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Un sospiro di sollievo
Vinnie Santoro si bloccò su due piedi nel bel mezzo del vicolo scuro. Non gli era appena tornato in mente di dover comprare le sigarette, non aveva realizzato di colpo quanto fosse dura ed ingiusta l'esistenza. Non aveva neanche pestato una merda. Si era fermato col cuore in gola e il respiro strozzato perché la morte l'aveva raggiunto.
Il vicolo era una venuzza infetta tra due sanissime e vigorose arterie, un budello ingombro di immondizia che persino i topi di fogna disprezzavano. Al di fuori di esso la città era inondata di luce come il tappeto rosso di un gran gala, ma in quel passaggio infernale era notte fonda per via degli alti edifici che lo piantonavano e delle scale antincendio che rubavano anche quella miserabile lacrima di sole che si protendeva in un moto di assoluta pietà.
Incurante del puzzo di urina e decadimento, Vinnie rimase fermo a fissare il nulla. Non aveva visto niente, in effetti, né l'oscurità l'avrebbe permesso, ma quando aveva udito il suono dei passi che echeggiava lungo il vicolo dall'altra estremità non si era fatto alcuna illusione. Conosceva quel suono, suono di suole dure su cemento marcio, il tocco disgustato di scarpe buone fuori luogo. Non c'era verso che un alto dirigente si trovasse a passare di lì, né che un poveraccio avesse fatto fortuna e fosse tornato a raccattare i cartoni nei quali aveva dormito fino alla notte passata. A quei tempi un ricco non posava mai i piedi sulla strada ma solo sui tappetini della sua Mercedes Benz; quanto alla fortuna, beh, semplicemente non esisteva.
Solo la morte poteva aver deciso di passeggiare da quelle parti, e solo perché ci stava passando lui.
La sfuggiva da settimane, ormai, tanto che ci aveva fatto abitudine. Era cauto quando scendeva dal letto, quando infilava le chiavi nella porta di casa, quando se ne stava seduto al bancone di un bar; sceglieva le strade più isolate e lorde, perché se è vero che per i più erano quelle maggiormente pericolose, per lui erano un'oasi di sicurezza. Tutto questo perché la sua morte non era come le altre, non faceva le cose in silenzio, ma preferiva farsi notare, esaltare la propria potenza. Era una morte in giacca e cravatta, una morte dal cappello elegante che calzava scarpe di vernice e fumava sigarette buone, una morte che aveva rinnegato la scomoda falce per abbracciare la micidiale efficacia delle armi da fuoco.
I passi risuonavano piano ma non accennavano a fermarsi. Si avvicinavano, lo minacciavano, lo deridevano.
Il cuore di Vinnie ricadde al suo posto, in mezzo al petto, solo per attaccare con un ritmo africano di tamburi schiaffeggiati più che suonati. Il sudore gli colò dalla fronte e gli fece bruciare gli occhi, un gelo assurdo gli conficcò decine di ghiaccioli appuntiti nella schiena. Si maledisse, Vinnie Santoro, perché di tutti gli errori che poteva compiere quello che aveva scelto era davvero il peggiore.
Non sapeva ancora perché fosse successo, nonostante si fosse rigirato la scena nella testa ogni giorno e ogni notte come un maledetto film muto senza fine. Era un giorno normale, una mattina come tante in quel mercato chiassoso ed affollato che era il suo sostentamento. Come ogni giovedì si era infilato tra la gente che contrattava un prezzo migliore, gente che non era ricca ma qualcosa doveva pur avere se andava a fare spese. La strada era meno gremita del solito, ma per lui faceva poca differenza. Non aveva bisogno di un intero pollaio, gli bastava adocchiare la gallina giusta.
Si rigirava il coltello in tasca e spiava volti e borse da sotto la visiera del suo logoro cappello di lana, giudicando in un attimo chi fosse interessante e chi no. Una volta adocchiato la giusta preda gli bastava avvicinarsi, puntare il coltello alla schiena della gallina da spennare e sussurrare la sua minaccia. "Tira fuori i soldi e nessuno si farà male" era la sua preferita, semplice ma efficace, con un tocco di benevola carità. Nei periodi di magra, però, a corto di pazienza, optava per formule meno indulgenti come "Molla la grana, stronzo" e "Dammi la cazzo di borsa, puttana".
