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La festa di S. Giovanni
Arrivò il bel tempo e Giovanni, il bidello, mise in vendita panini con frittata di erbette tenere, appena colte nell'orto. Ne comprai uno e, appena in classe, mi avvicinai agli attaccapanni per controllare se la ragazza, del turno pomeridiano, proprietaria del grembiule che presentava la vita più stretta e il giro torace più generoso, avesse, putacaso, risposto alla mia missiva che nascondevo nel taschino ormai dall'inizio dell'anno.
Frugai e, con sorpresa, trovai un foglio piegato in quattro. Mi recai in bagno per leggere in santa pace. Lei scriveva di chiamarsi Teresa, d'essere mora con un bel viso, sul tipo Ava Gardner e d'essere molto seccata della mia maleducazione, aggiungeva il suo numero di telefono per offrirmi la possibilità di chiederle scusa.
Quella sera decisi di telefonare ad Ava. Mi rispose una voce femminile simpatica, domando di Teresa, presentandomi come un suo amico.
Teresa chiede chi sono, le spiego di essere l'angelo custode del suo bel grembiule che difendo dai loschi diavoletti, lei ride e osserva che forse farà meglio a portarselo a casa per alleggerirmi il lavoro. Ha la voce nasale e parla a raffica, sembra emozionata, io, invece mi sento incredibilmente calmo e spiritoso. Le racconto di noi del mattino, del panino con la frittata di Giovanni, che loro, poveri pomeridiani, non assaporano, dei professori che in parte condividiamo. Propongo di vederci all'uscita della scuola, lei mi avverte che a quell'ora deve correre a casa, io mi offro di accompagnarla.
Alle sette di sera attendo, nel vicolo, il suono della campanella. La scuola, al buio, mi sembra estranea, le aule sono tutte illuminate e l'edificio, visto dall'esterno, mi ricorda un transatlantico, i balconi arrotondati sembrano scialuppe di salvataggio, è il Titanic, immagino, mentre cominciano ad uscire le prime ragazze.
Mi accosto, come d'accordo, all'edicola dei giornali e aspetto. Sorrido ad una moretta che si avvicina, lei guarda altrove e se ne va, un'altra mi viene incontro decisa, è lei penso, ma un ragazzo la raggiunge e la porta via. Comincio a sentirmi ridicolo, mi starà guardando e non si vuole avvicinare, rimugino.
"Ciao!" dice una voce un po' nasale, mi volto e incrocio lo sguardo con una tipa rossa e con le lentiggini, ha il naso pronunciato e gli occhi nocciola dietro ad occhialini rotondi, porta i libri, serrati da un elastico, sotto il braccio. Sembra più una professoressa che un'allieva. "Allora? Somiglio ad Ava Gardner oppure a Rita Hayworth, che dici?" "Ed io non somiglio ad Alì Kan?" Rispondo, "potremmo andare alle corse dei cavalli". Lei sorride e chiede se davvero desidero accompagnarla, andiamo a piedi, così possiamo parlare.
Lei è figlia di uno spedizioniere doganale che lavora alla stazione Termini, abita dalle parti di Porta Pia. Camminiamo tenendoci a braccetto e io porto i libri. Teresa suona il piano e fa danza, mi racconta d'essere super impegnata e di non avere amici all'infuori di pochi compagni di scuola.
La mamma, è bella e ha una bella voce e canta, mentre lei purtroppo è brutta e stonata, però in classe è brava ed è l'unica a cui piace la matematica, integrali e derivate la fanno impazzire.
Ci salutiamo e lei sparisce dietro un elegante portone.
Sulla strada del ritorno cerco di ricordarla, non ho capito se Teresa mi piaccia, di sicuro non somiglia ad Ava e neppure a Rita forse un po' a Catharine Hepburn, decisi di lasciar perdere e di non cercarla più.
La campanella suonò proprio mentre il prof di latino sfogliava il registro alla ricerca di un nuovo candidato per l'interrogazione. Ci precipitammo fuori della classe con la faccia di quelli appena sfuggiti ad un naufragio.
In strada il sole splendeva e nel cielo le rondini si rincorrevano festose.
