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Cuori d'autunno
Non sono mai stata capace di amare.
O almeno pensavo questo.
Glielo dissi seria, ingoiando le mie lacrime nel cuore: "Io non ti amo."
E lui... I suoi occhi grigi mi guardarono trafiggendomi, aveva voglia di tenermi ferma, aveva voglia di baciarmi.
Mi guardò inerme e mi lasciò andare.
Mia nonna glielo disse: "Laura non è un cavallo che si può domare. Lei sembra figlia del mare. A volte calma, a volte impetuosa come le sue onde."
Ma lui mi amava per questo motivo.
Ho sempre pensato che io non dovessi amare nessuno.
Fin da piccola mi era entrato nel cervello il tarlo maledetto che mi diceva: "Ogni persona, che amerai, morirà."
Lo so: era un'opinione macabra e stupida allo stesso tempo.
Ma ad un bambina di cinque anni che perde prima la madre e poi il padre, le persone che più amava al mondo, non è facile farle cambiare idea.
E crescendo quel tarlo rimane, lì, a rosicare il legno del cervello.
L'unica cosa che mi rimaneva da fare.
L'unica per sfogare il mio amore, era cavalcare.
Io e Jemmy eravamo inseparabili.
Me lo regalò mio nonno, quel piccolo puledro che non riusciva nemmeno a star in piedi.
Ed ora è uno stallone bianco.
Ci piace andare a cavalcare in riva al mare.
Si, proprio lì, dove mia nonna dice che posso esser in contatto con il mio caro padre Nettuno.
Ci piace guardare la luna e poi sotto la sua luce sfrecciare liberi contro il vento.
Roberto mi amava da sempre.
Avevamo vissuto insieme l'infanzia ed entrambi avevamo la passione per i cavalli.
Ma io lo sapevo! Cosa?
Che non dovevo amare nemmeno Jemmy.
La mia vita è contorta. E mi trovo in delirio qui sul letto. A raccontarvi pezzi di storia che si sovrappongono.
La partenza di Roberto per l'America, la malattia di Jemmy e poi... poi la scoperta della sclerosi multipla.
Io e Jemmy siamo troppo uguali, siamo troppo innamorati, quasi ci ammalammo insieme.
Jemmy perde la vista giorno dopo giorno: la cecità lo mangerà.
Ed io perdo me stessa giorno dopo giorno.
Ed ora?
Si, mi trovo davanti a te, Roberto.
Sono con le stampelle, è vero, ma non piango. No, non piangerò nemmeno oggi.
Non voglio piangere, anche se ti ho sognato, anche se ho sempre ripensato a quel giorno che non ho voluto il tuo bacio.
Sono cambiata? Sono semplicemente malata... Ma il mio orgoglio rimane lì sulle mura della mia anima come edera.
Ti prego, non guardarmi in quel modo.
C'è troppo silenzio. C'è troppo tempo da colmare.
Ci sono troppi anni che non ho dimenticato.
C'è troppa voglia di esser abbracciata.
Non riesco a sostenere il tuo sguardo di amore, compassione, stupore.
Non riesco a reggermi in piedi... Non riesco a parlare.
C'è troppo rumore: le lancette dell'orologio sono insopportabili, il loro suono sembra amplificato.
Guarderò il pavimento, voglio trattenere le lacrime.
Dolce tepore di coperte vicino al camino, dolce profumo di cioccolata calda, dolci storie raccontate da mio nonno: tutto riaffiora, ricordi tristi di fanciullezza che è corsa via come il cavallo del vento.
Tutto riaffiora ora tra le mie lacrime mentre sento il calore delle tue braccia.
"Ti amo"- lo dici, lo dici di nuovo, in quel tuo modo sublime che non ha nulla dietro.
Mi ami? Mi ami ancora sapendo che sarò una nullità?
Non ho forza di farti tutte queste domande e altre che girovagano nella mia mente, mentre ti guardo.
Quanto sei bello... è l'unica cosa che sintetizza tutte le mie sensazioni, tutte le mie tristezze miscelate alla gioia di vederti.
Voglio rimanere ora così...
Tra le tue braccia... così per sempre.
Voglio che questo dipinto venga immortalato ora... mentre la neve cade posandosi sui cuori morti dell'autunno.
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