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Sangue e Arena
Nel ventre dell'arena la guerriera aspettava trepidante il segnale convenuto.
Poteva udire la folla dei Babilonesi fremente ed eccitata sulle gradinate, erano lì per vederla combattere, erano lì per vederla vincere, forse erano lì per veder scorrere il suo sangue. Ma lei non se ne curava, l'importante per la guerriera era vedere l'arena ricolma e brulicante di pubblico. Viveva per loro, combatteva per loro, uccideva per loro da così tanto tempo che ormai non poteva più farne a meno.
La sua vita era consacrata con il sangue all'arena e sapeva bene che un giorno l'arena se la sarebbe ripresa, dolorosamente, con il sangue, consacrando in cambio il suo nome alla Gloria eterna.
Si sistemò con meticolosa precisione lo spallaccio sul braccio sinistro, lo strinse, ma non troppo, doveva resistere ai colpi dell'avversario, ma non intralciarle i movimenti. Sollevò la rete e controllò per l'ennesima volta la solidità delle maglie di crine, la soppesò e l'avvolse con estrema lentezza attorno al braccio, quasi a controllare, con quel gesto meccanico, l'agitazione che ancora dopo tanti anni la investiva prima della battaglia; infine strinse la mano sinistra fino ad aver presa salda tra le maglie della rete.
Aveva quella rete dal combattimento che le aveva regalato il titolo, più di vent'anni prima, l'aveva fatta sistemare più volte, ma anche se ormai era logora e gualcita non se ne voleva separare, credeva le portasse fortuna, era il suo amuleto.
Udì uno squillo di tromba provenire dagli spalti.
Con estrema calma la guerriera controllò le punte del bel tridente affilato, regalatole dal Tribuno Militare Titus Tiberio Taneo come premio cinque anni prima; era il primo campione dell'arena a rimanere in carica tanto a lungo, vent'anni di combattimenti, vent'anni di vittorie.
Un secondo squillo di tromba.
La folla tacque lasciando l'arena in un silenzio innaturale; la quiete prima della tempesta.
La guerriera prese un pugno di sabbia e lo fece scorrere tra le dita della destra, poi afferrò il suo tridente e si avviò verso la grata d'uscita.
Un terzo squillo di tromba risuonò per l'arena silenziosa.
La grata si sollevò.
La guerriera uscì dal tunnel sotterraneo a testa alta e sollevò il tridente dorato nella luce del sole.
Era splendida.
I raggi del grande Maat illuminavano le sue scaglie dorate donando alla pelle serpentina le mille sfumature dell'oro fuso; sembrava un'apparizione, in quel momento si sentiva potente, eterna, immortale. I lunghi capelli castani, raccolti in sottili trecce, ricadevano sulle sue spalle, lucidi e profumati per gli unguenti preziosi che la guerriera amava usare, unico suo vezzo di femminilità. Le creste acuminate e i letali artigli rilucevano con una sfumatura d'argento mentre la guerriera fissava con i freddi occhi da drago la folla assiepata sugli spalti che, come un sol uomo, acclamava un unico nome: ALEXANDRA.
E così la guerriera avanzava verso il centro dell'arena, acclamata dal suo pubblico, mentre dal lato opposto la sua avversaria camminava, timorosa, quasi ignorata dalla folla, anch'essa in parte ammaliata dal lucente corpo ipnotico della Ojen, né donna, né drago, discendente dai leggendari mostri dell'epoca degli Eroi.
Si trattava di una giovane Quenchi, per metà donna e per metà gatto, il corpo formoso e allo stesso tempo muscoloso sembrava fatto più per il talamo che per i crudi combattimenti dell'arena, tuttavia la guerriera preferiva la sabbia e il sangue, alle sete e ai materassi di piume. Il pelo nero era stato lucidato per l'occasione, ma anche così erano visibili le cicatrici delle mille battaglie cui la guerriera aveva partecipato. I lunghi capelli neri ondeggiavano al vento, tenuti fermi da una fascia di spesso cuoio lavorata e decorata con pietre preziose, mentre la donna avanzava, lentamente, senza prestare attenzione alla folla, studiando con i gialli occhi felini la sua avversaria.
Alexandra studiò a sua volta la quenchi Tisha Voorash, la spaccacrani.
Era la sua allieva più promettente e conosceva bene i punti deboli e i punti di forza della sua tecnica di combattimento.
Agile e scattante con le due letali spade non era certo un'avversaria da sottovalutare, ma era carente in resistenza e in forza, inoltre Alexandra con il tridente aveva un allungo pari a quasi il doppio di quello della sua avversaria. Adorava questo tipo di gladiatori perché le consentivano di far divertire il pubblico con la loro agilità e quando la tensione era massima le bastava imprigionarli nella rete per poi finirli.