Abbagliato dalla luce e ancora sotto shock, mi avvicino all'edicola dei giornali dove scorgo Teresa. Indossa pantaloni blu e un golfetto attillato, nasconde i capelli ricci sotto un foularino colorato. Porta occhiali da sole e può essere scambiata per una turista inglese carina.
"Ciao!" mi dice, "sai che la scuola di mattino è diversa?" "Anche a me ha colpito l'edificio di sera, tu come stai?" Risposi. "Non mi hai più chiamato, di cosa avevi paura? Io non ti ho chiesto nulla, sei tu che mi hai cercato, però possiamo restare amici". "Tu non hai più inviato biglietti, pensavo che non volessi essere importunata", dissi. "Guarda che sei tu che non ne hai lasciati, ma è meglio che lasciamo correre".
"Facciamo un po' di strada insieme o hai da fare?" "Devo andare a casa, se vuoi ti accompagno e poi prendo il tram".
Ci avviammo silenziosi, poi lei cominciò a raccontare di essere andata alla Casa di Dante a sentire alcune letture del Paradiso, in particolare le era piaciuto il canto che descrive la visione che Dante ha di Dio su intercessione della Madonna.
"A me piace di più L'Inferno, della visione di Dio non ricordo molto, cos'è che ti ha colpito?" "Dante scorge tre sfere divise ma unite a rappresentare il mistero trinitario, e dentro una sfera scorge se stesso, penso, per significare che Dio non ha una forma, ma come l'acqua può assumerle tutte e in quel momento nella sfera si riflette il volto del poeta, anch'esso una sembianza di Dio". "Non capisco, vuoi dire che Dio è tutto e quindi può assumere tutte le forme comprese le nostre".
"Si e no", risponde lei, "le ultime frontiere della fisica si occupano delle particelle elementari e, secondo me, Dio potrebbe essere proprio rappresentato dal mare delle particelle che si aggregano secondo i diversi gradi di densità, a formare l'energia e la materia. Una nuvola di fuoco, come immaginava Parmenide o, anche, la "sostanza" di Spinoza".
"Senti", interrompo, "tu pensi solo alle particelle oppure qualche volta ti piace anche andare al cinema?" Lei mi guarda e con un sorriso, risponde, "Io amo i film gialli con la suspence e le commedie brillanti, se vuoi possiamo andare insieme al cinema ma anche a teatro, mio padre ha spesso biglietti gratuiti e tessere d'ingresso, tutto di prima visione".
"Caspita, ci vengo volentieri".
"Ho giusto due biglietti per entrare al Capitol, se vuoi ci andiamo domani sera, altrimenti scadono, mi sembra ci sia un film in costume di antichi romani". "Va bene, andiamo allo spettacolo delle dieci così prima mangiamo dei supplì e ci beviamo una birra".
Teresa era già davanti al Grande Hotel, dove c'eravamo dati appuntamento. Indossa un completo scuro di velluto, pantaloni aderenti che lasciano scoperte le caviglie, giacchino con colletto alla coreana. Porta occhiali ad ala di farfalla tempestati di brillantini, i riccioli rossi sono fermati in alto con una sciarpina di seta.
Sediamo sugli alti sgabelli della vicina rosticceria, famosa per i suoi supplì, ne ordiniamo quattro. Nell'attesa lei prende dalla sua borsa una scatola d'argento da cui estrae una sigaretta lunga e sottile, ne prendo una anch'io che lei accende con un piccolo Zippo d'oro. "È turca", dice soffiando un sottile anello di fumo, "ti piace?" "Non sono un gran fumatore", rispondo, "mi sembra buona". "Solo? Queste sono le sigarette che fuma Re Faruk, sono le migliori del mondo".
Arrivarono i supplì appena fritti, con la mozzarella filante e il sugo con i fegatelli di pollo. "Ti piacciono?" le chiedo, "sono i migliori del mondo", scimmiotta e ride.
