Dormii per buona parte del pomeriggio e mi svegliai pensando che fosse giorno. Così mi preparai per andare a lavorare, a fare il volontario.
Fuori, la strada era immersa nella nebbia e a stento riconobbi il mio amico irreale, Donald, americano. Parlava e non riuscivo a sentire le sue parole, ma annuivo con la testa.
Mentre percorrevamo una ripida discesa, un'automobile bianca esplose a pochi metri da noi: ricordammo l'incubo degli attentati. Avemmo paura, sembrava che tutto intorno a noi potesse scoppiare all'improvviso. Scappai terrorizzato, lasciando nel dimenticatoio il mio irreale amico, così entrai in una casa che non era la mia e i miei genitori guardavano un trasmissione televisiva seduti su un divano nero, in silenzio. Mi sedetti tra loro e tornai bambino.
Sentii aprire la porta discretamente e vidi entrare una ragazza dalle trecce bionde; la conoscevo bene ma non ne ricordavo il nome: avrei voluto chiamare aiuto, ma in fondo gli intrusi eravamo noi; allora me ne andai, senza salutare mamma e papà. Fui di nuovo in strada e mi ricordai di avere anche un fratello che in questa storia non riuscivo a rintracciare, cosicchè mi ritrovai solo ad osservare la gente. Camminavo senza meta, fino a trovare un ostacolo improvvisamente insormontabile. Una bassa recinzione che riuscivo a guardare solo in 16:9; oltre questa un gatto enorme agitava le sue zampe per ostacolare il mio tragitto.
Intanto si era fatto buio, gli occhi del felino si illuminarono nell'oscurità psichedelicamente e mi morse sul collo.
Rinvenni nel mio letto inconsapevole, alle 6 e 45 la sveglia avrebbe suonato.