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La preda
1
05: 24 A. M.
Mike Ostin stava seduto sul duro lettino a strisce bianco/blu, nella cella n°123 del penitenziario di Teodosio; Virginia. Rinchiuso nel braccio della morte aspettava paziente l’esecuzione. La sua colpa? Essere un serial killer, di quelli sadici, cattivi, che alle sue vittime faceva tanti giochini lunghi e dolorosi prima di lasciarli morire dissanguati. Aveva iniziato da bambino, allora si divertiva a scuoiare vive le lucertole che catturava, le legava ben bene, poi le affettava, striscia dopo striscia; un lavoro da certosino. Ovviamente alla mamma questo passatempo non piaceva, ciò che gli piaceva invece era punirlo, percuoterlo a sangue, sino allo sfinimento, ogni scusa era buona per soddisfare questa sua perversità. Povera mamma, in fin dei conti non sbagliava, era davvero cattivo e lei fu la prima ad essere fatta a pezzi!
Gli occhi azzurri di Ostin vagarono frenetici nel vuoto della cella, soffermandosi, sui muri spogli mentre i pensieri correvano, correvano, correvano. Sentiva nuovamente il bisogno che alimenta il piacere, nel rimembrare tutte le sue gloriose esecuzioni. Era stato fermato a dodici, tutte donne bionde, dalla candida pelle bianca, ma molto presto avrebbe ripreso la sua opera. Non potevano trattenerlo, figuriamoci giustiziarlo, nessuno poteva costringerlo a restare in un posto per più di quanto volesse e ora si era stancato. Era giunta l’ora di uscire, così come aveva fatto le altre volte. Lo sguardo cadde sulla Bibbia che teneva sulle ginocchia, con la mano accarezzò la copertina di cuoio nero, liscia e lucida, gli ricordava la pelle di una ragazza nera che aveva scuoiato alcuni anni fa, solo che questa non urlava ogni volta che la toccava. Don Ambrogio, il prete del carcere, affermava che il sacro testo lo avrebbe aiutato nei momenti di sconforto, tanto più che l’esecuzione era fissata per la sera stessa; 19: 00 P. M. Quella sì che era una cosa davvero cattiva! Rise, aprì la Bibbia a pagina 24, versetto 17.
“ ... mentre percorreva la via per Damasco, Isaia si tormentava sul volere del Signore che in sogno gli aveva detto...”
La frase era troncata da un lungo e sinuoso bisturi conficcato tra la carta, risplendeva baciato dalla luce mentre faceva dondolare il sacro testo tra le mani, muovendolo dolcemente in modo che piccole porzioni di luce lo colpissero in vari punti, facendolo risplendere come un piccolo firmamento.
Sorrise convinto che quella era la chiave per uscire da lì; finalmente poteva riprendere la sua caccia!
2
L’ispettore Gordon Scalia si frugò nelle tasche del lungo e consumato impermeabile, riuscì a recuperare un vecchissimo pacchetto di Malboro accartocciato, dentro tre sigarette.
(Meglio, fumare fa male...), pensò avvicinando la fiamma dell’accendino alla sigaretta, tremava un po’ stretta tra le labbra. Diede tre lunghe tirate rendendo l’estremità del bianco involtino di carta rosso e ceneroso, dense nubi grigie salivano verso il soffitto saturando l’aria.
- Ehi Gordon, non sai che fumare fa male?
- Si, ma sto cercando di smettere…
Il detective Steven Charlers gli si avvicinò con passo veloce, come il solito sfoggiava un impeccabile vestito in doppio petto, e l’immancabile sorriso splendente da star pubblicitaria di dentifrici. Odiava visceralmente quello spilungone dalla battuta pronta e spiritosa, lo faceva sentire ancora più pezzente di quanto lo era realmente, guardandolo più volte si domandava se fosse realmente un poliziotto o un modello di Valentino che giocava a fare lo sbirro. Lo odiava ancor di più da quando aveva catturato il maledetto Ostin. Gli aveva dato la caccia per sei lunghi anni, per tre volte era riuscito a fuggire dopo l’arresto, la sua vita era stata rovinata da quel rincorrersi che sembrava non avere mai fine, non poteva mandar giù il fatto che fosse stato proprio lui, l’ultimo arrivato, a catturare la sua “preda”. Era arrivato anche a pensare che il vecchio Ostin si fosse volutamente fatto catturare da Steven, ultimo dispetto di un vecchio nemico.