Non ero mai entrato al cinema Capitol. Seguo Teresa alla cassa, sprofondando i piedi sul pavimento coperto di lana rossa, una ragazza in divisa, ossequiosa, sostituisce gli inviti con due biglietti, affidandoci poi alle cure di una mascherina procace che sculettando ci accompagna ai nostri posti, Teresa allunga una moneta di mancia e sediamo su poltrone immense foderate di velluto blu.
La storia è ambientata in Palestina ai tempi di Gesù, i romani sembrano brave persone mentre gli ebrei, quanto meno esagitati.
Lei profuma di qualcosa di frizzante che mi eccita, le chiedo cosa si sia spruzzata, risponde che è il profumo delle dive, Chanel numero cinque. Seguendo la scia del profumo mi accosto di più e poi con il braccio le cingo le spalle.
Scossa dalla corrente elettrica, lei si ritrae e mi avverte che se non siedo composto se ne sarebbe andata. Mortificato ritiro il braccio e proseguo, avvilito, la visione del film.
Durante il secondo tempo, mentre sullo schermo la storia si avviava verso la scontata conclusione edificante di martiri e santi, avverto il tocco di una mano sottile sulla mia.
Dita morbide s'insinuano tra le mie, giro lo sguardo verso di lei e scorgo nella penombra il luccichio degli occhiali e il chiarore del viso, le mani si stringono e restano unite fino al termine dello spettacolo.
"Non mi è chiaro", dice lei, "perché Gesù, nel suo ingresso a Gerusalemme, è accolto trionfalmente dal popolo e poi, dopo pochi mesi, arrestato e crocifisso proprio dalla stessa gente che lo aveva osannato, che rifiuta addirittura di scambiarlo con un noto malfattore come Barabba.
Gesù predicava che tutti gli uomini sono figli di Dio e quindi tutti uguali su questa terra e degni di entrare nel regno dei Cieli, affermazioni che potevano irritare i dominatori romani e magari il clero, ma perché il popolo?"
"Ma, forse perché gli ebrei aspettavano qualcuno che li liberasse dai romani e non un messia che li portasse in paradiso", azzardo io. "Secondo me non è andata come si vuole far credere, piuttosto penso che Gesù fosse malvisto dalla casta sacerdotale a causa delle donne con le quali egli era interlocutore ed amico, cosa che nella civiltà dell'epoca, fortemente oppressiva, non poteva non fare scandalo.
"Senti siamo arrivati sotto casa mia, io devo salire subito perché è tardi ci sentiamo domani, grazie della bella serata".
Rimasi a guardare il portone e l'edificio finché immaginai che lei fosse giunta in casa ed, infatti, da una finestra illuminata, vidi un movimento della tenda e mi parve di riconoscere il suo viso che guardava nella mia direzione.
Mi affrettai verso la fermata per non perdere l'ultima corsa. A Porta Pia passai sotto il bersagliere che dall'alto del suo piedistallo m'incitò ad accelerare il passo. Raggiunsi il tram con un balzo proprio mentre si stava avviando. Mi sedetti, mentre si chiudevano le porte, abbassai il finestrino e cominciai a pensare a Teresa, mi sentivo attratto, ma contemporaneamente irritato.
Arrivai a casa deciso a non rivederla, a letto però mi tormentava il ricordo del suo profumo e della sua mano incredibilmente morbida e liscia.
Immaginai di baciarla e cominciai a pormi il problema degli occhiali, li avrebbe tolti oppure tenuti, non l'avevo mai vista senza lenti, avrei voluto sfilarglieli con le mie mani come se fossero un indumento intimo.
Mi sforzai di ricordare la sua immagine, è magra però non le mancano le curve e poi ha un bel portamento, sarà perché fa danza. Chi sa cosa indossa sotto, porterà le mutandine di seta e il reggicalze di raso come le attrici, è saccente e antipatica, però ha stile.
Scivolai nel sonno ben deciso di chiamarla l'indomani.
Teresa mi portò a vedere una commedia di Pirandello.
Avevamo appuntamento nella solita rosticceria, dove prendemmo supplì e birra. Il teatro era sfavillante di luci e pieno di gente elegante, le signore scollate e profumate.
Io indossavo l'abito blu che avevo comprato per la comunione di mio fratello, lei un vestito di velluto con la gonna ampia e un giacchino di visone, prestato dalla mamma, era anche più alta per merito dei tacchi.
