racconti » Racconti del mistero » La sopravvissuta (quarta e penultima parte)
La sopravvissuta (quarta e penultima parte)
Juliette si trovava molto vicino a Patrick, per la precisione a qualche decina di metri, in una casa giusto accanto a quella dove stava incatenato lui. Era seduta su una piccola sedia di legno e mostrava evidenti segni di ansia e nervosismo; continuava a deglutire con la speranza di scacciare quella sensazione di nodo alla gola che la assillava da un paio d'ore a quella parte, ma era inutile. Si guardò le mani e scoprì che stavano tremando; quelle stesse mani che la sera prima, agendo in maniera perfetta, avevano condotto Patrick in trappola. In passato avevano salvato molte vite certo, ma ora, per la prima volta in ventiquattro anni, avrebbero contribuito all'uccisione di un uomo.
E questo era ciò che più la faceva stare male.
Ripensò ancora una volta alle ragioni per cui aveva agito così; erano valide, almeno dal suo punto di vista, ma non sufficienti per farla stare in pace con se stessa.
Sentì la porta aprirsi e il groviglio di pensieri si dissipò immediatamente. Alzò gli occhi ma non vide chi si sarebbe aspettata di vedere.
"Dov'è mia sorella?" domandò scattando dalla sedia. "Maledetta, mi avevi detto che l'avrei rivista, sono ore che aspetto!"
"Calmati!" le ordinò la donna appena entrata. "Sono qui proprio per lei."
Juliette cercò di decifrare l'espressione del suo volto ma era imperturbabile; pareva serissima anche se un ghigno alquanto strano le dava quell'aria di follia che metteva i brividi.
"Non me ne frega un cazzo, ho fatto quello che volevate!!! Voglio vedere mia sorella, dov'è?"
"E tu pensavi davvero che ti avremo permesso di vedere la tua dolce sorellina solo perché hai portato quel Dempsey fino a qui?" Quella domanda fu pronunciata con una tale, ingiustificata cattiveria che a Juliette venne da piangere.
"Ma me l'avevate promesso!" Ora la giovane faticava pure a rimanere in piedi; sentiva le gambe molli, incapaci di obbedire ai suoi ordini. "Ho ingannato un uomo che si fidava di me, ho costruito una storia assurda attorno alla mia apparizione e sono riuscita a portarlo fino a qui! E tutto questo per niente?!"
"Quanto siete stupidi in questo paese!" commentò l'altra provando piacere nel sentire Juliette così affranta. "E tu non fai nulla per distinguerti dalla massa; hai avuto bisogno di una di noi per prendere Dempsey, non l'hai fatto da sola."
"Ti prego, fammi rivedere mia sorella. Non farle del male, lei non c'entra nulla!" Ora Juliette era addirittura in ginocchio, supplichevole.
Sua sorella si chiamava Jasmine e aveva appena quattordici anni; il bene che le voleva andava oltre ogni possibile immaginazione e quando loro l'avevano sequestrata due giorni prima si era sentita morire.
Per dirla tutta non sapeva nemmeno chi fossero quelle misteriose donne arrivate dal deserto, ne tantomeno il motivo per cui una volta in paese avevano cominciato ad uccidere i suoi abitanti.
Si trattava di psicopatiche? Oppure di appartenenti a qualche strana setta? Juliette non era in grado di darsi una risposta convincente e tra l'altro le importava poco. Voleva solo rivedere Jasmine e proprio per questo aveva chiesto loro cosa avrebbe dovuto fare per poterla riabbracciare; la risposta era stata per l'appunto quella di catturare questo Dempsey. Non le avevano spiegato ne il motivo, ne cosa volevano fare all'uomo una volta lì, ma lei aveva accettato comunque. Salvare sua sorella in cambio di offrir loro uno sconosciuto.
Ora però, dopo tutta la fatica e i sensi di colpa ecco che le dicevano di aver cambiato idea.
"Vuoi rivedere la tua stupida sorellina?" le domandò l'altra sbeffeggiandola. "Va bene, eccoti accontentata!" Si voltò verso la porta e fece un cenno in quella direzione. Le due donne ferme sull'uscio uscirono un attimo e quando furono di ritorno Jasmine era con loro. Sostenendola per le spalle la condussero vicino alla sorella, la quale poté da subito sentire i suoi lamenti di dolore. A quel punto la lasciarono e crollò a terra come una marionetta a cui vengono tagliati i fili.
"Eccola qua, sei contenta?"
Juliette rimase per qualche istante impietrita a fissare la sorella minore a terra dopodiché si riprese e andò accanto a lei.