- Allora, oggi è il gran giorno: frittata mista! -, riprese Steven più sarcastico del solito espandendosi nel suo miglior sorriso Durbans; quasi lo abbagliava.
- Scommetto che non vedi l’ora!
- Certo, guarda come saltello di gioia.
Gordon allargò le braccia per rendere ancora più esplicita la sua staticità.
- Ha! Ha! Ha! Sempre le solite battute spiritose -, così dicendo gli mollò una pacca sul bisunto impermeabile sollevando piccole nubi di polvere.
- Già...
Steven rise ancora quasi piegandosi in due, Gordon gettò in un angolo la cicca e s’infilò un’altra sigaretta in bocca voltandogli disgustato le spalle.
- Aspetta, aspetta...-, mormorò l’altro con le lacrime agli occhi mentre cercava di fermarlo. - ... davvero non rimani a vedere l’esecuzione?
- No!
Lo spilungone parve sorpreso, infilò le mani in tasca e si fece terribilmente serio.
- Sinceramente non ti capisco.
- Mi sarei stupito del contrario.
Gordon gettò la sigaretta proprio sotto il cartello rosso con la scritta “Vietato fumare” e s’incamminò verso l’uscita.
3
Una donna dai lunghi capelli biondi raccolti in un perenne disordine, un viso scavato dall’ingeneroso passare del tempo che gli conferiva un’età doppia di quella reale. La pelle bianca, decadente, sotto due occhi spiritati dalla pazzia, e quella voce stridula e sibillina che rimbalzava per le stanze.
- Sei cattivo Mike: bisogna punirti!
La donna sembrava un enorme orco fatto di buio e gelo, sovrastava il piccolo fagotto di carne e stracci che tremava ai suoi piedi, con il terrore che a malapena gli lasciava uscire dalla bocca sconnesse suppliche di perdono.
- Mamma ti prego non farmi male... sarò buono, prometto!
Lei non l’ascoltava, sollevava per aria quell’esile braccio che non sembrava capace di tanta forza, ma quando calava fendendo l’aria la striscia di cuoio nero che reggeva produceva un sibilo cupo, poi uno schiocco forte e un lancinante urlo di dolore. Quel braccio instancabile continuava nella sua corsa pazza, avanti e indietro, per ore. Ad ogni passaggio portava via un pezzo di quel piccolo corpo martoriato mentre negli occhi del bambino rimaneva, confusa dalle lacrime, quella sagoma oscura e il luccichio sinistro della fibbia argentata che colpiva. Poi c’era quella frase orribile, sempre seguita dallo stesso suono.
- Sei cattivo...
SWISH!
- Cattivo...
SWISH!
- Cattivo...
SWISH!
- Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivooooo!!!!!...
SWISH! SWISH! SWISH! SWISH! SWISH!
- No, mamma basta!
Sudava, tremava, piangeva. I grandi occhi azzurri sembravano torrenti in piena per le lacrime che aveva versato. Mike rimase immobile fissando le sbarre, e il nulla oltre, seduto sul letto con in mente ancora quelle immagini, l’incubo che lo tormentava quasi ogni notte, lasciandogli al risveglio la vocina stridula che gli rimbalzava nel cervello come una palla impazzita.
Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo!
- Basta!
Portò le mani tremolanti a coprire le orecchie, ma la voce come sempre non spariva, continuava rimbombante per ore e ore come un’eco lontano. Ricordò come la prima volta fu facilissimo zittirla, era bastato afferrare la striscia di cuoio al volo, mentre la madre la faceva fendere l’aria, e tirare a sé quel fragile corpo che lo reggeva, precipitandola sul coltello che teneva in mano. Nel trambusto generale era caduto sul pavimento, la mamma era troppo concentrata nel dare sfogo alla sua furia per accorgersi che l’aveva raccolto. Non poteva certo immaginare una sua ribellione. Lei era sta la prima, la sua agonia durò mezz’ora, immersa in una pozza di sangue sempre più grande con quella lama ficcata nel ventre che bruciava, bruciava, bruciava... per tutto il tempo continuò a ripetere una sola parola: cattivo.