Era la serata della prima, prendemmo posto in ottima posizione centrale, nelle poltrone a noi riservate.
Il colpo d'occhio era fantastico, attorno a noi signori e signore erano impegnati nei saluti, qualcuno scrutava con il binocolo alla ricerca di conoscenti o di particolari nei vestiti e nei gioielli in mostra.
Mi voltai per osservare la parte posteriore del teatro e fui attratto da una splendida ragazza che sedeva accanto ad un signore piuttosto anziano. Aveva i capelli neri raccolti in alto e le spalle scoperte. Incrociammo gli sguardi e lei sorrise.
Turbato, distolsi gli occhi ma poi, attirato come da una calamita, tornai a guardarla. Lei nel frattempo aveva accavallato le gambe, lasciando in bella mostra almeno un palmo della coscia segnata dall'elastico nero che teneva tesa la calza. Rimasi accecato dal bagliore della carne, finché la sua mano inguantata di raso, lieve scese ad accarezzare l'elastico.
Incrociammo gli sguardi e lei finse indifferenza e con la manina ricoprì le gambe.
Tornai a guardare ma, questa volta, incrociai gli occhi del suo accompagnatore che mi fissavano con odio. Teresa si accostò maliziosa, "avrà i soldi ma di sicuro anche le corna", sussurrò ridendo, "lei è proprio carina, piace anche a me".
La sala si oscurò e gli attori sul palcoscenico cominciarono ad animare i loro personaggi mentre, io rimuginavo sulla frase di Teresa, "possibile che la ragazza le piacesse veramente?"
"Tu cambieresti vita come Mattia Pascal, se ne avessi l'occasione, o continueresti con la tua?" domanda lei, mentre camminiamo verso casa, "io mi terrei la mia, devo ancora fare tutto, però sarebbe utile farlo quando avessi accumulato troppi errori".
"Allora dovresti sostituire identità spesso, considerando che è più facile sbagliare che avere successo", risponde lei.
"Perché, le probabilità non sono le stesse?" chiedo, "qualche volta va bene e qualche volta va male". "No caro", ribatte lei, "un'iniziativa per andare bene richiede che si avverino tutti gli eventi di cui è composta, per andare male o perlomeno meno bene, è, invece, sufficiente che non si avveri una sola delle sue tante condizioni, infatti, a dimostrazione, in giro ci sono più poveri che ricchi".
Camminammo tenendoci per mano, la serata era calda e la luna piena brillava bassa sull'orizzonte, decidemmo di fermarci su una panchina ai margini del parco che confinava con casa sua.
Le chiesi se avesse avuto fidanzati, lei rispose che non le era ancora capitato e che non ne sentiva la necessità, ma non lo escludeva per principio anche se lei preferiva le amicizie, poi si accorse che si era fatto tardi.
L'aiutai ad alzarsi e, quando fu in piedi, la strinsi tra le braccia, lei non si ritrasse e chiese un bacio sulla guancia, la baciai vicino l'orecchio e aspirai il profumo della sua pelle.
Il sabato successivo, andai con Teresa in un cineclub gestito da un'Associazione frequentata da suo padre, che quella sera aveva organizzato la proiezione di un film russo: "Il quarantunesimo" di un regista di cui avevo immediatamente dimenticato il nome. Indossavo il solito completo blu adatto alle occasioni importanti. Teresa si era invece vestita "sportiva" con jeans, maglioncino, mocassini e l'immancabile foularino sulla fronte.
Il Presidente del club, ci venne incontro salutandoci calorosamente e inviando complimenti al papà di Teresa.
Il film terminò inquadrando l'eroina della Guardia rossa che, impugnando il fucile ancora fumante, fissava l'ufficiale dell'esercito nemico, che era stato il suo amante, steso bocconi nella sabbia. La sua quarantunesima vittima.
Gli spettatori applaudirono a lungo e poi il presidente del club invitò i presenti ad esprimere opinioni sul film.