La Quenchi però non era un avversario qualsiasi: tante volte si erano allenate assieme dal giorno in cui qualcuno l'aveva abbandonata, ancora cucciolo, davanti all'arena. Le aveva insegnato a tenere in mano la sua prima spada, medicandole le prime ferite, soffrendo delle sue sconfitte e gioendo delle sue vittorie. Ognuna conosceva l'altra come sé stessa. Oggi era giunto il giorno che le due guerriere, amiche da tanto tempo, avevano sempre temuto: l'allievo sfidava il maestro per prenderne il posto.
Solo una di loro due avrebbe lasciato l'arena con le propria gambe, per l'altra soltanto la morte.
Alexandra si ricordò di quel giorno di tanti anni prima quando lei era l'allieva e aveva sfidato in arena l'allora campione, Atramante, un colossale Asterios dalle grandi corna acuminate. Quella volta era lei ad essere ignorata dalla folla mentre il grande guerriero veniva acclamato a gran voce dal suo pubblico. Quando entrò nell'Arena e lo vide lì, fermo con le grandi gambe taurine ben piantate nella sabbia e le braccia, che stringevano la grande ascia bipenne, sollevate verso il cielo, ebbe un attimo di esitazione. Forse sarebbe anche tornata indietro rinunciando a tutto se non avesse visto la piccola Tisha dietro la grata che la guardava con gli occhi sognanti, che credeva in lei, sicura che quella sua burbera insegnante dalla dura pelle di drago non avrebbe mai potuto perdere. Così Alexandra trovò la forza di affrontare il mastodontico asterios.
Fu senza dubbio il combattimento più difficile e bello di tutta la sua vita.
Atramante era forte come un colosso e faceva roteare la sua immensa bipenne come fosse uno stiletto, era inutile cercare di stancarlo perché la sua resistenza era pari a quella di un toro e altrettanto inutile era sopraffarlo con la forza: Alexandra avrebbe dovuto batterlo con l'astuzia, esattamente come un torero nell'arena.
Agile ed elegante la piccola ojen usava la rete alla stregua della cappa di un torero, confondendo ed eludendo il suo avversario che le passava accanto, sfiorando la pelle serpentina e ferendosi contro le creste acuminate. La folla esultava divertita da quell'insolito gioco e in breve due e non più uno furono i nomi acclamati dalla folla, che si divise piuttosto equamente tra i due contendenti.
Il gioco di Alexandra faceva infuriare il colossale asterios che perse la calma e iniziò a combattere con la furia cieca e disperata degli animali braccati; la ojen restò spiazzata da quel mutamento nel suo avversario e non si accorse dello scatto improvviso che fece cambiare direzione al suo aggressore.
La carica dell'uomo la investì in pieno petto.
Perse il fiato per un tempo che le sembrò infinito, volò, quasi fosse un sacco di stracci, ad alcuni metri dall'uomo e si accasciò, tossendo. Alzando lo sguardo vide la morte in faccia, era nel volto dell'asterios, era nella sua enorme ascia.
Ma non era certo la prima volta.
Sentì in bocca l'odore del sangue e quello, assieme all'insopportabile dolore al petto, la trasformarono in una furia senza paragoni. I suoi occhi si rivoltarono e poi divennero rosso fuoco.
Non sentiva più dolore.
Non pensava più.
Solo desiderio di uccidere, un unico pensiero: vendetta. La guerriera si alzò con uno scatto e sollevando ben teso il tridente lo scagliò contro l'asterios al grido di AZRAIL! VENDETTA!
Il pubblico trattenne il fiato, la guerriera era troppo piccola per lanciare quel grosso tridente con tutta quella forza, era impossibile. Il guerriero non riuscì ad evitare l'arma, sorpreso da quel gesto inatteso; il tridente lo colpì alla base del collo.
Uscì un fiotto vermiglio di sangue arterioso.
Le gambe cedettero.
Il guerriero incredulo si ritrovò in ginocchio. Ma la Ojen non era ancora sazia, la sua vendetta non era ancora compiuta. Si avvicinò osservando l'uomo con gli occhi vermigli, infilò la mano artigliata nel petto dell'Asterios e con gesto fulmineo estrasse il cuore ancora pulsante del suo avversario. Lo sollevò verso il pubblico che esplose in un boato di applausi, poi lo avvicinò alla bocca e lo morse; un fiotto di sangue l'invase e lei rise, al centro dell'arena, inebriata dalla vittoria e dagli applausi. Poi i suoi occhi tornarono gialli e la guerriera si accasciò, esausta, dolorante, eppure felice.
Si riscosse dai suoi ricordi appena in tempo per schivare il primo attacco delle lame di Tisha.
Buffo come quel ricordo le apparisse alla mente proprio ora, per fortuna che il suo corpo ancora una volta l'aveva salvata.
Lasciò da parte la razionalità e liberò il suo istinto.
Il suo corpo sapeva esattamente cosa doveva fare.
La mente è per i deboli, così come i sentimenti, non c'è posto per loro tra le sabbie dell'arena.