Da allora quella voce lo perseguitava, di notte o di giorno, e in tutto quel tempo non aveva trovato altro modo per zittirla che uccidere ancora, tutte quelle pazze che tormentavano i loro bambini, lui in fondo li liberava da quegli abusi. Avrebbero dovuto essergli grato, altro che giustiziarlo!
Era convinto che, prima o poi, avrebbe trovato un modo per zittire definitivamente quella dannata voce, allora finalmente avrebbe trovato la pace.
4
La guardia nera, dal brillante nome di Albert Morton incisa sulla targhetta argentea che teneva appuntata sulla divisa, si fermò dinanzi al cancello sbarrato alle 18: 45. Disse solo poche parole: è ora!
Il cancello n° 123 si aprì automaticamente, Albert e altri due compagni entrarono con le catene e le manette per bloccare il prigioniero.
- Sono pronto!-, disse Ostin alzandosi dal letto sorridendo. Le guardie lo ammanettarono piedi e polsi sotto lo sguardo intimorito del prete; nessuno notò il bisturi che teneva nascosto.
5
Il lungo corridoio che conduceva alla stanza delle esecuzioni, in un orrendo verde pallido, più conosciuto come “ il sentiero della morte”, una delle ultime cose che i condannati vedevano. Il piccolo corteo avanzava lentamente, in quell’ambiente silenzioso la voce del prete de declamava in latino i salmi della redenzione suonavano sinistramente. Dietro il prete seguivano quattro guardie, poste agli ipotetici vertici di un quadrato il cui centro era il prigioniero Mike Ostin. La sua espressione esprimeva una noia paurosa, come se non fosse lui il condannato ma qualcun altro, tutti quelli che gli stavano accanto ma che ancora non sapevano; sorrise divertito a quella constatazione.
- Che ridi, stronzo, tra dieci minuti ti attacchiamo a quindicimila volt!
Ghignò il gigante nero posto sul suo lato destro.
- La vostra stupidità è esilarante, muso nero.
Lo sguardo spavaldo di Ostin incrociò quella della guardia, sorrise ancora più convinto.
- Che cosa hai detto?
- Oltre che negro di merda sei pure sordo.
Albert ci mise un attimo ad afferrarlo per il colletto della tutina rossa da “braccio della morte”, e a sbatterlo contro la parete, tirando a se quel viso odioso, quasi naso contro naso.
- Se ti faccio rosso a furia di manganellate ti piacerei di più!
- Morton metti immediatamente a terra il prigioniero e riprendi il tuo posto.
Il Capo delle guardie stava sulla sinistra, a circa un metro e venti di distanza, Albert era abbastanza distratto dalla situazione mentre gli altri due stavano svogliatamente dietro, il prete… chi se ne fotteva del prete!
- Sai muso nero…-, riprese Ostin facendo scattare come una molla la faccia di Morton nuovamente verso di lui. - … non credo che il rosso mi si addica, ma chissà che sul tuo bel nero non sia perfetto!
Ostin gli piantò velocissimo le mani sotto la gola, il gigante Albert scivolo lentamente verso il pavimento senza emettere un fiato. Un finissimo fiotto di sangue gli colò dall’angolo destro della bocca dischiusa, perdendosi nel rosso della divisa di Ostin.
- Albert, che hai, ti senti male?
Le due guardie si avvicinarono per soccorrerlo senza accorgersi di nulla, portandosi sui fianchi dell’ormai defunto collega. Un ottimo bersaglio!
- Lui ormai sta bene, al vostro posto mi preoccuperei d’altro.
Così dicendo fece saettare il bisturi prima a destra sul volto della seconda guardia, poi a sinistra colpendo la terza dalla gola al petto disegnando per aria una sorta di rozza “z”. Per un attimo si trovò a contemplare quanto fosse tagliente quel piccolo oggetto che teneva in mano. Albert ormai era morto, giaceva inginocchiato a terra, con il volto immerso nel suo stesso sangue, quasi volesse leccarlo via dal pavimento. La seconda guardia si dimenava come un ossesso schizzando sangue ovunque, teneva le mani calate sul volto ed urlava: i miei occhi! I miei occhi!
