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Roma Milano, andata a meta'
Ero di nuovo su quel treno, per la seconda volta in un mese.
Come al solito Lui aveva chiamato ed io ero corsa, passando a rassegna l'ennesima giustificazione da usare come alibi per non svilire ulteriormente la mia dignita'.
"baby, stiamo insieme questo we? Arrivo a Milano venerdi' , saro' impegnato fino alle sei, ma se arrivi in serata, abbiamo due giorni pieni per soddisfare i nostri bisogni, e mi prendero' molta, mooooltacura di te!"
Lui e' un uomo pericoloso, pericoloso perche' irresistibile, come lo sono tutti i bastardi patentati con tanto di pedigree, e io sono una donna, fragile per giunta; una di quelle che indossa la sua bella maschera da stronza e si incarta nel rivestimento grigio della paura di non essere accettata.
Lui e' un artista, gode di fascino intrinseco, glielo hanno fornito in dotazione alla nascita, lui e' stato abbastanza sveglio da farne la sua carta vincente. Ha una voce che quando l'ho sentito per caso la prima volta ho pensato " io da uno con una voce cosi' mi farei dire le peggiori porcate del mondo",
Neanche troppo tempo dopo ho scoperto che non avrei neanche dovuto pregarlo più di tanto.
Con quella voce suadente e subdola e' in grado di trasferire dentro le tue vene i suoi desideri come se fosse la cosa più lecita del mondo
A fare da fiocco al pacco regalo, natali d'oltremanica che me lo figuravano affascinante per default.
A volte gli incontri nascono come scontri, e hanno la loro storia e il loro codice genetico gia' segnati.
Non avevo neanche replicato, come un automa avevo per l'ennesima volta soddisfattole sue richieste, io ero un clown con la maschera, e lui questo lo sapeva bene.
Anche un uomo non particolarmente intelligente ricorre alle doti dell'esperienza li dove madre natura non ha fornito un grosso peso specifico in termini di materia celebrale, ma non si poteva neanche dire che Luke non fosse uno sveglio, anzi.
Cosi' avevo fatto il mio biglietto, avevo investito questi 200 euro circa per darmi un tono da signora in prima classe, che avrei impastato con i miei jeans e i miei stivaletti da due soldi, ma spararmi le pose e' sempre stata una mia attivita' primaria.
Lato finestrino per poter prendere coscienza della mia vita riflessa nel vetro lungo le gallerie, quando il buio mette a nudo l'aura pulsante e leggermente sbiadita della tua natura.
Andavo, ma non sapevo più neanche il perche', era un rapporto di sesso, solo puro, genuino, cattivo e artistico sesso.
Sesso che avrebbe potuto avere da qualsiasi donna, la gratificazione che potesse chiederlo a me, mi spingeva a percorrere 500 km.
Luke era istrionico, una bestia da letto con mille voglie racchiuse in un fisico asciutto e scolpito di porcellana, non palestrato, semplicemente perfetto.
Due occhi cattivi e vitrei di un azzurro imbarazzante, ti mettevano a nudo ancora prima di spogliarti.
Le fermate erano Firenze, Bologna e infine, Milano, tutto sfibrato in 500 km di linea veloce che si sarebbero arresi all'evidenza di un ritardo accademico.
In qualche posto nascosto del mio stomaco, speravo che quel ritardo soffrisse per l'occasione della sindrome da fisarmonica, che si estendesse all'inverosimile.
Il treno invece si era messo in moto in orario. Tutto il rituale grottesco da prima classe. I cellulari spersonalizzati di una suoneria che li rendeva un po' meno crudeli nel loro invadere le vite, i biscottini e il giornale servito da una bionda e sorridente signorina che avrebbe potuto fare la modella ovunque e invece era finita a fare la hostess, la chiama Trenitalia, la cameriera la chiamo io, in un lussuoso vagone di un qualunque Frecciarossa Roma Milano delle! 4:30 di un venerdi'.
Lui ha gia' mandato un sms
"Stasera ho in mente un bel modo per celebrare il tuo nuovo tatuaggio!"
Avrei voluto rispondergli che prima avrebbe dovuto provvedere con una overdose di zabaione che il mio fisico annoiato aveva più voglia di carezze che di manipolazioni perverse.
Nella fila di seggiolini oltre la mia un ragazzo parlava toscano, pulito lineare, sarebbe sceso a Santa Maria Novella.
Un sorriso malinconico si e' cucito sulle labbra. Firenze era una scatola cinese dove avevo conservato frammenti di adolescenza, di amici che avrebbero fatto da seme alle prime sperimentazioni sentimentali, alle fughe a San Miniato al monte. Alle schitarrate notturne inzeppati nella soffitta di Ruggero.
Io all'epoca vestivo praticamente solo di nero, avevo i capelli corti e molto poco che ricordasse una donna.
Oggi sono molto donna, ma vesto l'animo di nero.
Ruggero e' una di quelle persone che sa lasciare il retrogusto buono della presenza nell'assenza.
