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La bambina che scriveva lettere ai riformatori
"Gentile riformatorio di Casal Ferrino,
Vi chiedo gentilmente di non fare del male gratuito ai detenuti. Molti sono ragazzi indifesi, alcuni non meritano neanche di essere lì. Vi prego di non esercitare su di loro nessun tipo di violenza. R."
"Le lettere portano tutte lo stesso testo e la stessa iniziale, firmate R. Tutto tale e quale in tutte le lettere che alcuni riformatori di Roma hanno ricevuto."
"Il timbro postale?"
"Spedite da Castel Porziano, la ventinovesima zona del comune di Roma nell'Agro Romano, più di quindici anni fa. Le date riportano i mesi estivi dell'anno 1989."
"Solo che il serial killer agisce solo ora, per quale motivo?", domandò il direttore dell'edificio.
Il vicequestore scosse il capo.
"Non si riesce a venirne fuori. Sono settimane che io e i miei uomini stiamo dietro a questo caso. Non un nuovo indizio, o qualcosa che possa portare sulla giusta strada, niente di niente..."
"Siete stati sul posto?"
"Non ho agenti necessari."
"Andiamo bene..."
Dalia fissò il direttore e suo amico da molti anni.
"Tu sei certo che non vi sia violenza gratuita qua dentro?"
Il direttore lo fissò risentito.
"Perché me l'ho chiedi, non ti fidi? Dannazione, siamo amici da più di vent'anni e mi domandi una cosa del genere?"
"Proprio perché siamo amici te lo dico. Lo so che tu con la violenza e gli abusi non c'entri, ma le tue guardie potrebbero non essere così oneste. Il serial killer a cui stiamo dando la caccia non toppa mai", fece una pausa. "Stando alle indagini, i carcerieri uccisi brutalmente, in seguito si sono rivelati aguzzini."
Non vi fu risposta, e nella stanza calò il silenzio finché il vicequestore non parlò nuovamente.
"Ucciderà ancora", unì le mani e continuò. "Finché le sue lettere non saranno terminate."
Alle otto del mattino dopo, il vicequestore Dalia convocò nel suo ufficio, i suoi uomini più fidati.
"Come mai ci ha fatti chiamare, dottoressa?"
La donna si alzò dalla poltrona e si appoggiò al tavolo, incrociò le braccia e fissando uno a uno, spiegò: "Andrete a Castel Porziano. Il magistrato mi ha dato il permesso e ha messo a disposizione qualche uomo in più..."
I quattro si scambiarono uno sguardo perplesso. Poi riportarono gli occhi sul vicequestore.
"Cosa?"
"Andrete a Castel Porziano. Il timbro postale viene da lì. Qualcosa deve pur esserci..."
"E con gli uomini messi a disposizione, proprio noi dobbiamo andarci?", domandò Rendi.
"Sbaglio, o il caso l'ho affidato a voi?"
Nessuno rispose.
"E comunque solo due di voi in realtà. Gli altri dirigeranno le indagini da qui. Dobbiamo trovarlo ragazzi, e voi siete i quattro agenti di polizia più in gamba che ho a disposizione."
I quattro si fissarono e infine annuirono.
"Da dove cominciamo?"
Il riformatorio di Montegrappa di Roma ospitava più di 200 detenuti, ed era considerata una delle migliori case di correzione per ragazzi.
"Ti conviene stare zitto, se non vuoi finire male!", suggerì al ragazzo a terra e col naso impregnato da una poltiglia rossa.
"Ecco", gli gettò un fazzoletto. "Asciugati quel sangue, rimettiti a posto. Stanotte vengo a farti una visitina..."
Il ragazzo pianse e si accucciò vicino al muro.
Il sorvegliante rise divertito.
"Tuo padre non ti ha insegnato ad essere uomo. Qui imparerai presto..."
Poi chiuse la cella e se ne andò.
Attraversò il corridoio, passò per la mensa e si diresse nel proprio ufficio.
