Seduto sui ricordi di un pomeriggio in un giorno da cani provo a scacciare i pensieri che mi riportano indietro nel tempo e mi perdo dietro due lunghe trecce ed una corta gonna a colori vivaci.
Lei mi sorride e parla dei suoi problemi ed io, pieno dei miei ed in silenzio, provo ad allungare con lo sguardo una mano e riesco a sfiorarla con la mente.
Immagini sfumate che ora tornano nitide e che, subito dopo, lasciano posto ad altre perse dietro il verde delle foglie d’alberi maestosi di un bosco ancora inesplorato.
Il mio tormentato e inaccessibile passato, prossimo futuro di un congiuntivo oscuro ed inarrivabile e pensieri più modesti ma attuali che pure mi sfiorano nel grande caos del momento. È impenetrabile la mente, traccia sentieri che s’intersecano al primo bivio o che corrono in parallelo lo stesso spazio senza mai confrontarsi. Pensieri grandi come la coscienza, l’essere e il sentire o miseri, umani e banali come il pranzo, una scopata, una partita di calcio, una poesia o un racconto in rete.
Scrivere tanto per scrivere. Scrivere per stupire e stupirmi o per immaginarmi scrittore o, peggio, poeta. Scrivere per sognare e trovare un appiglio e non lasciar scappare le emozioni e i pensieri che mi tengono in vita e che danno senso e ragione ai fatti e alle circostanze del giorno. Scrivere di se per fermare sensazioni, immaginando di poterle condividere e riscriverle nelle sensazioni e nelle emozioni degli altri. È questo il senso e la ragione o soltanto un’altra illusione.
Montagne di testi che si sprecano nell’indifferenza o si perdono dietro banali commenti superficiali. Non è più il tempo di speranze o di successi a basso costo: è il giusto prezzo per una popolarità irreale che non può dare senso ad una vita sprecata dietro un p. c. alla ricerca di un’identità virtuale spesso mascherata da un nick-name banale.
E ritornano in mente le stupide ed inconfessabili motivazioni che rendono possibile questa vana tentazione di verità e che s’infrangono e muoiono contro il muro di gomma eretto a difesa dell’irrazionale oltre ogni ragione.
Come un cartone animato trovo identità e coscienza di una favola antica e riproposta, rivisitata e riscritta con gli occhi e la coscienza di un soldato che ha perso tutte le guerre ma non la speranza.
Resta di stucco, sono un barbatrucco; dolce e piccolo Remì alla berlina come il più stupido ed ingenuo eroe che muore immaginando di aver compiuto la propria ragione d’esistere. Diabolik è stato infine arrestato da Ginko, Eva Kant si è rifatta una vita e Robocop ha fatto i conti con la propria coscienza ed è andato in pensione.
A tutto dovrebbe esserci un limite ma l’intelligenza non sopravvive alla presunzione e, di questi tempi, è stupido ed oltremodo inutile credere che Biancaneve possa salvarsi rifugiandosi nella casa dei nani.
Il sole sta calando dietro l’ultima montagna e la sera, tra non molto, porterà il buio con i suoi fantasmi, le paure e le speranze di sempre. Ed è questo il migliore momento per una giornata che è filata via come tutte le altre e che non ha realizzato nemmeno una nota del programma.
Resta solo qualche rigo e il rimpianto per quello che poteva essere e non è stato ed il dolore e la fatica di vivere si mescola ai sogni di sempre ed alla realtà immutabile.
A niente serve questo sfogo se non a testimoniare una maniera di sentire e vedere. Un sistema sbagliato ed antipatico per non lasciarsi andare e continuare a cercare.