"Cosa le avete fatto?!" urlò mentre le lacrime iniziavano a rigarle le guance. Afferrò Jasmine delicatamente per le spalle e la girò in modo da poterla vedere. Il suo viso, di solito sempre così carino e solare, ora era pieno di lividi e sangue; sangue che colava in maniera copiosa da una brutta ferita alla testa. Solo in un secondo momento notò anche altre due ferite, una allo stomaco e una al torace.
Le due donne che avevano condotto Jasmine fino a lì se ne andarono e rimase solo l'altra che fissava la scena senza provare alcuna pietà o compassione.
"Sorellina, rispondimi ti prego. Sono Julie, mi riconosci?" Le lacrime continuavano ad aumentare tanto che le si annebbiò la vista.
Il braccio della sorella con uno sforzo sovrumano si sollevò e la sua mano andò ad accarezzare il volto di Juliette con infinita tenerezza. Respirava affannosamente e il suo corpo era scosso da costanti sussulti simili a convulsioni. Faticava anche solo a tenere gli occhi aperti.
"Ti... ti voglio bene Julie!" riuscì a dire con voce gorgogliante; "sarai sempre la mia... sorellona", dopodiché il suo braccio ricadde inerme sul pavimento e i suoi occhi si chiusero.
Non ci fu nessun altro sussulto.
"NO!" urlò Juliette in preda alla disperazione. "Non lasciarmi sorellina, non andartene!" Appoggiò la testa sul suo petto oramai immobile e in quel momento una visione la colpì. Per un attimo cercò di accantonarla, intenzionata a rimanersene sprofondata nell'immenso dolore che provava, ma poi fu obbligata ad affrontarla.
Tra le altre cose vide ciò che quelle donne avevano fatto a Jasmine e il dolore che la aggredì fu talmente potente e impetuoso da farla cadere in quello stato di semi incoscienza che già in passato aveva mostrato a Patrick. Le pupille scomparvero e si irrigidì.
Rimase sorpresa persino l'altra donna da quella sua reazione tanto che iniziò ad avvicinarsi lentamente. Il presentimento che potesse essere morta si fece largo dentro di lei, la quale non notò così la mano di Juliette muoversi fino ad infilarsi nella tasca dei calzoni di Jasmine. Già, perché Juliette, a differenza delle altre volte riusciva ad agire con estrema lucidità anche in quello stato.
La donna era oramai a un paio di metri quando le pupille della giovane tornarono al loro posto. Le lacrime persistevano ancora, ma c'era da aggiungere ad esse una rabbia che non aveva mai neanche lontanamente provato in passato; una rabbia quasi animale che fece indietreggiare l'avversaria.
"Avete ucciso mio padre!" le ringhiò contro afferrando qualcosa nella tasca di Jasmine. "Ma non vi bastava e ora avete torturato anche mia sorella, una ragazzina di quattordici anni! Cosa poteva farvi di male?"
"E per finire vi siete prese gioco di me."
"Questo è decisamente troppo!"
"Dovevi vedere come ci supplicava di smetterla," le disse questa cercando di non mostrare l'inquietudine che le provocava lo sguardo di Juliette. Non sembrava più nemmeno lei tanto era tetra e inquietante la sua espressione.
"L'ho visto!" rispose alzandosi lentamente in piedi. Lo squarciò che le aveva lacerato il cuore nell'istante in cui avevano ucciso suo padre si era ulteriormente allargato nel vedere Jasmine così, provocandole una sofferenza al limite della sopportazione. Ora però il dolore stava svanendo o perlomeno, stava per essere sommerso dalla rabbia e dall'odio. Queste ultime era come se si stessero insinuando rapidamente in quello squarcio, rendendo così estremamente complicato il controllo di una sua eventuale reazione.
"Come ti è sembrato?" Replicò l'altra.
"Ma ho visto anche un'altra cosa," continuò lei ignorando la domanda. "Ho visto il momento in cui tu morirai!"
"Ah sì! Sono curiosa, quando sarà?"
Le gambe di Juliette agirono con rapidità fulminante e in una frazione di secondo raggiunsero la donna.
"Adesso!" le rispose colpendola con lo stiletto raccolto poco prima dalla tasca della sorella. La lama penetrò nell'addome dell'avversaria senza incontrare ostacoli, fino al manico. Qualsiasi parola aveva intenzione di dire le si spense in gola.
"Maledetta psicopatica!" le urlò contro spingendola con forza addosso alla parete. "Questo è per mia sorella!"
Finalmente estrasse lo stiletto e la donna crollò a terra con la schiena poggiata al muro. Dalla ferita sgorgava una quantità esagerata di sangue; nonostante la sua pazzia, non si sarebbe mai aspettata una reazione così violenta da parte di Juliette.
In breve, a causa dell'emorragia, la sconosciuta venuta dal deserto perse i sensi.
Non si sarebbe più risvegliata.
