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Un quarto di dollaro
Il tintinnio familiare fece emergere dal sonno tormentato l'uomo accartocciato sul marciapiede della trentaseiesima strada. Indossava un mucchio di stracci foderati di giornale ma questo non riuscì ad evitargli di sentire il morso famelico del gelo che ne salutava il risveglio. La neve ricopriva ogni cosa, davanzali, automobili, semafori, distributori di quotidiani, e la gente che passeggiava ne era deliziata perché la trovava un addobbo meraviglioso. Loro non poggiavano il sedere su un cartone, perciò non sapevano che al suolo la neve diventava ghiaccio duro e spietato che faceva male e gli rubava quel poco calore che riusciva a mettere insieme.
Lanciò qualche bestemmia silenziosa e tornò a concentrarsi sul tintinnio. Conosceva bene quel suono, non quanto avrebbe voluto ma abbastanza da distinguerlo in mezzo al trambusto del traffico e al vociare dei passanti. Era il suono allegro di un quarto di dollaro che cade in una tazza, la sua tazza, un cinguettio metallico ma caloroso, una risata argentina, un salvifico concerto di campanelle.
Raccolse la moneta e si guardò intorno in cerca della persona che l'aveva lasciata, ma non vide che la solita moltitudine indaffarata. Avrebbe voluto ringraziare ed augurare al benefattore un felice natale, tuttavia non si strappò i capelli per esserselo perso. <<Sarà stato proprio uno sforzo per te>>, bofonchiò mentre conservava la moneta nella tasca meglio nascosta. <<Un dollaro intero ti avrebbe mandato in bancarotta!>>
Non era una somma sufficiente a cambiargli la vita, in effetti, però era comunque più di quanto gli davano di solito. Odiava quelli che si chinavano guardandolo negli occhi con benevolenza, lasciando intendere che capivano la sua situazione e intendevano aiutarlo a rifarsi una vita, poi non lasciavano che uno o due centesimi. Almeno l'uomo del quarto di dollaro gli aveva dato una possibilità, quella di potersi permettere un hamburger se solo avesse messo insieme un altro quarto. Quella si che era generosità.
<<A natale sono tutti più buoni>>, commentò una voce amara accanto a lui.
Si volse di scatto e trovò che un altro barbone si era sistemato lì, sul suo marciapiede. Era un vecchio paffuto con una folta barba bianca, le guance cotte dal freddo come il grosso naso a patata e due occhietti piccoli che strizzava nel tentativo di vedere attraverso un paio di lenti sporche e crepate. Era vestito di stracci come lui, ma portava in testa un cappellino natalizio, uno di quelli rossi con la pelliccetta bianca ed un batuffolo sulla punta cascante. Quel particolare lo rendeva davvero ridicolo, del tutto fuori posto. <<Già, proprio buoni. Ma tu chi sei, vecchio? Non ti ho mai visto in questa zona.>>
L'anziano si strinse nel cappotto sbrindellato che portava e tirò su con il naso. <<Beh, di solito ci passavo in fretta, senza soffermarmi. Volando, si può dire.>>
<<Capisco. Sei uno dei nuovi poveri, impiegato di una grande azienda licenziato per via della crisi.>> Sistemò di nuovo la tazza davanti a sé, sul cartone, nella speranza di ricevere quel quarto di dollaro che valeva un pasto. <<Non c'è da vergognarsi, lo sono anche io.>>
Lo sguardo che il vecchio gli rivolse fu spietato quanto bonario, un rimprovero per la menzogna raccontata. Non c'era ragione per la quale l'uomo doveva sentirsi in dovere verso il vecchio, l'aveva appena conosciuto, tuttavia sentì una stretta al cuore, un profondo senso di colpa. <<Insomma, non proprio>>, cercò di rimediare. <<Diciamo che ho fatto qualche investimento sbagliato.>> Gli occhi del vecchio da piccoli erano diventati enormi ed esigevano la verità, o meglio sembravano conoscerla già. <<Ok, ok, non è andata così, ma smetti di fissarmi! Avevo un buon lavoro e guadagnavo bene, però avevo anche il vizio del gioco. Scommettevo, passavo la notte nei bar a sfidare sconosciuti a poker e biliardo. Perdevo sempre più di quanto vincevo, però quelle poche vittorie mi mandavano in estasi, erano la mia scimmia. Una sera, infine, puntai più di quanto possedevo su un colpo di biliardo facile facile, una gialla in buca d'angolo a partita finita.>>
Il vecchio avrebbe potuto infierire, avendo di certo inteso il finale della storia, ma il suo sguardo si fece proprio allora meno pressante, privo di alcun rimprovero, comprensivo. <<La gialla non entrò in buca>>, concluse l'uomo parlando ormai a se stesso, dicendosi le stesse parole che ripeteva da anni. <<Colpì di sponda il nero e lo mandò nella buca opposta. Partita persa e vita rovinata. Da allora vivo così, e la gente dei marciapiedi mi chiama Lenny Buca d'Angolo. Piacere di conoscerti, vecchio.>>
Tese la mano e la sentì afferrare da una morsa ferma e callosa. <<E tu perché sei qui? Quale soprannome dovremmo darti?>>