Il terzo invece fu un lampo, cadde in ginocchio a terra tenendosi l’enorme squarcio che gli aveva aperto al collo nell’impossibile tentativo di tamponare la ferita, un attimo dopo era morto. Il capo delle guardie probabilmente non aveva capito molto di quanto era accaduto, vide semplicemente i suoi uomini cadere morti a terra, in un mare di sangue, quando si rese conto che Ostin era riuscito a liberarsi estrasse finalmente la pistola determinato ad abbatterlo. L’alzò per prendere la mira e colpire ma fece in tempo solo a vedere il bisturi fendere l’aria, puntando dritto contro di lui.
6
Cinquanta secondi; tutto si era concluso in neanche un minuto. Ostin contemplò soddisfatto il suo operato, nonostante i due mesi passati in cella non aveva perso la sua tipica eleganza di movimento; n’era felice. Avanzò di cinque passi verso il corpo del capo delle guardie, lo rigirò a faccia in su osservandolo dubbioso; non andava bene! Prese saldamente l’estremità del bisturi e la strappò via dall’occhio destro del cadavere, un pezzo di cornea si lacerò e ruzzolò giù. Peccato! Proprio sull’ultimo s’era sbagliato, aveva mirato al cuore, invece aveva colpito da tutt’altra parte. Si consolò costatando che aveva lo stesso raggiunto il suo obiettivo, poi poteva ancora migliorarsi con il prete.
7
- Aiuto! Aiutatemi!!!
Don Ambrogio aveva corso come un matto per tutto il corridoio, fino al cancello sbarrato da cui si accedeva ad una biforcazione. Quella a destra portava verso la stanza delle esecuzioni mentre quella a sinistra conduceva ad un’uscita al cortile esterno. Nella gabbiola dove si trovavano i monitor di controllo e i comandi d’apertura automatica dei cancelli non c’era nessuno; dove erano finiti tutti?
Guardava frenetico oltre le sbarre, sperava che da un momento all’altro qualcuno sarebbe accorso, attratto da tutte quelle urla. Ma non arrivò nessuno.
- Don Ambrogioooo!
La sagoma rossa di Ostin si avvicinava lentamente, nella destra stringeva ancora il luccicante bisturi imbrattato di sangue, nella sinistra un mazzo di chiavi tintinnanti.
- Don Ambrogioooo… perché fugge? Ieri era tanto ansioso di redimermi, non avrà mica paura di incontrare Dio.
- Stai lontano, io non ti ho fatto nulla di male!
- Come tutti.
Ostin sembrava un enorme demone rosso, Don Ambrosio si strinse con le spalle sulle sbarre, quasi volesse tentare di passarci attraverso, avvertiva come l’assalitore pregustava la sua paura, la sua sofferenza, come una droga, gli dava piacere e gioia. Un demone assetato di sangue…
- Ti prego, non farlo, il Signore non vuole!
(Il Signore non vuole…)
Quella frase.
(Cattivo!)
La mamma.
(Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo!)
La voce stridula e petulante gli investì il cervello come una scarica elettrica, lasciò cadere le chiavi a terre e si portò la mano libera alla testa. Barcollò stordito, e in fine cadde sulle ginocchia, sofferente come fosse stato colpito da una manganellata alla tempia.
(Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo! Cattivo!)
- Noooooo! Basta maledetta puttana, bastaaaaaa!!!
Don Ambrogio lo fissava sbigottito, il suo assalitore gli stava inginocchiato dinanzi, in lui non vedeva più quella luce maligna che fino ad un attimo prima lo avvolgeva, ora sembrava soffrire terribilmente; dalla bocca contorta dal dolore colava sangue e saliva. Poi la sua espressione mutò improvvisamente, assumendo un ghigno divertito tipico dei folli e prese ad urlare esaltato.
- Si… ho capito! Ho capito!-, rise abbracciando il prete, strofinandolo al suo vestito lercio di sangue e saliva. Si sentiva anche un forte odore d’escrementi.