Ascoltammo un paio d'interventi. Durante un intervallo, espressi scherzando la mia opinione a Teresa che invece approvò e poi alzando la mano chiese di partecipare al dibattito spingendomi avanti.
Mi ritrovai al centro dell'attenzione, mentre sarei voluto sprofondare, ma ormai ero in piedi, mi feci coraggio e raggiunsi il palco.
Dissi che il film, rompeva la rigida morale bolscevica dimostrando minore intolleranza nei confronti dell'avversario che era presentato come una persona normale e non come un mostro e che, inoltre, la fiera combattente dell'Armata rossa rivelava la sua natura umana e le sue debolezze, capace di innamorarsi e l'epilogo era il risultato della gelosia della donna, scatenata dalla paura di perdere l'amante.
Uno spettatore volle precisare che invece il finale tragico era legato al dovere ritrovato che spinge la donna ad uccidere un nemico, nonostante l'amore.
Teresa intervenne allora per difendere la mia posizione.
La ragazza, spiega, che fino ad allora aveva negato la sua natura femminile per votarsi esclusivamente alla guerra, si era innamorata e di conseguenza è terrorizzata dall'abbandono, che l'amante, novello Giasone possa trovare altrove le gioie dell'amore la spinge al delitto, come Medea.
Decidemmo di terminare la serata in una vicina pizzeria che allineava tavoli sul marciapiede. Più tardi, nelle vicinanze di casa sua, ci sedemmo su una panchina all'interno del parco.
Lei voleva sapere della mia fidanzata, risposi che conoscevo alcune ragazze che erano pazze di me ma che ancora non avevo deciso niente, soprattutto perché quella che più desideravo non mi corrispondeva.
Lei mi guardò dritto negli occhi e poi tolse gli occhiali. Sembrava un'altra, più smarrita e indifesa. Mi accostai e la baciai sulle labbra che lei mantenne serrate, la baciai sul collo e respirai a lungo il suo profumo. Lei allora sospirò, poi, prendendo l'iniziativa, accostò la sua bocca alla mia e dischiuse le labbra, sentì la sua lingua penetrare curiosa ad incontrare la mia. Ci baciammo a lungo poi lei si alzò e si allontanò verso casa lasciandomi in bocca il suo sapore.
Il giorno successivo, al telefono, Teresa mi propone di accompagnarla alla festa della sua amica Carla che compie gli anni. "È una ragazza simpatica, vedrai che ti piacerà, vestiti casual, i jeans vanno benone".
Varcammo un portone elegante di un palazzo d'inizio novecento situato in Piazza Verdi. Carla abita al quinto piano che raggiungemmo con un ascensore rivestito di radica di noce.
Entriamo dalla porta di servizio che dà sulla cucina dove depositiamo la torta fatta da Teresa.
Carla è bionda con la coda di cavallo, indossa pantaloni aderenti e una camicetta legata sulla vita come si usa a Saint Tropez, somiglia alla Bardot.
Sorride socchiudendo gli occhi azzurri, bacia Teresa e poi anche me, come se ci conoscessimo da tempo e ci spinge nel salone che comunica con una stanza adibita a studio per mezzo di una parete scorrevole, attualmente aperta.
Ci sono ancora poche persone, Teresa saluta, lei conosce tutti, e mi presenta agli amici.
Al centro della sala, due fratelli francesi, entrambi mori, attirano l'attenzione, lei ha i capelli corti, lui più lunghi con la frangetta. Parlano in francese con altri invitati di un film appena uscito interpretato da Jeanne Moreau. Carla li presenta come amici giunti da Antibes, dove anche i suoi hanno una casa, e con i quali trascorre l'estate.
Teresa interviene nella discussione precisando che il regista Louis Malle con "les amants" ha diretto una bella storia, tratta da un breve racconto di Vivant Denon, un intellettuale poliedrico che fu amico anche di Foscolo e Pindemonte, che racconta di un colpo di fulmine condotto fino alle estreme conseguenze, l'abbandono da parte della donna del marito e della ricchezza. Dello stesso regista lei preferisce però "Ascensore per il patibolo".
Seguo Teresa, un po' spaesato, girovagando da un gruppo all'altro. Quando le chiedono di me mi presenta come un amico di scuola, cosa che non mi rende felice.
