username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

'A brioche italovenezuelano

Di prima mattina si sentì il raglio insistente di un asino, svegliò davvero tutti, quelli che dormivano e quelli che fantasticavano a occhi aperti, come la giovane Mery. Sì, quella. Quella che i compaesani chiamavano 'a Brioche, perché piccola e paffuta. Non aveva dormito tutta la notte, spaventata e nello stesso tempo, felice per quello che avrebbe dovuto fare nella giornata che stava per arrivare Quella notte, non solo la sveglia, con quel tic toc che man mano che passavano i minuti sembrava amplificassi, anche il vento sbuffava con vigore e per ripicca sbatteva lo scuro della finestrella, intervallando il suono dell'orologio. Con lei, pure le sorelle avevano vegliato tutta la notte e di continuo le raccomandavano qualcosa. "Non ti scordare" Questa frase si intervallava al tic toc della sveglia, dando l'impressione che lo rallentasse. Quella notte interminabile, segnava la fine di una vita dura, fatta di tanti sacrifici e rinunce. La fine di un'esistenza in quel piccolo paesino arrampicato sulla montagna dove si viveva prevalentemente di quello che si ricavava dal lavoro della terra, un'esistenza ad ogni modo tranquilla. Una fine che dava inizio a una nuova vita che 'a Brioche non aveva mai immaginato prima. Lei, come tutte le ragazze di quel piccolo paesino, già a quell'età era destinata a ritrovarsi da grande sposata con almeno tre o quattro figli, con il capo avvolto in un foulard in prevalenza rosso o verde e vestita dalle lunghe gonne di panno scuro, coperte da un grembiule ricavato da qualche vestito rovinato, o meglio, consumato dal tempo. La sua sorte era già segnata, un copione di vita per tutti, lavorare la terra della montagna e dedicassi esclusivamente alla famiglia e alla casa. 'a Brioche, in quel benedetto viaggio, sperava che tutto cambiasse e si augurava di riuscire a buttar giù quel sistema che da sempre marchiava la vita delle donne del suo paese, e perché no! Dare spunto a tutte le altre di intraprendere con coraggio il suo esempio. Cullava la speranza di costruire su quell'enorme muro un futuro più vantaggioso, diverso e sicuro, non solo per lei, ma anche per il resto della sua famiglia. Ormai il mattino era lì e anche zia Pippinella, la vecchia zitellona, soprannominata la pazza del paese (per il suo modo mascolino di vestirsi) era lì per una commissione; accompagnarle a NAPOLI con il suo vecchio Fiat 1100, targato MI 21 09 61, color nero lucido a due porte, quando erano aperte ricordava le orecchie di un grosso elefante. La marmitta era legata con filo di ferro perché pochi giorni prima s'era rotto il gancio di sostegno e per tale il rombo del motore assomigliava a quello di un veicolo agricolo. A guardarlo bene frontalmente sembrava che ti facesse l'occhiolino, ma forse per il colore diverso dei vetri dei fari: uno bianco trasparente e l'altro giallino e o forse, per il difetto della lampadina, che si accendeva a intermittenza. In verità zia Pippinella si presentò poco prima del sorgere del sole, agitatissima, tutta ben pettinata e vestita di pantaloni scuri, camicia bianca con il colletto ricamato e una giacca nera. Era lì con quasi un'ora d'anticipo e quando vide che la porta era ancora chiusa con un tono di voce da tenore urlò: " Gilurmèlla." Era il modo amichevole di chiamare zia Martella la mamma di Mery. "Svegliati è ora di partire" e con un tono preoccupante concluse: "Preparati altrimenti fanno tardi e l'appàrecchio (l'aereo) se ne va in America e 'a Brioche rimane qua". I presenti in quel camerone, rimasero ammutoliti, immobili nel sentire la parola America. Tutti, compresi i vicini ormai svegli, pensarono alla distanza dal loro piccolo paese, ai grossi palazzi (grattacieli), che come diceva zii Nicòla, (Zio Nicola) che c'era stato alcuni anni prima, toccavano il cielo ed erano talmente