Juliette rimase per un attimo immobile, poi lasciò cadere il coltello come disgustata da ciò che aveva appena fatto. Guardò prima la sorella, poi la donna colpita e quella sensazione di disagio per l'azione compiuta si dissolse. Oramai l'odio per quelle sconosciute si era ancorato saldamente alle pareti del suo cuore impedendole di provare pietà.
Stava ancora piangendo, ma era come se non si stesse accorgendo di farlo. La sua mente lavorava a pieno regime, chiedendosi cosa potesse fare.
Ci arrivò dopo qualche secondo. O meglio, le venne in mente un singolo nome.
Patrick!
Non voleva che morisse per causa sua; probabilmente la stava già considerando una traditrice e proprio per questo avrebbe dovuto perlomeno tentare di aiutarlo.
Doveva assolutamente sapere dove si trovava.
Senza ulteriori titubanze andò verso il corpo della donna uccisa e lo toccò. Mai e poi mai si sarebbe sognata che un giorno avrebbe ucciso una persona; ora la stava persino toccando come se niente fosse.
E la ragione, per quanto fosse inquietante, era semplice.
Chi meglio di quest'ultima poteva sapere dov'era rinchiuso Patrick al momento.
Una volta assicuratasi attraverso la visione che Patrick fosse ancora vivo tornò dalla sorella e le diede un bacio sulla fronte, ignara di tutto il sangue che la copriva.
"Pagheranno cara la tua morte piccola!" le sussurrò come se potesse sentirla. Parole dolci, simili a quelle che potrebbe dire una madre al suo bambino. "Te lo prometto!
Detto questo raccolse lo stiletto e uscì.
Patrick era rimasto nuovamente solo, ma le ultime parole che avevano udito le sue orecchie prima che la donna uscisse dalla stanza stavano ancora pesando sopra di lui come un macigno.
Alla sua domanda sul perché fosse arrivato troppo tardi infatti la risposta della sconosciuta era stata chiara (per una volta!).
"Semplice Patrick, verrai sacrificato come è già successo a tutti gli abitanti di questo squallido paese. Nessuno che ci abbia visto o sappia della nostra esistenza può sperare di andarsene da qui vivo, la nostra Dea non ce lo perdonerebbe."
"Quindi quale modo migliore che non bruciare la casa dove ti trovi ora? Lei apprezzerà sicuramente il nostro gesto nei suoi confronti; offrirle il corpo di un uomo giovane come te non capita tutti i giorni!"
E ora eccolo lì, con le braccia ancora legate a quelle maledette catene e per di più in attesa di sentire il crepitio del fuoco che avrebbe posto fine alla sua vita.
In che cazzo di situazione sono finito! Si disse inutilmente, continuando nel frattempo a guardarsi in giro; possibile che tutti gli abitanti fossero stati uccisi?
Il solo pensiero del fuoco che di lì a poco l'avrebbe avvolto portandolo ad una morte atroce lo fece piombare nella più completa disperazione. Cominciò a tirare le catene con tutte le forze che aveva, accompagnando i gesti con delle urla che forse sperava potessero infondergli maggiore energia. Sapeva già in partenza che era un'impresa impossibile, ma la sua voglia di sopravvivenza e il suo istinto lo obbligavano a tentare.
"Aiuto!" urlò facendo ancora più forza; i suoi polsi e le mani protestavano per il dolore provocato dalle catene ma lui cercava in tutti i modi di non pensarci.
"Qualcuno mi aiuti!" Ora sembrava più una supplica che un grido di rabbia; avrebbe voluto piangere, sfogare la sua frustrazione, ma non gli riuscì nemmeno quello.
Trascorsi una ventina di secondi il dolore ai polsi si fece lancinante e fu costretto a smettere di fare pressione sulle catene; il suo corpo ricadde inerme ed esausto sul rudimentale tavolo di pietra.
Rimase così a riprendere fiato per un periodo di tempo imprecisato dopodiché alzò la testa riuscendo a vedere le punte dei piedi, questo grazie anche al fatto che il sole si era alzato e non filtrava più dalla finestra. Scoprì così che oltre i suoi piedi, qualche metro più in la c'era un piccolo mobiletto sul quale poggiava una fotografia. Ritraeva una ragazza giovanissima, quasi una bambina, in compagnia di un'altra donna più grande e di un uomo. Pur non distinguendone con esattezza i particolari capì che la ragazza più grande era Juliette, lo comprese dai suoi magnifici occhi.
Fu scosso da un violento moto di rabbia al solo ricordo di colei che lo aveva ingannato e tradito; quel suo tono così dolce e deciso, il suo sguardo all'apparenza complice, tutti particolari che avevano contribuito ad incantarlo alla perfezione.
La donna presente poco prima gli aveva dato qualche ragguaglio sul tradimento di Juliette.