Durante una sosta che si trasforma in breve in un dibattito su Dante, mi accosto alla vetrata che si apre sul terrazzo per ammirare il panorama.
Carla si avvicina e aprendo la vetrata, m'invita a seguirla sul terrazzo. Ci affacciamo sulla piazza e lei spiega che di là è visibile Villa Borghese mentre dall'altra parte ci sono i Parioli. "La tua camera da che parte guarda?" le chiedo, "guarda di là", lei risponde, "anzi, vieni che te la faccio vedere".
Attraversiamo il salone e penetriamo in un lungo corridoio in penombra. Lei apre la prima porta sulla destra, "entra" mi dice, "e non guardare il disordine". La stanza è in realtà un salottino con un angolo adibito a studio. " Scusa non si vede niente", dice, " ora apro le tende". La luce rivela una seconda camera sul fondo con un letto grande e un armadio che occupa l'intera parete.
"Vedi, vivo in questo buco, fortunatamente sono sempre fuori". Poi, aprendo una porta nascosta dalla tappezzeria, "questo è il bagno, l'ho voluto tutto rosa ma ora non mi piace più, a te che effetto fa?", chiede, accendendo la luce, "anzi, n'approfitto subito che mi scappa", avverte sbottonando la cintura.
Io, imbarazzato, mi allontano tirandomi dietro la porta giusto mentre lei aziona lo sciacquone. "Se hai bisogno non fare complimenti", sorride dalla porta, mentre finisce di allacciare intorno alla vita sottile. "No grazie, hai un bel quartierino, a casa mia dobbiamo dividerci un bagno in quattro", "e come fate? Chiede, "noi ne abbiamo cinque e a volte non sono sufficienti". "A noi uno ci basta" rispondo. Scusa non intendevo offenderti, sono stata una stupida, mi perdoni? " Sì se mi fai vedere la biblioteca, cosa ti piace leggere?" "Io adoro la fantascienza, ho tutta la collezione d'Urania" "Lovercraft lo conosci? Ti consiglio di leggere il suo Ciclo di Cthulhu,
Dovresti leggere anche "La casa sopra l'abisso" di William Hodgson che fu proprio uno degli autori preferiti di Lovercraft" "Ti scrivo il mio numero di telefono così mi chiami e mi presti qualcosa, ti va?" " Certo ne sono felice, ti porto un libro e se poi ti piace te ne presto altri dello stesso genere" "Grazie, chiamami, ora torniamo di là altrimenti Teresa chi sa cosa pensa", "guarda che con Teresa siamo soltanto amici", rispondo mentre torniamo nel salone principale.
La sala si era nel frattempo riempita e in un angolo un giovane era intento ad accordare la chitarra.
"Vieni che ti presento, lui è un cantautore molto bravo, suona anche il rock".
Agli amici francesi, Carla propone un repertorio di Brassens, il giovane risponde che lui canta anche in tedesco e se lei preferisce può eseguire dei brani tratti da "L'opera da due soldi" e intanto fa partire le prime note di "Rock round the clock".
Tutti si lanciano nel ballo e le ragazze con le gonne larghe, a gara mostrano le gambe. Una coppia esegue acrobazie e la ballerina vola leggera scoprendo oltre le gambe anche le mutandine. "Hai visto?", chiede Carla, "indossa roba da bambina, per fare quelle cose avrebbe dovuto mettere biancheria più sexy, adesso però gli chiedo di suonare un bel lento che balliamo insieme".
Lei si stringeva forte, poggiando la guancia contro la mia, "così si balla in Francia", mi sussurra nell'orecchio, "si chiama "cheek to cheek", "e se avessi la barba?" "mi piacerebbe ancora di più", sospira, "e... cos'è che sento muovere? Ma allora non siamo soli", chiede, con aria complice, premendo con il bacino contro l'erezione ormai incontrollabile. "Così non posso lasciarti, sei condannato a continuare a ballare con me, almeno finché lui non si appisola".
Più tardi lasciai Carla alle prese con la torta e mi avvicinai a Teresa che nel frattempo era passata a discutere di film, uno dei suoi argomenti preferiti.