alti che se c'era bel tempo s'intravedeva l'Italia. Vantandosi, zii Nicòla, raccontava in paese che quando era stato in America, salì su uno di quei palazzi altissimi e toccò le nuvole con le dita e che per una sola volta era riuscito a mangiarsene un pò. Diceva che avevano un sapore delicato e che erano soffici e tiepide come la panna appena montata. Lampante panzana! Era una gran bugia alla quale, solo dei creduloni avrebbero potuto abboccare, non di certo i Moschianesi, uomini scaltri e fini che accondiscendevano solo per non contraddirlo. Zia Martella, che in quel momento stava scendendo dal lettone, rimase per un istante ferma, quasi sospesa nell'area. Era ovviamente anch'ella preoccupata e dispiaciuta che la primogenita andasse via e con un'espressione amareggiata e frettolosa rivolgendosi alle altre due figlie disse: "Sbrigatevi se no cambio idea e non vi porto a Napoli." Conoscendo la sensibilità di sua figlia Mery, zia Martella con guisa garbata la invitò a vestirsi e a preparare il bagaglio. In quell'istante il vecchio asino ricominciò a ragliare come per dire "lascia stare 'a Brioche, ha poco da correre, sono le cinque di mattina e l'aereo parte alle 11:45." Quella mattina, forse per la stanchezza o forse per la poca voglia di partire e di lasciare tutto, Mery, dai suoi movimenti così lenti, sembrava la proiezione di un film alla moviola. Si alzò dal letto con estrema apatia, prese la brocca e la calò nel cupìello (un grosso recipiente di rame) riempiendolo, poi rovesciò il contenuto nel lavabo bianco sistemato su un piedistallo di ferro battuto, di colore rosso, dove le roselline giallo pallido e rosa chiaro, disegnate nel suo interno, si confondevano con i petali di rose che la mamma aveva posto poco prima per far sì che l'acqua diventasse profumata. Fu quando la giovane unì le mani per raccogliere acqua e petali per lavarsi il viso, che zia Pippinella stufa di aspettare, diede un colpo di clacson. Mery sobbalzò Quel suono improvviso ebbe l'effetto di un secchio d'acqua fresca. Mery, fece un respiro profondo, si caricò di vitalità, si asciugò in tutta fretta con il telo di lino posto lì sulla spalliera di una sedia e affacciandosi dal terrazzo collegato al camerone e al vano della scala, con una voce piacevolmente ironica e carica di tutta la sua spontaneità le rispose: " buongiorno! Buon giorno zia Pippinella, siamo già pronte? fra poco si parte e me ne vado in America! ". Dopo pochi minuti 'a Brioche, scese le scale a due a due come una gazzella, abbracciandosi una grossa valigia che aveva lasciato aperta tutta la notte sul terrazzo per farle prendere aria. S'avvicinò a zia Pippinella fece un inchino per salutarla e insieme, si recarono in cucina. Appoggiò sul tavolo il vecchio bagaglio verde di cartone pressato, con tanti fiorellini stampati di varie tinte, lo aprì e con l'aiuto della zitellona incominciò a buttarci letteralmente di tutto: Vestiti, scarpe, cibarie tutto quello che la sua mamma gli aveva preparato con cura il giorno prima. Man mano che riempiva la valigia, le si stringeva il cuore; un nodo alla gola di nostalgia la soffocava tanto che i suoi occhi si gonfiavano di lacrime dandole quasi l'aspetto di una rana. Zia Pippinella, donna astuta, capì che Mery stava soffrendo e; senza dir niente, le diede due colpetti con la mano sulla spalla in segno di compassione. Poi, versò in un bicchiere un po' di marsala all'uovo e la invitò a bere dicendole: "uagliòttola bèvi che ti passa stù nuzzùle gànne, a pena è 'a nòsta che rimanìmmo cà." ("signorina beva, che ti passa il nodo alla gola, la pena e nostra che restiamo qua ".) Mery sapeva che non sarebbe stata una scampagnata, sapeva che andava in America per stare vicino ai suoi fratelli che avevano bisogno di lei ma, ancora non si rendeva conto di quanto fossero lontani. Pensosa, con un sorriso sofferto che si allargava piano piano, prese il