- Sai, la mamma mi tormenta da sempre ma ora so come farla stare zitta, ora finalmente ho capito. Era così semplice! Così semplice!
Rise, poi il suo urlo lacerò l’aria.
- Mamma ora vengo su a spaccarti il culo!
Si posò il bisturi sulla gola e scattò veloce da sinistra ha destra con un movimento brusco che gli squarciò la pelle molle. Un enorme sbuffo di sangue investì in pieno Don Ambrogio accecando per un attimo, senti il suo sapore amarognoli riempirgli la bocca, disgustato avvertì il corpo di Ostin che gli cozzava sopra.
Cinque minuti dopo un gruppo di guardie finalmente arrivò, Don Ambrogio era sempre lì, immobile. Per quanto gli domandassero cosa fosse successo lui rimase muto. Non si riprese mai più dallo shock.
8
“ Segnaliamo a tutte le auto del settore quattordici, la presenza di una Ford Skorpion color grigio metallizzato, targa KA1356GT, presumibilmente diretta a nord. In tutta la zona sono stati istituiti posti di blocco, ricordiamo la pericolosità dell’individuo, armato, le sue generalità…”CLIK!
I grandi fari della Ford Skorpion squarciavano appena il buio della notte che copriva la strada e il mondo, lasciando il guidatore solo dinanzi ai suoi pensieri. Gordon ripensava agli ultimi avvenimenti, alla sua vita insensata, non tanto diversa da quella del suo alter ego Mike Ostin. Non doveva andare così, non aveva previsto quel tipo di finale; ora cosa gli rimaneva? Nulla. Ostin era riuscito ha fuggire nell’unico posto dove non sarebbe mai potuto andarlo a pescare. Quell’idiota di Steven non aveva mai sospettato nulla, sicuramente se non avesse lasciato quella lettera con la confessione non sarebbe mai riuscito ad unire tutti gli indizi che per sei anni aveva sparso, faceva tutto parte della partita, peccato non aver mai trovato un terzo giocatore alla loro altezza. Ostin uccideva, lui lo catturava, lo aiutava a fuggire e si ricominciava da capo. Ora però non aveva più senso continuare, ormai la polizia gli dava la caccia, ora toccava ha lui fuggire, farsi acchiappare. Chissà fare la parte di Ostin avrebbe potuto essere anche divertente se dall’altra parte non ci fosse quell’idiota di Steven Charlers. Forse poteva ricominciare…
No, l’arbitro ormai aveva fischiato: la partita era finita. Poteva giocare a fare Rambo, forzare tutti i posti di blocco, combinare un casino assurdo prima d’andarsene… ma anche quell’idea non gli piaceva, poi lui non era tanto pazzo. Fermò La macchina su un grande ponte di ferro rosso, la sua architettura era orribile, Gordon la scrutò attentamente mentre scendeva dall’auto, pensò che perfino lui avrebbe potuto progettare qualcosa di meglio. Oltre la balaustra, lo strapiombo pareva un enorme voragine, si perdeva nel buio della notte come un pozzo senza fondo; salì sopra la balaustra. Il vento lì soffiava forte, era difficile mantenere l’equilibrio, doveva comunque resistere il più possibile, faceva parte del nuovo gioco che aveva appena intuito, solo che in questo le regole non le aveva dettate lui. No, stavolta a condurre il gioco era il maledetto Ostin. Rise, pensava che in questo modo avrebbe evitato il confronto, lui non si arrendeva di certo, lo avrebbe raggiunto e preso a calci in culo sino al giorno del giudizio, non poteva essere battuto, Gordon Scalia era troppo furbo. Fece un piccolo passo e si trovò a vorticare nel vuoto. Era difficile orientarsi, vide il ponte roteargli attorno, stralci di cielo e cime d’alberi, come se tutto fosse stato frullato da un enorme centrifuga. Ad un certo punto gli parve di vedere il fiume, era tanto vicino da poterne contare anche le pietre, ogni dannato sassolini, anche i granelli di sabbia.
SPLASH!
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- Mauro fanne un romanzo! C'è tutto il materiale. È avvincente, bei dialoghi, fluido nella narrazione.
A presto Simona
- davgvero super!" complimenti, a quando il prossimo scritto?
un sorriso
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