Lei gettò un'occhiataccia in direzione della patta ancora tesa e poi, come se continuasse un discorso già iniziato, chiede se anch'io ci sarò, venerdì al club, alla proiezione del film.
"Sì certo", rispondo, "quando?" "venerdì prossimo alle venti", precisa e poi, continuando: "Io adesso torno a casa se tu vuoi restare, vado da sola". "Ma no, vengo con te", rispondo.
Per strada, lei dice di essere contenta che io mi sia divertito e che abbia trovato Carla simpatica, ha anche notato che lei mi ha condotto in camera sua, di cui è di solito molto gelosa. "È stata carina, tutto merito tuo", dico.
"Non esageriamo, non sono stata io a dirle di stringerti a quel modo per ballare". " Ma lei ha detto che così si fa in Francia", "visto che siamo a Roma poteva anche evitare", "non sarai mica gelosa?" "A me dà fastidio il cattivo gusto e la maleducazione, poi preferisco di più parlare che ballare".
"Me ne sono accorto, hai cominciato con Dante come aperitivo", "allora, se pensi che io sia noiosa, puoi evitare la mia compagnia, non sei mica obbligato a sopportarmi?"
"Ma dai, tu mi piaci proprio perché sei così. Siamo già arrivati, ti va di fermarti un po' nel parco?", "No, preferisco salire che devo studiare, ciao! Ci vediamo venerdì?" "Sì, verrò, posso darti un bacio?" " Preferisco di no".
Appena giunsi a casa, telefonai a Carla per ringraziarla della bella serata e per proporle un incontro per portarle un libro, lei ringrazia e m'invita a casa sua il giorno seguente per il tè.
Le bevande furono servite nel suo salottino insieme a biscotti e ad una fetta di torta del giorno prima. Mangiai di gusto e assaggiai due tipi di tè differenti. Uno lo bevvi macchiato con il latte cosa che non avevo ancora provato.
Carla poggiò il libro su un tavolinetto e m'invitò a raggiungerla sul letto, dove avremmo ascoltato musica più comodamente. La voce di Modugno ci raggiunge mentre, io sono seduto e lei adagiata, con gli occhi chiusi tenendoci per mano. "Modugno mi fa impazzire qualunque cosa canti", dice lei, stringendo di più la mia mano, "sai che un po' gli somigli? Se ti facessi crescere i baffi saresti bello come lui".
Proprio in quel momento la cameriera bussò alla porta e, affacciandosi, avverte che la signorina Teresa è di là che aspetta. Carla dice di farla passare e di portare dell'altro tè.
Teresa entrò mentre Modugno cantava "Lazzarella". Il sorriso che illuminava il suo viso si spense di colpo lasciando accesi soltanto gli occhi che ci fulminarono. Poi, scusandosi con Carla per non avere avvisato, dice di essere passata solo per salutare e che si sarebbero sentite più tardi per telefono. Carla, invece, insiste per farla fermare spiegando che io ero andato a trovarla per portarle dei libri che lei mi aveva chiesto e che poi aveva voluto farmi ascoltare un disco. Teresa però insiste che deve andare via perché si è fatto tardi e deve ancora studiare, prenderà soltanto una tazza di tè.
C'incontrammo due giorni dopo nel solito posto, ma questa volta Teresa non volle mangiare nulla, accusando dei malesseri. Al cinema vedemmo un film triste di Visconti, " Le notti bianche", con Maria Schell e Mastroianni. Lui si chiama Mario ed è un sognatore, un giorno incontra una ragazza che sostava su un ponticello e se ne innamora.
Ma l'antico fidanzato che Natalia attendeva sul ponte, un giorno ricompare e Mario torna ai suoi sogni e alla solitudine.
"Un film che fa riflettere sulla vita e sulle occasioni mancate" commentò Teresa e subito chiese di essere accompagnata a casa.
Lei era di cattivo umore ed io triste. Ci salutammo sotto casa. Lungo la strada del ritorno rimuginai gli avvenimenti e poi decisi di non cercarla più.