Nel momento in cui chiuse la porta, udì un rumore provenire dal ripostiglio.
Sporse il collo e domandò: "C'è qualcuno?"
Si avvicinò allo stanzino quando udì: "Per te essere uomini significa questo?"
La guardia si voltò verso la finestra.
Una donna dai capelli neri come il carbone, degli occhi dello stesso colore e dalle labbra color del rubino, se ne stava in piedi sul davanzale.
"E tu da dove diavolo spunti fuori?"
"Picchiare una persona indifesa per te è un modo per dimostrarsi uomo?"
"Te lo chiedo un'ultima volta", disse con arroganza. "Poi ti farò rispondere a modo mio."
La donna sogghignò e con un balzo scese dal davanzale.
"Mi farai rispondere a modo tuo... accidenti, è una vera minaccia..."
"Sei in un riformatorio di soli ragazzi, che vuoi qui?", continuò fissandola malizioso. "Sei in cerca di avventura?"
A quel punto lei rise.
"Non credo saresti in grado di soddisfare le mie aspettative."
"Dammene l'opportunità..."
La donna camminò un po' per la stanza. Poi si bloccò.
"In realtà l'avventura c'è, ma è per te."
Poi di scatto lo afferrò per il collo, e gli tolse il manganello di mano.
"Morire male può essere una grande avventura", disse recuperando un'arma da taglio "Comincia a rammentare ciò che hai esercitato sui ragazzi di questo istituto..."
Poi la lama trafisse prima il braccio destro, poi quello sinistro, in seguito le gambe, rispettivamente destra e sinistra, i palmi delle mani, il viso e il ventre.
L'uomo cadde a terra, e in pochi secondi il corpo si imbevve nel suo stesso sangue.
La donna sorrise compiaciuta, recuperò il coltello ed uscì dalla finestra.
Rendi e Mainetti entrarono nell'ufficio di Dalia.
"Non si usa più bussare?"
"Crediamo di aver scoperto chi è la donna", esordì Rendi.
Dalia fissò Mainetti e riportò lo sguardo su Rendi.
"Parlate, vi ascolto."
"Al paese ci hanno raccontato di una famiglia rovinata. Madre e due figli, il padre li aveva abbandonati tempo fa. Fatto sta che ci è stato riferito che il ragazzo ha commesso una bravata che gli è costata un anno di riformatorio, e anche la vita. È morto lì dentro."
"E?"
"Stando alle chiacchiere del paese, la sorellina minore non l'aveva presa bene."
"Perché, che faceva?"
Rendi fissò Mainetti e ritornò su Dalia.
"Scriveva lettere ai riformatori. Praticamente una ragazzina, aveva dieci anni o giù di lì..."
"Una bambina, in pratica..."
"Già. La donna potrebbe essere lei."
"Avete dei nomi?"
Rendi esitò.
"Si chiama Rebecca Paternò."
Dalia sorrise ed entusiasta disse: "Fate una ricerca del nome per l'indirizzo, sperando che si chiami ancora così."
"Già fatto, Viale dei Muschi 10. Abbiamo il permesso per il sopralluogo?"
Il vicequestore piegò il capo come fanno i cani: "E me lo domandi anche?"
Mezz'ora dopo, Rendi, Mainetti e gli altri due loro partner, erano già sul posto.
Due salirono, Mainetti fece il giro da dietro il giardino, mentre Rendi entrò dal garage.
Fece qualche tratto quando in lontananza scorse una donna estrarre da una borsa, un coltello.
"So tutto su di te, Rebecca."
La donna si voltò a fissarlo.
Lei esitò.
"Punire non è un tuo compito...", continuò lui.
Rebecca appoggiò comodamente i gomiti al bancone e rispose: "Sì che lo è."
Sergio Rendi fissò il suo sguardo, e sembrò scorgerne una lacrime quando gli disse: "Avevano mandato in riformatorio mio fratello per una bravata, e allora avevo cominciato a scrivere lettere a qualche riformatorio di Roma perché le guardie non esercitassero violenza gratuita sui detenuti", tirò su col naso e continuò. "Mio fratello non meritava di essere cacciato lì dentro per una cosa del genere..."