Il vecchio tossì e parlò con voce debole. Era visibilmente stanco, provato dalla vita in strada. <<Io sono inutile, per questo sono qui. Per il lavoro che facevo il natale era proprio il momento culminante, il giorno in cui tutta la fatica fatta per i preparativi trovava una ragion d'essere. Vivevo con il natale, e il natale viveva con me.>>
<<Beh, non mi sembra che il natale sia crollato in borsa>>, scherzò Lenny. <<Gli affari vanno bene in questo periodo.>>
<<Proprio così>>, ammise il vecchio a malincuore. <<Gli affari vanno bene. Ormai si compra tutto ciò che si può desiderare, non c'è più nulla che vada sognato a lungo, magari per un intero anno, prima di averlo. Ciò che facevo, sai, contava proprio su quell'attesa, sul desiderio. Aveva a che vedere con i sogni, in particolare con quelli dei bambini. Ma anche loro hanno già tutto, hanno smesso di desiderare, non hanno più la pazienza d'aspettare. Avrei potuto continuare comunque, ma non me la sento, sono troppo vecchio per cambiare il mondo, e ancor più per cambiare me stesso. Il natale non c'è più, non come era un tempo, ed io sono svanito con esso.>>
<<Ti sbagli.>> Ora era Lenny a rimproverare il vecchio, e lo faceva dal profondo del cuore. <<Il natale esiste ancora, eccome. Io ho una figlia, sai, una bambina che ora ha sette anni, e lei lo adora. Fa i biscotti di zenzero con la mamma e li appende all'albero, canta ogni canzone natalizia esistente, si fa vestire di rosso e scrive delle bellissime letterine a Babbo Natale. Lei non apre mai i regali in anticipo e prepara sempre latte e biscotti per lui, perché sa che durante i lunghi viaggi che fa ha bisogno di un po' di riposo e una merenda. È deliziosa, sai, davvero deliziosa, e a natale, stanne certo, è felice come mai.>>
Il vecchio sorrise da sotto la barba e si lasciò scappare una lacrima di commozione. <<Ero certo che nessun bambino credesse più in me.>>
Lenny non capì cosa voleva dire. In effetti, lo aveva appena conosciuto e non poteva escludere che fosse un po' toccato. Tra la gente dei marciapiedi la follia è spesso l'unica amica. <<Io dico che devi essere tu, innanzitutto, a credere in te stesso. E lo so che non sono proprio uno che può insegnare agli altri come vivere, ma questo consiglio te lo posso garantire, funziona sempre.>>
<<Dimmi, Lenny, da quanto non vedi la tua bambina?>>
Lenny Buca d'Angolo ricordò l'ultimo giorno trascorso con la piccola Stephanie e provò pena per se stesso. <<Tre anni, tre anni domani. Era il giorno di natale. Dopo accadde quel che sai e non ho più avuto il coraggio e la forza di rifarmi vivo.>> Rise piano, un riso che era un pianto. <<Pur volendo, non ho neanche i soldi per tornare a casa.>>
Il vecchio annuì e si alzò in piedi con una leggerezza insospettabile. Si frugò le tasche e ne estrasse un biglietto verde che Lenny nemmeno ricordava più. Lo lasciò cadere accanto alla tazza dell'elemosina. Erano cento dollari. <<Mangia qualcosa, datti una ripulita e torna a casa. Sono certo che la tua famiglia sarà felice di poterti riabbracciare.>>
Lenny raccolse la banconota e la osservò come avrebbe fatto con un biglietto vincente della lotteria. <<Vorrei ringraziarti, vecchio>>, mormorò con voce tremante senza staccare lo sguardo da quel rettangolo di carta verde e stropicciata, <<solo che non mi hai detto il tuo nome.>>
L'unica risposta che udì, colta in mezzo al trambusto e al vociare, fu una risata piena e deliziata che balzava fuori a salti dal pancione del vecchio. Quando si voltò, pur udendo ancora la risata, del suo benefattore non c'era già più traccia, proprio come era accaduto col quarto di dollaro.
Nell'indifferenza del mondo che andava avanti in fretta, un uomo pianse forte, pianse per via della gratitudine che provava e pianse perché, forse, all'indomani avrebbe potuto riabbracciare sua figlia. Quella sera e per tutta la notte successiva accadde a molti di ricevere doni inaspettati da un vecchio signore con la barba e tante vite ebbero a cambiare grazie ai suoi piccoli gesti. A nessuno disse il suo nome, ma ognuno di essi, nel profondo del proprio cuore, seppe chi ringraziare.
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0 recensioni:
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- Un po' di Natale anche a Maggio fa bene. Grazie, co-autore di fiducia!!
- diciamo che avrei dovuto leggere questo racconto all'incirca cinque mesi fa visto il tema trattato, oppure aspettare il prossimo Natale Ma ero troppo curioso e devo dirti che è davvero molto carino, evoca proprio lo spirito natalizio e le atmosfere che si possono vivere solo in quei giorni.
Bravo!!!
- Grazie mille, Roberta! Ricambio in pieno gli auguri. CIAO!
- Davvero molto carino! Bel racconto e bella stesura.
Ciao, buon anno!
- Grazie, Marco. Grazie.
- davvero carina Vincenzo bravo