Iniziò un pericoloso balletto di corpi e lame con la sua avversaria, era affascinante e il pubblico ne rimase ammaliato; le membra nere e oro si intrecciavano unite in una danza mortale. Il sudore cominciava a comparire sui corpi muscolosi delle guerriere e li rendeva lucidi, ancora più brillanti nella calda luce del mezzogiorno. Lentamente, man mano che il combattimento si prolungava, i corpi iniziarono a macchiarsi di sangue, la ojen si feriva contro le lame, la quenchi contro le creste ossee, graffi senza importanza, che le due donne non avvertivano nemmeno, ma che il pubblico bramava.
Alexandra cominciava ad avvertire la stanchezza, osservò la sua avversaria, alzando lo sguardo tra le trecce che le erano ricadute davanti agli occhi; la vide ansimare, stremata da quel ritmo serrato, sorrise e decise di chiudere la partita.
Si allontanò, dando le spalle all'avversaria, come previsto la quenchi cadde nella trappola, rapida come un serpente Alexandra si voltò e con un deciso colpo di coda spazzò le gambe della guerriera.
La vide cadere al suolo.
Il pubblico esplose in un applauso fragoroso.
Eppure questa volta la ojen non alzò le mani ad accogliere gli applausi, era ipnotizzata dal corpo dell'amica; la rivide cucciola, cadere in quella stessa sabbia, colpita da quello stesso colpo di coda in un allenamento.
Si ritrovò con la spada accanto alla giugulare, appena in tempo per scostarsi, di nuovo il suo corpo l'aveva salvata, di nuovo il suo istinto l'aveva protetta. Indietreggiò e con una rotazione svolse la rete, senza pensare diede inizio ad una nuova danza mortale intorno a Tisha, ma ad ogni rotazione incontrava gli occhi di lei, quegli stessi occhi a cui aveva asciugato le lacrime tanti anni prima; una parte di lei si rifiutava di proseguire, ma il suo istinto da predatore continuava inesorabile a stringere il cerchio che l'avrebbe portato alla vittoria. Tisha si sentiva in trappola, sapeva qual'era la strategia di Alexandra e sapeva anche che difficilmente sarebbe potuta sopravvivere, ma era preparata.
Così Alexandra lanciò la rete sulla sua preda e sollevò il tridente, pronta a sferrare il colpo mortale.
Qualcosa glielo impedì.
Era così stanca.
D'un tratto tutti i suoi anni avevano cominciato a pesarle.
Osservava Tisha per finirla, eppure non riusciva a trovare il punto vulnerabile sotto la corazza di cuoio, o forse non voleva trovarlo. La quenchi non riusciva a capire l'indecisione della sua Maestra, era già pronta per il caldo abbraccio della morte quando capì che quella era la sua unica occasione, l'unico momento in cui avrebbe potuto liberarsi. Con uno scatto fece uscire le piccole lame che aveva nascosto nei bracciali per quell'evenienza, incrociò le braccia sopra il capo e tagliò la rete che la imprigionava, come aveva già fatto tante volte in allenamento.
In pochi secondi fu libera e si scagliò contro la sua insegnante.
La rete lacerata cadde a terra.
Alexandra rimase immobile.
Non si mosse neanche quando il piccolo pugnale le penetrò nel cuore, un colpo preciso, ben assestato da professionista.
Alexandra sorrise.
Cadde in ginocchio.
La folla era ammutolita, incredula, poi un grido si sollevò dalla folla seguito subito da mille altri. TISHA VOORASH.
Com'è volubile al folla, oggi ti ama, domani ti dimentica.
L'arena è così, come una bella puttana che ti dà tutto finché sei con lei e che ti ha già dimenticato appena varchi la porta.
Alexandra si accasciò.
Tisha accorse verso di lei, prendendole la mano.
La Ojen intravide una lacrima solcare il volto dell'amica, sollevò una mano per asciugarla come aveva fatto tante volte e sussurrò: —Ben fatto Tisha! Ora sei tu il campione, l'arena è tua... —.
Poi chiuse gli occhi per sempre ed esalò l'ultimo respiro.
Sul volto il sorriso di chi muore dopo una vita ben spesa.
Arena... Un buon posto per morire.
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- B. E. L. L. I. S. S. I. M. O F. A. N. T. A. S. T. I. C. O BRAVISSIMA
- Si tratta di personaggi ispirati al gioco di ruolo dal vivo "Babilonia" dell'associazione di Parma Etemenanki ideato da un caro amico. Se ti interessa approfondire vai a vedere il loro sito www. etemenanki. it.
- Bellissimo! Da applausi. Mi piacerebbe sapere se l'ambientazione e le razze sono ispirate a qualche saga altrui o fanno parte di una tua idea, magari sviluppata in maniera ben più estesa di un racconto. Comunque perfetto, solo penso che il combattimento col gigantone vada espresso con un tempo verbale diverso, perché già la narrazione principale è al passato remoto e così non rende l'idea del ricordo. Per il resto ogni cosa coinvolge e posso dire di aver imparato qualcosa da questo racconto sul come raccontare l'azione senza eccedere in particolari, cosa che ritengo preziosa. Brava, bravissima, ciao!
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