Rendi mise le mani avanti. "Lo so, Rebecca. Tuo fratello è stato solo sfortunato."
"No, ti sbagli! Mio fratello era pronto a pagare per quello che aveva fatto, ma chi avrebbe dovuto occuparsi di lui, se n'è approfittato."
Con tono piatto ma colmo di ribrezzo, spiegò: "Certe guardie che avrebbero dovuto sorvegliarlo, l'hanno stuprato e lo hanno torturato", fece una pausa. "Un giorno ci sono andati più pesanti del solito, e mio fratello ci ha rimesso la pelle. L'hanno pestato a sangue..."
Lasciò trascorrere qualche secondo necessario a riassumere un tono di rabbia, e proseguì: "Quindi non venirmi a dire che non spetta a me punirli. Tocca a me farlo, se nessuno se ne interessa. Gli errori si pagano, ispettore, e loro non sono da meno."
Recuperò il coltello e ne fissò la lama.
Rendi le puntò la pistola contro.
"Voi ispettore, avete il cuore più grande che io abbia mai visto. Non lo farà."
"Io non ne sarei così convinto se fossi in te."
"Tu sei come me. Punisci i cattivi."
"Con la differenza che io sono un poliziotto e tu un'assassina."
"Ma l'istinto è quello", fece una pausa. "So di tua sorella..."
"Tu non sai niente."
"So che tuo padre abusava di lei."
Rendi continuava a puntarle l'arma contro.
"So cosa si prova a sentirsi inermi, sai cosa succede ma non puoi agire, non puoi difendere un tuo caro...", continuò facendo spallucce. "Dopotutto non faccio altro che punire qualche criminale di troppo."
"Non così."
"Le mie lettere non sono servite; come vedi anche tu l'omicidio è una soluzione molto più efficace. Fanno tanto i duri, ma non sono altro che dei vermi vigliacchi e schifosi..."
"Le lettere."
"Cosa vuoi sapere?"
"Come facevi a sapere quali riformatori avevano sorveglianti aguzzini?"
Rebecca sorrise.
"Studiando i dettagli. Ho avuto tanto tempo da quando mio fratello è morto..."
"E quanta gente dovrà ancora morire?"
"Quanta lo meriterà. Dipende da loro."
"Come puoi decidere chi deve vivere e chi invece deve morire?"
"E la guardia che ha ucciso mio fratello chi era per farlo?"
"Era questo che volevi? Diventare come loro?"
Rebecca lo fissò offesa.
"Tu lo sai cosa succede nelle carceri, no? Sei un poliziotto. Ogni singolo giorno ragazzi, uomini e donne vengono sottoposti a pestaggi, abusi e Dio solo sa che altro...", fece una pausa. "Io non ho fatto altro che punire chi esercita del male su altra gente, non sono un'assassina, non è la stessa cosa."
Rendi scosse il capo.
"È troppo facile pensarla così."
A quel punto gli sorrise, e d'improvviso, con una serie di ruote e acrobazie, si ritrovò alla fine del garage, proprio vicino alla porta.
"Se avessi voluto uccidermi, l'avresti già fatto, ispettore!", gridò dal fondo dello stabile.
Poi scomparve.
Rendi sparò un colpo, ma senza successo. Era fuggita.
Solo in quel momento arrivò il suo partner.
"Allora, dov'è andata?", domandò guardandosi intorno.
"Se n'è andata..."
"Che cosa?", chiese sbalordito puntandogli gli occhi addosso.
"Hai capito. Mi è sfuggita... Non sono riuscito a colpirla."
Mainetti distolse lo sguardo dal poliziotto e chinò il viso.
"Speriamo che la smetta di fare la paladina..."
Rendi non smise di fissare la porta del garage dalla quale era fuggita, quando rispose: "No, non la smetterà."
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