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La macchinetta sputamerendine
Ho sempre considerato le macchinette sputa snaks come un'astuta invenzione atta a consolidare il sensottomesso di sudditanza dei dipendenti nei confronti dell'azienda datrice di lavoro.
I tuoi minuti d'aria, i 15 minuti esatti, calcolati secondo una media qualunquistica delle esigenze umane, li passi in contemplazione di quel metro quadro diviso in celle stagne di indecisione atavica e parallela. E per giunta devi anche pagare per essere messo quotidianamente di fronte ai tuoi limiti di selezione. Psicoanalisi impostata sulla teoria dei gravi, laddove il trionfo è un tonfo conseguente ad una qualsiasi scelta.
La scelta del prodotto che darà l'illusione di una sazietà non meglio precisata sembra il gioco alla roulette, dove rosso e nero sono dolce e salato, e dove ad ognuna delle scelte corrisponde un dedalo di alternative subdole che mesolano numeri da selezione con numeri da retribuzione ingenerando confusione e panico e quindi ulteriore insoddisfazione.
I salutisti si buttano sui salatini, non prima di averli buttati giù dall'alveare, costoro si guardano bene dai prodotti più appetitosi che poi sono i meno appetibili (singolare come un foglio di ex-celle - e divertente contraddizione in termini). La macchinetta ha un regolamento costituzionale interno che dirama direttive alle singole celle per cui poi si delibera senza un quorum dello sceglitore frontale che al cliente, cazzi suoi, non si dà resto, non ora, non adesso. Sempre.
Verso le 11:00 comincia una processione composta, agitazioni silenziose principiano dagli open spaces laddove i lottizzatori delle scrivanie danno inizio a performance scoordinate di sbadigli, stiracchiamenti, grattate di palle, perizoomate sul culo chino di fronte, e poi varie ma anche eventuali. L'irrequietudine diffusa e contagiosa indica che forse e' l'ora della pausa caffè con o senza sigaretta (questa altrove associata al coito, ma si può arguire che in ufficio, sebbene i 15 minuti possano bastare per una sveltina con sigaretta postuma, non si ha ancora la decenza di portarsi il sesso al lavoro, basta per il momento chi porta il lavoro a casa).
Per molte colleghe l'angolo bar fai da te diventa un tribunale spietato di commenti e giudizi acidi sul modo di vestire, sorridere, e di portare i capelli. Il tentativo di essere immunità iusdicandi è cosa vana di fronte alle maldicenza zuccheraffiliata dell'ambiente lavorativo, laddove il particolare si arricchisce non si sa come di particolari sempre più particolari, come uno zoom al livello cellulare, tanto che un culo diventa un atomo e una paranoia un trattato di antropologia. I ferri della fantasia diventano laboriosi e non arrugginiscono mai con la bava delle chiacchiere. Nella nobile arte del taglio e cucito, con tanto di ricamo, le colleghe sono evidentemente più abili dei colleghi, che spesso scambiano una battuta distratta, solo perché il silenzio sembra fuori luogo o forse perché lo si giudica risorsa troppo preziosa per essere elargita urbi et orbi.
Anche io ho le mie pause, e mi congedo da un 15 pollici in cui rifletto lo sguardo perso che razionalmente mistifico per uno screen saver vagamente familiare.
Aspetto che l'area dedicata alla genuflessione di fronte al totem merendemico sfolli. Di fatto se siamo tanti in open space il break perde la sua natura ed evolve in assemblea, con pericoli di rivendicazioni sindacali, magari sul problema dei resti, che poi in effetti non si sa mai a chi darli Io prendo del tè al limone, extrazucchero, quello che ti ustiona le mani perché il bicchierino di carta già fa il suo se riesce a non dissolversi sublimandosi.
Soffio sulla bevanda cocente e puntualmente mi slancio nella considerazione che gli inglesi stanno un passo avanti con il collare di cartone salva dita e salva vita da incastrare intorno ai bicchieri fumanti. Ma cazzo vuoi mettere Londra con Roma? Scoiattoli ad Hyde park contro ratti a Villa Borghese? Sì ok il caffè nostro è più buono, ma allora perché stiamo di fronte a queste cazzo di macchinette così tanto che se uno viene dietro e ti chiede se hai fatto ti viene quasi voglia di dirgli "oh, fino a che vinco, gioco io..."
E allora pensieri in libera uscita e sguardo perso un po' ovunque senza dovermi impegnare con un punto fisso, potrei compromettermi, che in ufficio se guardi fisso uno quello poi è capace di rilasciarti un pap test.