bicchiere e lo bevve tutta in una volta, emanando subito dopo uno sbuffo profondo, poi, rivolgendosi a zia Pippinella, con un bacio e facendogli un occhiolino le disse: "Cosa sono 12 ore di viaggio? è come una giornata di lavoro, posso tornare, quando voglio." In modo saggio zia Pippinella senza discutere, abbassò gli occhi e accennò delle sì più volte muovendo la testa e senza dare troppo peso alle parole di Mery, si abbassò e accarezzò i gattini che girovagavano in cucina mentre sotto al tavolo c'era la loro mamma Titina, così la chiamava zia Martella. La zitellona sapeva bene che purtroppo così non sarebbe stato. Quel viaggio di 12 ore di sola andata costava poco più di un salario di un anno di duro lavoro e non tutti potevano permettersi. La famiglia di Mery assieme al contributo dei fratelli, aveva fatto uno sforzo immenso per racimolare i soldi per poterla fare giungere l'America, quindi per un certo verso lei era fortunata e privilegiata, comunque il viaggio era di sola andata. Era quasi tutto pronto, Mery stava per chiudere la vecchia valigia quando le sorelle le si presentarono davanti, ognuna con un dono strettamente personale e l'invito a non dimenticarsi di loro. Melina le diede il suo spillone rosso fermacapelli, mentre Nuccia le consegnò la sua spazzola di color rosa antico. Quei gesti e quegli oggetti sembravano dire: " va, fa fortuna e mandaci a chiamare." La loro sorte era nelle mani della 'a Brioche. Il respiro di zia Pippinella che ormai non ne poteva più di aspettare, assomigliava al fischio sottile della moka napoletana. All'improvviso con un modo arrogante e con un gesto velocissimo, chiuse la valigia rinchiudendoci dentro tutta la vita passata di Mery, il profumo del suo paesee... il raglio dell'asino. La giovane Mery, con una forza a lei estranea, prese la valigia e si avviò con il capo chino verso l'auto che era lì parcheggiato davanti alla corte di casa. Le brillavano gli occhile tremavano le gambe ma, lei donna montanara, fece finta di niente, appoggiò a terra la valigia e con i pugni cercò di asciugarsi le gocce del pianto liberatorio. In quel momento Mery, si sentì sradicare come un albero dal suo terreno in piena vegetazione e in pochi minuti, si appassì, ma non si accasciò. Aveva in lei la vitalità di un vulcano in eruzione e niente l'avrebbe fermata nella sua decisione anche se un po' forzata. Senza perdersi d'animo salì per prima in macchina e si sedette di fianco a zia Pippinella, mentre nei posti posteriori salirono zia Martella e le sue figlie. Con superbia a Brioche chiuse lo sportello lasciando fuori il suo mondo, il piccolo paese di montagna, la sua gente e il profumo particolare del suo paese. L'odore di varichina, quando si entrava o si usciva da Moschiano nell'aria si sentiva sempre un odore di varechina, dovuto agli scarichi a cielo aperto dell'acqua bianca che accostava tutta la strada centrale e finiva nel canalone, ai piedi del paese. Dopo un colpo di clacson, zia Pippinella fece partire il vecchio fiat che scricchiolando per la sua vecchiaia, orgoglioso si avviò verso l'America lasciando una nuvola di fumo grigio, che oscurava il passato in bianco e nero della giovane Mery e con esso scompariva, mentre compariva un mondo a colori tutto da scoprire. Appena si allontanarono dal paese Mery chiese a zia Pippinella di accostarsi per un momento e invitò la mamma a occupare il suo posto, così, lei si accomodò nella parte posteriore con le sorelle. Solo per pochi chilometri riuscirono a stare sveglie e bisbigliare fra loro, poi dalla stanchezza della nottata si addormentarono tenendosi per mano, pure zia Martella fece finta di dormire, per evitare tutte le prediche della vecchia zitellona che a ogni occasione raccontava di quando da giovane partecipò a una selezione per piloti delle volanti di polizia dello stato e purtroppo solo perché era donna non l'avevano promossa