Tutti i mie amici avevano subito la diaspora della vita, ognuno aveva seguito un percorso dettato dall'esigenza, di soddisfazione economica piuttosto che sociale. C'erano brandelli si storie e di ricordi in qualche album fotografico, ma avrei giurato che quelle storie non avrebbero mai corrisposto agli stessi indirizzi a cui ero abituata a citofonare in pomeriggi estivi o la mattina per condividere il percorso fino alla campanella di scuola.
Anche il numero civico grida vendetta di emancipazione, o forse no?
In una frazione di secondo nella mia mente aveva preso forma l'idea di un folle tentativo, una corsa indietro nel tempo alla ricerca di volti trasformati, su cui erano incastrati gli stessi occhi, la delusione avrebbe potuto essere grande, ma era solo un'ipotesi, giacche'non avevo avuto tempo per costruire delle illusioni.
Avevo 20 minuti per mettere in discussione un viaggio, per regalarmi un miracolo o affossarmi di uno scalino nelle fiamme dell'inferno di un albergo.
Le scelte rapide, quelle in cui decidi seduto su una bomba ad orologeria senza avere la facolta' di disinnescarle, possono non essere efficienti, ma a volte si rivelano tremendamente efficaci. Qualcosa scoppia comunque alla fine, fosse solo un gran mal di testa.
All'improvviso dall'altoparlante, una voce femminile gracidante avvisa che siamo prossimi alla stazione di Firenze, i signori sognatori viaggiatori sono ringraziati della scelta effettuata, invitati a ritornare e pregati di prelevare tutti gli oggetti personali.
Sprofondata nel seggiolino, un principio di tachicardia, nel frangente dove e' meglio mandare in vacanza il cervello e farsi trascinare dall'istinto estinto.
Il treno si ferma in stazione, chiudo gli occhi sorridendo, l'istinto consente una insolita rapidita' d'esecuzione. Conosco bene i binari di Santa Mari a Novella, gli orari delle partenze e degli arrivi per Arezzo e Pisa.
Casa mia aveva il balcone della sala da pranzo che affacciava sui binari. Da via Deella Scala si sentiva addirittura il campanello degli annunci, con il vento a favore.
La sveglia era regolata con la partenza del treno per Lucca dal binario 17, quello interno.
Quando partivo per le gite o per andare a trovare i nonni, mia madre mi salutava dal balcone, io mi illudevo sempre che mi vedesse da dietro il finestrino, salutava in realta' ad intervalli regolari perche' io potessi pensare che lei mi avesse individuata, formica com'ero, nel vagone che mi avrebbe cullato fino a destinazione.
Alzo il manico del mio elegante trolley che ha la scocca areografata con un quadro di Miro'.
Conosco a memoria i passi che mi dividono dalla soffitta dei ricordi, passavo per la stazione anche allora, si tagliava, rubavo il tempo per restituirlo con gli interessi all'allegria, Borgo del Noce era in posizione esattamente opposta rispetto casa mia e la retta che univa le nostre vite era a perpendicolo con i binari della stazione.
Affretto il passo, il mio passo e' sempre affrettato, ho sempre l'ansia di arrivare da qualche parte, non so neanche io dove. Accorcio le distanze con la sorpresa. La cupola del Brunelleschi che fa capolino tra le fughe delle strade, mi ricorda che per oggi una scelta l'ho gia' elaborata, e almeno per oggi, ho rimandato il mio appuntamento con il fuoco.
Il portone se ne sta li, sempre lucido a nuovo. l'ottone dei leoni che reggono gli anelli sembra prezioso, amplifica il tonfo di una chiamata.
La modernita' fa si che il punto di domanda risuoni in un citofono, faccio per avvicinare il dito, ma mi rendo conto che il cognome potrebbe non essere più quello.
La mia ipermetropia mi fa avvicinare ai pochi rettangoli in fila con i nomi inseriti in vetrina, e lamia scarsa altezza mi fa alzare sulle punte dei piedi, acosto il muso a genealogie estranee, leggo bene, , tutte estranee tranne una. Il destino gioca strani scherzi, o forse le scelte di vita sono scontate più di quanto pensiamo, o, infine, chi e' portato dalla vita ad imbracarsi e percorrere i mari in lungo in largo, ha bisogno di un porto sicuro, e il porto sicura diventa il luogo del tuo periodo migliore.
Affondo il dito per un secondo che mi sembra lunghissimo.
"chi e'?"
La voce e' diversa ma familiare, calda, da questa voce mi farei dire quanto sono bella e non porcate inverosimili.
"Ruggero Odescalchi, riconosci la mia voce?"
Sorrido, sorrido soltanto.
Intanto dalla tasca Luke borbottava qualcosa, io ho lasciato correre.
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0 recensioni:
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- Un racconto scorrevole da leggere.
- Prova a vedere la mia - Roma e la mia - Milano e fammi sapere
- Tu hai bisogno di un editor.
Ma, ripeto, sei brava.
Lo spunto sarebbe buono per qualcosa di più lungo, fa venire voglia di andare avanti.
Aspettiamo.
Saluti,
L'apicoltore
Ah! Una piccola cosa: mi sa che il trolley con la riproduzione di Mirò non è tanto elegante... magari era ironia.
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