Il giorno fatidico - che sia maledetto in eterno! - era stato attratto da una preda del tutto speciale. A due passi da lui si era fermata una sfavillante LaSalle Sedan bianca come il ghiaccio e ne aveva visto scendere un uomo impellicciato e zeppo d'oro. Ancora adesso si chiedeva se fosse stata colpa di una o due birre scadenti di troppo, o di quella roba che gli avevano spacciato per fumo da sballo, o di uno scherzetto di Dio in persona per punire le sue malefatte. Era ormai storia, comunque, una storia nota in mezza New York, che lui aveva puntato il suo coltello nella schiena di quell'uomo e sussurrato le sue paroline magiche. Lì per lì non aveva dato peso allo sguardo immobile e sereno di quel tizio, pensando che fosse solo un po' più freddo degli altri o che fosse tanto ricco da fregarsene di una rapina. Soltanto qualche ora dopo, quando aveva visto l'incisione sul fondo dell'orologio da tasca d'oro massiccio, si era reso conto di essere morto.
"Con rispetto e deferenza al mio amico Salvatore Di Masi" era la scritta incisa nel metallo luccicante. E lui sapeva chi era Di Masi, lo sapeva eccome, lo aveva persino visto più di una volta. Ma allora perché? Perché mai non si era reso conto di rapinare il padrino di Brooklyn in persona, e perché diavolo i suoi scagnozzi non l'avevano fermato subito?
Troppo veloce, si disse nel vicolo scuro mentre i passi gli scuotevano le viscere da appena quattro o cinque metri. Sono stato troppo bravo e veloce, cazzo!
Da allora era scattata la caccia all'uomo, e almeno quattro volte Vinnie era sfuggito agli scagnozzi di Di Masi per un misero soffio. Sapeva che gli avrebbero fatto pagare lo sgarro in piena luce, tra la folla, perché tutti sapessero cosa spettava a chi sfiorava Salvatore Di Masi, perciò aveva cominciato a frequentare vicoletti come quello. Ma avevano cambiato idea, alla fine, si erano stancati di giocare. Lo avrebbero ammazzato lì, dove il sole non arrivava, e forse il suo cadavere avrebbe abbellito un po' l'ambiente.
Un'ombra anticipò l'apparizione della morte in abiti eleganti. Era un uomo dal viso comune, talmente comune che non avrebbe saputo descriverlo nemmeno con tanta buona volontà. Non parve affatto interessato a lui. Neanche sembrava un gangster. Non rallentò, non gli rivolse la parola, non estrasse alcuna pistola dal cappotto scuro. Passò oltre.
Vinnie rimase a bocca aperta, immobile nel vicolo puzzolente. Per molti minuti non fece nulla, convinto che presto l'uomo sarebbe tornato per sparargli, poi liberò il sospiro più bello della sua vita e provò un piacevole calore al basso ventre che gli diede più gusto di un orgasmo. Era vivo, si rese conto, quando già si immaginava a far compagnia ai vermi. Era vivo per un giorno in più e intendeva festeggiare per una tale grazia.
Si schiaffeggiò le cosce per rimettere in circolo il sangue che si era fermato e rilasciò un altro, meraviglioso sospiro di sollievo. Rise forte nella solitudine dell'oscurità e riprese il suo cammino da dove l'aveva interrotto.
Si lasciò alle spalle quel budello orribile e lo maledisse per avergli messo addosso una fifa ingiustificata. Sbucò in una strada ampia e soleggiata, affollata di pedoni, automobili e carretti di venditori ambulanti. Esitò per un istante, poi si incamminò verso destra. A mezzo isolato appena c'era il Doninger's Place, uno dei migliori ristoranti della zona. Aveva fame, una fame mai provata prima, e voglia di lasagne e bistecca e patatine al forno, tutto in doppia porzione. Al diavolo gli spilorci, la vita andava onorata!
Per tutto il tempo che durò la sua passeggiata di mezzo isolato fischiettò, scoccò occhiate alle donne e visse bene come non gli era mai capitato. Davanti al Doninger's si fermò a consultare il menù del giorno affisso al vetro attraverso il quale vedeva la gente mangiare e discutere. Di norma non poteva permettersi un posto del genere, ma gli ori del padrino valevano più di tutte le borsette e i portafogli che poteva sognarsi di mettere insieme in una vita.
Stava per entrare quando vide la sagoma di un uomo riflessa nel vetro. Per fortuna non ebbe il tempo di rovinarsi il momento, fu tutto molto veloce. Si può dire che Vinnie Santoro morì felice.
L'uomo col cappotto scuro e il volto anonimo gli parlò all'orecchio. <<Questo è da parte di Don Salvatore Di Masi>>, disse con un accento che non apparteneva più ad alcuna lingua, distorto dal miscuglio che solo New York sapeva creare.
Gli spari furono fragorosi, ma Vinnie non sentì alcun male, solo una forte spinta dietro la schiena che lo mandò a sbattere contro la vetrata del ristorante. L'ultima cosa che vide fu una bistecca con patatine al forno e le sue ultime parole furono rivolte all'uomo che la mangiava: <<Solo una porzione, spilorcio del cazzo?>>
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