ma, in ogni modo la premiarono con un attestato di merito per la capacità di guida. ( A quei tempi era una delle pochissime donne che guidavano). C'è l'aveva nel sangue la passione delle auto, lei stessa faceva manutenzione al suo veicolo ed era anche esperta nella manutenzione dei vecchi motori agricoli. La zitellona parlava di tutto ma, mai di suo fratello il conte Dino. Lo chiamavano così al paese, perché lui viveva in miseria, ma voleva far credere a tutti di essere un nobile un benestante. Vestiva in modo elegante e portava sempre un foulard rosso al collo e una giacca di camoscio. S'illudeva di sapere tutto e di tutti ma, era un miserabile un incapace. Nelle sue polemiche politiche era evidente che odiava tutti i benestanti, ma la cosa ridicola è che lui stesso credeva d'esserlo. Giunti a Napoli, zia Pippinella con fierezza fece svegliare le ragazze con la frase: " uagliòttelle, virite l'apparecchie".( ragazze, guardate gli aerei) Le ragazze si svegliarono, ancora intontite. Scesero dalla macchina e alla vista degli aeri rimasero sbalordite dalle dimensioni. Una di loro chiese: "ma come fanno, a muoversi nell'aria?""Bò!" Rispose zia Martella e poi s'affrettò a prendere la valigia dal vano bagaglio per evitare altre domande e senza mai voltarsi indietro si avviò decisa verso l'entrata dell'aeroporto. Mery frettolosamente seguì la mamma mentre le sorelle restarono con zia Pippinella che doveva trovare un parcheggio poi le raggiunsero Fatti tutti i controlli e i dovuti saluti, con gli occhi ancora lucidi dal pianto, Mery si avviò all'aereo senza mai voltarsi, abbandonando dietro di lei il suo passato. Quando lo sportello si chiuse, gli occhi di zia Martella e quelli delle sorelle si riempirono di lacrime e uno di loro con voce tremante sussurrò: "Buona fortuna Mery, non dimenticarti di noi" 'A Brioche era felicissima, pensava all'America e al suo futuro, ed appena l'aero prese quota, anche lei si staccò dal suolo e incominciò a volare con la mente e poco dopo si addormentò cadendo in un sonno profondo. Sognò di volare, era bellissimo. Volava come un gabbiano senza affondare, si appoggiava sulle onde dell'oceano a riposare e poi ripartiva verso l'America lasciando cadere dal suo grosso sacco che portava sulle spalle tutto il suo passato, tutte le sue paure e le sue angosce, in quelle acque profonde e gelide. Sogno pure suo padre, sorridente, seduto su una nuvola con una targhetta come se stesse gli indicando un luogo ma era un numero 21. 09. 61 avvicinandosi, lui gli disse: "Sono contento che sia giunta prima tu in America così io posso andare a riposare tranquillo e spero che..." Mery, a questo punto fu svegliata da un assistente di volo che la invitava a mangiare. Rimase per qualche minuto ad occhi spalancati senza fare un cenno. Scocciata con respiro affannoso e con voce sussultante disse: "no grazie". Non aveva mai sognato suo padre da quando era morto e restò dispiaciuta di essersi svegliata proprio in quel momento. Non era capace d'interpretare quello strano sogno, cercava di trovare una soluzione o meglio, cercava di decifrare la frase del suo papà. Cosa voleva dire "spero che?... Che tutto vada bene? O forse. "Spero che tu abbi fortuna? ". Oppure "Spero che... ti trovi bene? "e il numero cosa voleva suggerire? Mery con la speranza di riprendere quel sonno cercò di riaddormentarsi, ma non ci riuscì, neanche contando le pecore, arrivò a contarne cinquemilacinquecetoventicinque. Si stancò, ma non si addormentò. Purtroppo quella frase rimase incompleta e Mery non riuscì a capire cosa voleva dirle suo padre.

12345678

0
0 commenti     0 recensioni    

un altro testo di questo autore   un'altro testo casuale

0 recensioni:

  • Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
    Effettua il login o registrati

0 commenti:


Licenza Creative Commons
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0