"Devo ammettere che è stata brava," gli aveva detto tutta contenta. "Ha organizzato un piano perfetto; poteva farti piombare subito nel mondo dei sogni e invece no. Si è divertita a giocare un po' facendoti credere che la casa era circondata quando in realtà ero solo io a picchiare sulla porta. Siete scesi in cantina e lei sapeva benissimo della botola, proprio per questo l'ha sfruttata per scaricarti l'arma. E infine fuori all'esterno; lì è stata semplicemente magistrale. Si è addirittura fatta sbattere contro un muro da me per farti distogliere l'attenzione; e quando mi hai seguito con lo sguardo ti ha colpito al collo con un sedativo."
Ora però a Patrick qualcosa non tornava. Perché era ritratta in quella fotografia? E soprattutto chi erano le due persone accanto a lei? Se davvero faceva parte di quel gruppo di squilibrate che avevano distrutto le vite degli abitanti del villaggio allora non aveva senso.
Era ancora immerso in quel dubbio quando udì delle voci concitate provenire dall'esterno; non parlavano australiano anzi, a dir la verità Patrick non aveva mai sentito nulla di simile. In realtà non era un semplice parlare, ma piuttosto stavano cantando, un canto che faceva letteralmente venire la pelle d'oca. Visti i discorsi di poco prima non accantonò la malsana ipotesi che potesse essere un canto sacrificale alla loro maledetta Dea.
Tra i molti dubbi per una sicurezza crebbe in lui; vale a dire l'ora della sua fine, che si stava avvicinando sempre di più.
-Devi fare qualcosa Patrick! Piuttosto spezzati le mani ma non puoi rimanere qui a bruciare vivo.-
Il suo interesse andò al tavolo su cui stava sdraiato; era di pietra e non perse tempo a chiedersi cosa ci facesse in una casa. Notò invece che si alzava dal pavimento di una cinquantina di centimetri, non che fosse poi di grande aiuto saperlo.
-Mettermi in piedi, ecco cosa devo fare!-
Iniziò a muovere le gambe preparandosi alla manovra che aveva in mente di compiere; per prima cosa le alzò perpendicolari al corpo disteso.
Poteva farcela, doveva farcela!
-Avanti Patrick, sei in grado di fare una capriola! Da piccolo le facevi sempre!-
Irrigidì al massimo gli addominali pronto a darsi la spinta. Fece scendere di nuovo le gambe fino quasi a toccare la pietra e subito dopo radunò tutte le forze e le spinse ancora sopra di lui senza però fermarsi a formare un angolo retto.
Il suo intento era quello di fare una capriola all'indietro che gli permettesse perlomeno di mettersi in piedi. Sentì il peso del corpo spostarsi oltre la sua testa e a quel punto, con discreta agilità poggiò i palmi della mani sulla pietra e spinse ancora di più.
Una frazione di secondo e si trovò magicamente in posizione eretta non riuscendo a credere di avercela fatta. Ora, seppur ancora incatenato, poteva vedere tutto con maggiore chiarezza, anche ciò che stava accadendo fuori dalla finestra.
Un gruppo di donne era radunato davanti alla casa e la prima della fila stringeva tra le mani una torcia. Riconobbe in lei la pazza con cui aveva parlato assieme.
Quando quest'ultima gettò la torcia giusto davanti alla finestra Patrick fu sicuro che la sua fine era arrivata. La struttura della casa era in legno e le pareti di cartongesso non aiutavano certo a fermare le fiamme.
Il fuoco che vide divampare subito dopo lo convinse che avessero messo lì della paglia per accelerare la corsa del fuoco.
Si concentrò sulle catene che lo tenevano; erano robuste e sparivano nella pietra. Non era nemmeno pensabile tentare di scardinarle. Inoltre vide come erano ridotti i suoi polsi, viola e sanguinanti per la continua pressione.
Le speranze calavano ancora di più.
123456
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- oh stefano, ora leggo l'ultima parte!
- Ti dirò, ho seguito tutti i film di Saw e in tutta sincerità non mi dicono granché, soprattutto man mano che si prosegue... un inutile esagerazione della violenza. Comunque il particolare delle catene poteva ricordarlo... solo che là erano legati per le caviglie!!
- Ecco, ora ci trovo anche altre influenze, che ovviamente noto soltanto io per una sorta di deformazione professionale, però un po' di The Wicker Man ce lo vedo e per un attimo avevi avuto l'occasione di andarci pesante alla Saw, sai, con quelle catene, spezzarsi le mani... però chissà, magari nell'ultima parte. Bello, bello, è ora di venire al dunque...
- come sempre grazie Robi... non appena posso pubblicherò il finale!
Ciao!
- Non mi ero accorta che l'avessi pubblicato... letto. Come al solito si attende il seguito... bravo!
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0