Andai con Carla alla festa di San Giovanni. La piazza e le vie vicine erano affollate di bancarelle e passanti. Lei vuole la liquirizia ed io propongo di comprare quella della sora Maria, che, dico, è la più buona. Ci facciamo largo tra la folla fino al banchetto. La signora che di solito sosta davanti la nostra scuola, mi riconosce e ci fa lo sconto.
Proseguiamo fino al luna park dove Carla mi spinge a partecipare ad una gara a braccio di ferro, vinco contro un ciccione malgrado lui spinga con tutto il suo peso e invece, inaspettatamente, perdo il confronto con un mingherlino. "Dai non te la prendere, sdrammatizza, quello fa il muratore, hai visto che razza di pagnottelle ha sulle braccia, andiamo al tiro a segno dove non servono i muscoli", "ma che dici", l'interrompo, "non ti sei accorta con che razza di fusto stai", "ma certo, sei il fratello di Carnera, quello uscito dal sanatorio".
Una ragazza procace mi porge il fucile protendendo la scollatura, prendo la mira e colpisco una bambola che dono a Carla, lei commenta acida che è stata solo fortuna perché secondo lei io ero distratto dalla ragazza. Poi vuole provare la pesca magica, impugna le leve che comandano la piccola gru e, felice, solleva dal cesto un pettinino per i capelli.
Saliamo, poi, su un'auto scontro e cominciamo a girare finché due auto, guidate da militari in libera uscita, ci prendono in mezzo, colpendoci ripetutamente le fiancate, lei, spaventata, mi chiede di farli smettere, cerco di evitarli ma loro ci inseguono e continuano a sballottarci fino al termine della corsa. Carla rifiuta di fare un nuovo giro per non rimetterci i denti, mentre gli altri ci canzonano.
Decidiamo allora di andare a mangiare un panino con la porchetta e berci una birra. Ci facciamo largo tra tavoli gremiti di avventori alle prese con piatti di lumache, trippe, amatriciane e carbonare.
Occupiamo un tavolo e mentre attendiamo i panini, la cingo per la vita e la bacio sul collo sussurrandole che vorrei stare un po' da solo con lei. Nel frattempo, un cantante che si accompagna con la chitarra lamentando la lontananza dalla mamma e dalla casa di Trastevere, si avvicina per la mancia e Carla gli chiede di cantare "Volare" di Modugno. Non so' un urlatore, risponde lui, se te và te canto er "Barcarolo".
Lei allora propone di andare a casa sua a sentire i dischi, "così non resto da sola", bisbiglia accostandosi all'orecchio, "i miei sono tutti via".
Più tardi, in camera sua, siamo abbracciati sul letto mentre Modugno, in sottofondo, canta "resta cummè".
Lei è in sottoveste color cipria e profuma di rose, si stringe e sussurra che vuole sentire solo baci e carezze.
Reso audace dagli eventi, insisto per fare l'amore. Anche lei è eccitata, stringe forte con le cosce e risponde che piacerebbe anche a lei ma, non si può, però, bisbiglia "possiamo far conoscere patatina a patatino", si china e sfila le mutandine che appallottola sulla vicina poltrona, poi, impugnato il soldatino, duro sull'attenti, si accovaccia, pennellando con la testolina nuda la fessura umida.
Eccitato, cerco di rovesciarla per condurre la danza, lei si sdraia sulla schiena e io mi pongo sopra, ma è ancora lei che comanda dirigendo patatino dove più le piace, mentre io inutilmente spingo per penetrare, lei allora con mano ferma lo punta all'indietro raccogliendo verso di sé le gambe, sospira mentre io premo, poi,
lo fa scorrere lungo la fessura più volte, poi, improvvisamente, sento di penetrare e affondo, risucchiato dal suo corpo.
Impazzito, agito il bacino al ritmo del mio cuore al galoppo, mentre lei tormenta con la mano la sua fragolina. Godiamo insieme, lei urla con una voce che non avevo mai udito e io zampillo a lungo nel calore della sua oscurità. E, mentre Mimmo ci ricorda che "piove argento dal cielo", io mi sento, per la prima volta, fiero di essere uomo.
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