete non sentirò dolore.
Da lassù io non ho paura. Lo devo fare.
Vi voglio bene.
Marco."
Marco era un ragazzo diverso. Aveva sedici anni.
Il destino non lo ha risparmiato. Comunque.
Quella sera Marco ululò come mai era riuscito a fare.
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1 recensioni:
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- molto bello questo racconto, in alcune parti mi ci sono ritrovato io stesso..è vero, ve lo dice un adolescente e chi più di un adolescente subisce le vessazioni di questa società superficiale e vorace? ti faccio i miei complimenti Andrea

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