racconti » Racconti brevi » Passeggiata sotto la pioggia
Passeggiata sotto la pioggia
Fauriel appena uscì dal poliambulatorio udì un leggero mormorìo levarsi dalle persone che aspettavano il loro turno sedute sulle sedie, non aveva la minima voglia di parlare per cui abbassò lo sguardo e attraversò rapidamente il corridoio del reparto dopodichè scese la rampa di scale e sempre mantenendo lo sguardo basso scivolò velocemente verso l'uscita con sconvolgente disinvoltura data l'età.
Tenne ancora per un po' lo sguardo basso e vide che per terra c'era ancora la neve caduta i giorni scorsi.
Solo dopo aver passato le grandi porte scorrevoli dell'ospedale alzò gli occhi e rivolse lo sguardo verso il cielo.
Le nuvole grigie che lo avevano accompagnato appena due ore fa erano diventate grossi nuvoloni neri carichi di pioggia che minacciavano un gran temporale, la brezza autunnale era stata sostituita da un ventaccio che non prometteva niente di buono.
Non fece neanche a tempo ad aprire l'ombrello che una piccola timida goccia gli bagnò la fronte. Non ci voleva uno di quei patetici meteorologi che giocavano a fare i professoroni in tv per capire che quella goccia di pioggia avrebbe anticipato una pioggia battente.
Nonostante ciò cominciò ad attraversare il grande e affollato piazzale dell'ospedale con l'ombrello chiuso, e lo mantenne chiuso anche quando pochi minuti dopo la pioggia iniziò a scendere copiosamente e mentre camminava e non gli interessava affatto quello che la gente poteva pensare di lui vedendolo così in quel momento con i capelli bagnati e appiccicati sulla fronte, la giacca inzuppata con rivoli d'acqua che scendevano giù dalla schiena, dai gomiti, dalle braccia fino a toccare l'asfalto del marciapiede e con quell'ombrello stretto in mano, ben chiuso. In quel momento non gli interessava niente voleva solo starsene lì da solo con i suoi pensieri libero da ogni condizionamento esterno, in totale libertà.
Se a lui piaceva sentire la pioggia cadere sui capelli e scendere sulle guance, se a lui piaceva sentire il vento sulla pelle bagnata che diventava ancora più freddo di quanto già non fosse, se lui non voleva ripararsi ma voleva sentire il contatto tra lui e la pioggia, tra lui e la natura, perché non avrebbe dovuto farlo? camminare sotto la pioggia lo aiutava a pensare e a schiarirsi le idee e anche se il suo medico lo sconsigliava fortemente ogni tanto non resisteva, d'altra parte quella di Fauriel era una situazione in cui pensare era necessario, anzi vitale.
Per questo le occhiate incuriosite dei passanti non lo turbavano minimamente, Fauriel non poteva certamente non pensare che qualcuno riconoscendolo aveva anche ridacchiato e fatto chissà quali supposizioni, anche il suo autista vedendolo così probabilmente lo stava prendendo per pazzo e se ancora non lo aveva fatto lo fece sicuramente quando Fauriel con un breve cenno inequivocabile gli intimò di partire. Senza di lui. Aveva deciso che sarebbe tornato a casa a piedi, sotto la pioggia.
Camminò e camminò ancora e intanto la pioggia cresceva d'intensità come se avesse voluto sfidarlo a continuare, lui completamente fradicio, camminava.
Le strade erano affollate, i passanti gli sfilavano a fianco chi in direzione opposta alla sua chi nella sua stessa direzione superandolo o incrociandolo tutti con i loro ombrelli colorati, finché ad un certo punto vide poco più avanti di lui una donna ritta in piedi, immobile e senza ombrello, fuori alla pioggia.
Fu pervaso da un senso di solidarietà vedendola senza ombrello pensando forse in maniera un po' infantile che anche lei in quel momento stesse condividendo i suoi stessi pensieri, gli bastarono pochi passi per capire che si sbagliava.
Foulard in testa, i vestiti che una volta dovevano essere stati colorati ora erano sbiaditi e laceri, la faccia era ricoperta di pieghe e di rughe, le braccia erano corte, la mano bagnata era tesa, una zingara mendicava sotto la pioggia.
Fauriel la superò di slancio anche un po' deluso. Poi improvvisamente si bloccò.
. ... capelli bagnati e appiccicati sulla fronte, la giacca inzuppata con rivoli d'acqua che scendevano giù dalla schiena, dai gomiti, dalle braccia fino a toccare il l'asfalto del marciapiede e quell'ombrello stretto in mano, ben chiuso..
Si voltò e prese a camminare verso la zingara, la guardò negli occhi piccoli scuri occhi che dovevano avere visto chissà quanti luoghi, quanta gente, quanti mondi. Le porse l'ombrello, la zingara lo prese e sorrise in quel modo che solo gli zingari nella loro libertà sanno fare, lei sorrise, entrambi sorrisero, sotto la pioggia.
E mentre si allontanava i suoi passi erano accompagnati dalla sua voce in quella lingua che Dio solo sa di quanti e quali lingue sia il frutto e di cui riusciva a cogliere solo poche parole che via via diventavano sempre più lontane e si ripetevano come un'eco lontano
..."tanta fortuna, tanta fortuna, tanta fortuna"...
Ormai era arrivato, subito dietro quell'ampia curva c'era la sua casa, un imponente palazzo ottocentesco.
Ma fu proprio mentre compieva quegli ultimi metri verso casa che notò qualcosa che fece riaffiorare alla memoria quello a cui per quei venti minuti sotto la pioggia era riuscito a non pensare.
Fu proprio mente compieva quegli ultimi metri verso casa che vide che la neve caduta in abbondanza nei giorni scorsi si stava sciogliendo sotto i colpi incessanti ed inesorabili della pioggia d'autunno proprio come la malattia in quel momento stava sciogliendo la sua vita.
12
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- bello scorrevole e senza fronzoli, poi sarà che non vado più sotto la pioggia per paura di essere preso per matto mi è proprio piaciuto... Bravo Freccia sempre un grande

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0