Da un paio di settimane questo singolare rituale ha una decina di spettatori, gli ispettori del controllo di qualità che ogni anno, puntuali come il Natale o l'influenza (na' tale influenza), vengono in azienda per spulciare tra file, archivi e stomaci dei dipendenti per giustificare la somma di circa 20. 000 sesterzi iscritta in dare in bilancio con la dicitura "costi per servizi resi da terzi" (in breve, appunto, costi sesterzi)
L'occhio, distratto ma non troppo, ha già attuato la sua selezione, stranamente la scelta è molto più rapida che non quella a cui sono chiamata davanti alla sputa merendine.
Sarà che i giudizi visivi sono depurati di tutte le implicazioni di gusto, olfatto, soddisfazione indotta, sarà che per dirla breve permette una superficialità di valutazione che va a braccetto con la delusione, ma a volte anche no.
In questo gruppetto di bache-rozzi, vestiti di scuro, tutti più o meno simili, omologati dal target aziendale, si distinguono solo per i gadgets e gli optional da cui sono accompagnati, dall'orologio cifrato, al cellulare con 20 sim per altrettante simpatiche distrazioni..
Uno sembra distinguersi, dal golfino sotto la giacca in luogo della solita camicia con collo a lingua di cane e cravatta scura, alla totale assenza del cellulare che gli altri tengono in pugno manco fosse un guinzaglio regolabile.
Forse discutibile nel gusto del vestire, anche se i tratti limpidi e regolari del viso lo rendono talmente attraente da giustificare ogni distrazione nell'abbigliamento.
Un naso sottile, labbra disegnate, ma non eccessive, color rosso screpolato, occhi tondi, chiari, strano che attirino la mia attenzione, io che farei le abluzioni negli occhi neri, luciferi.
Sorride alle battute dei colleghi, Il loro raduno intorno alla macchinetta sembra la fiera del vanto forzato, una escalation di cazzate studiate per l'occasione e rese più o meno verosimili da qualche telefonata ad hoc che dà una vibrazione vitale al collare tenuto stretto nelle mani.
Chissà come si chiama il biondino, così reticente a scambi di parole più che ai sorrisi.
Bevuto il mio tè, come ogni giorno, accartoccio il bicchiere e lo cestino nella grande bocca di plastica blu scuro al lato della macchinetta.
Nel mio piccolo da almeno un paio di giorni spero di beccarlo da solo il biondino innominato, non avrò il coraggio di dirgli nulla, come sempre, ma almeno me lo studio e osservo da vicino e senza distrazioni.
Deve aver captato il pensiero moderatamente audace, incrocia il mio sguardo, io ovviamente, lo sterzo sul solito punto infinito a traiettorie mutanti.
È lunedì, questo programma proprio non rolla, mi accanisco su algoritmi e funzioni cercando una via d'uscita risolutiva.. È mezzogiorno e ancora non mi sono alzata per prendere un caffè ne' per fare la pipì. Diciamo che l'una cosa può attendere, l'altra meno. La mia coscienza vagamente anarchico-fancazzista impone la mia piccola forma di protesta a questa forma di schiavismo subdolo chiamato senso del dovere. Mi alzo, certa che gusterò davvero in solitaria il mio tè oggi.
Select product, 25C, sento il marchingegno cominciare a sbuffare qualcosa, la pozione sta per comparire dietro la tendina trasparente, bella bollente come sempre, ringrazio il mostro con il solito inchino, mi sono rimasti 10 cent di credito, ma la bastarda il resto non lo dà.
Quando mi alzo, riflesso sulla pubblicità del caffé stampata sulla macchinetta, il viso noto e sbiadito, multicromatico del biondino. Non mi volto neanche, mi lascio scivolare sulle dita gli altri cinquanta cent che ho stretti in pugno.
"Ti posso offrire il caffé, vanto un debito nei confronti di svariati colleghi a cui questa cosa non ha risarcito il resto( baro), mi posso riscattare?
"Grazie!" Mi dice con una voce limpida, calda, quasi vellutata"
"Oggi e' il nostro ultimo giorno qui, e ovviamente non tutti i conti tornano, così mi sono ridotto al pranzopausacaffe'! In verità io il caffè neanche lo amo tanto, solo che buttare giù qualcosa di caldo mi placa la tensione, e poi se non mi alzavo a sgranchire le gambe, mi avrebbero trovato stasera un tutt'uno con la poltroncina, sai che scena se mi avessero riportato a casa in un unico blocco?, Già ci trovate abbastanza ridicoli!"
"Accidenti quanto chiacchiera! Un gettone per farlo iniziare e due per farlo smettere?" Domanda.
Il timbro della sua voce si sta modulando nella mia testa, bastardo! Non sai che danno stai facendo!
"Peccato aver scambiato due battute proprio quando state andando via!"
"E va beh! Tranquilla, tanto io sono proverbialmente un collezionista di rimpianti, e poi chissà quanto ti avranno divertita gli scambi alla fiera del "quanto so figo io"
Fa una smorfia, quasi a voler scusare il gruppetto di bacherozzi griffati. Fino alle mutande e le loro esuberanti performance
"E però, però il caffè mi farebbe piacere rendertelo, magari fuori di qui?"
Fuochi d'artificio intorno all'area self service, rulli di tamburi, clown che ballano e lanciano coriandoli in ogni angolo.
Sorrido timida e mordo il bordo del bicchiere di plastica ormai semi vuoto.
"E pero', però perché no? Basta che non hai pure te lo ZT, e il caffè non me lo porti a prendere direttamente a Napoli per fare il figo"
"Detto tra noi, mi sa che la mia macchina a Napoli non c'arriva neanche! Certo per stupirti potrei venirti a prendere con la metro, e fare 50 biglietti per avere un intero vagone tutto per noi, e poi ti offrirei un ottimo caffè ad una qualsiasi macchinetta di una qualsiasi fermata della linea A"
Penso che l'idea e' tanto astrusa quanto romanticamente geniale!
Stacco le spalle dal muro, ormai la mia anima ha preso appunti della sua sagoma.
"Allora ci conto!"
Faccio tre passi da gambero per non staccare subito lo sguardo dai suoi occhi.
"Comunque io sono Ludovica, e tu?"
Fa spallucce e alza le ciglia in senso di divertito mistero.
Io scuoto la testa in senso di disapprovazione ma con uno dei miei sorrisi migliori.
Mi giro, gli do le spalle, agito la mano in segno di saluto sicura che lui sia ancora li attendendo di vedermi sparire dietro l'angolo naturale del muro.
Riprendo il potere del mio angolo di mondo, cado a peso morto, quasi svuotata sulla poltroncina ergonomia nera. Affondo lo schienale all'indietro, con gli occhi sgranati e sognanti e mille pensieri in testa.
In basso a destra sullo schermo del pc il segno della bustina di outlook.
Apro la posta l. dedominicis@yahoo. it, doppio click sull'indirizzo
"trequattrosettecinqueduetredueduezero. . . . senza un cellulare sarà difficile andarlo a prendere questo caffè". Il testo si conclude con le faccine.
Sorrido, con una relativa frenesia prendo il cellulare dalla sacca sulla scrivania:
"Io odio le faccine!" Invio.
Due secondi dopo il cellulare vibra, facendo il verso alla mia quasi emozione.
Messaggio. Uno smile introduce il testo.
"Io anche sono Ludovico!"
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0 recensioni:
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- A parte questo paio di casi in cui i punti e gli a capo stanno lì un po' per sbaglio, guardandosi intorno e facendo finta di niente:
"In questo gruppetto di bache-rozzi, vestiti di scuro, tutti più o meno simili, omologati dal target aziendale, si distinguono solo per i gadgets e gli optional da cui sono accompagnati, dall'orologio cifrato, al cellulare con 20 sim per altrettante simpatiche (grande lia ndRob) distrazioni..
Uno sembra distinguersi, dal golfino sotto la giacca in luogo della solita camicia con collo a lingua di cane e cravatta scura, alla totale assenza del cellulare che gli altri tengono in pugno manco fosse un guinzaglio regolabile.";
"Fa una smorfia, quasi a voler scusare il gruppetto di bacherozzi griffati. Fino alle mutande e le loro esuberanti performance..."
Il pezzo mi è proprio piaciuto. Il tono, l'esagerazione, la lingua con quell'accento romano che qualche volta si sente in maniera ruffiana e qualche volta giustamente no. All'inizio le esagerazioni linguistiche impacciano la lettura, ma fortunatamente non esageri e così diventano carattere, ed il lettore fila avanti piacevolmente.
Conosci il blog di "qualcosadelgenere"? Se non lo conosci, facci un giro e fammi sapere.
È un grande umorista, eccessivo ma straordinario.
Il tuo pezzo però è senz'altro qualcosa di più di un pezzo umoristico, perché c'è della sensibilità (magari un po' troppo alla Ally McBill - tipo quando compaiono i clowns), lo spunto è buono, il personaggio meglio, e c'è persino un po' di suspence che tiene fino alla fine.
Quindi: brava.
Adesso - se non ti dispiace - vado a leggermi qualche altro pezzo scritto da te (sperando non vi siano poesie...)
Saluti
L'apicoltore
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