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'A brioche italovenezuelano
Di prima mattina si sentì il raglio insistente di un asino, svegliò davvero tutti, quelli che dormivano e quelli che fantasticavano a occhi aperti, come la giovane Mery. Sì, quella. Quella che i compaesani chiamavano 'a Brioche, perché piccola e paffuta. Non aveva dormito tutta la notte, spaventata e nello stesso tempo, felice per quello che avrebbe dovuto fare nella giornata che stava per arrivare Quella notte, non solo la sveglia, con quel tic toc che man mano che passavano i minuti sembrava amplificassi, anche il vento sbuffava con vigore e per ripicca sbatteva lo scuro della finestrella, intervallando il suono dell'orologio. Con lei, pure le sorelle avevano vegliato tutta la notte e di continuo le raccomandavano qualcosa. "Non ti scordare" Questa frase si intervallava al tic toc della sveglia, dando l'impressione che lo rallentasse. Quella notte interminabile, segnava la fine di una vita dura, fatta di tanti sacrifici e rinunce. La fine di un'esistenza in quel piccolo paesino arrampicato sulla montagna dove si viveva prevalentemente di quello che si ricavava dal lavoro della terra, un'esistenza ad ogni modo tranquilla. Una fine che dava inizio a una nuova vita che 'a Brioche non aveva mai immaginato prima. Lei, come tutte le ragazze di quel piccolo paesino, già a quell'età era destinata a ritrovarsi da grande sposata con almeno tre o quattro figli, con il capo avvolto in un foulard in prevalenza rosso o verde e vestita dalle lunghe gonne di panno scuro, coperte da un grembiule ricavato da qualche vestito rovinato, o meglio, consumato dal tempo. La sua sorte era già segnata, un copione di vita per tutti, lavorare la terra della montagna e dedicassi esclusivamente alla famiglia e alla casa. 'a Brioche, in quel benedetto viaggio, sperava che tutto cambiasse e si augurava di riuscire a buttar giù quel sistema che da sempre marchiava la vita delle donne del suo paese, e perché no! Dare spunto a tutte le altre di intraprendere con coraggio il suo esempio. Cullava la speranza di costruire su quell'enorme muro un futuro più vantaggioso, diverso e sicuro, non solo per lei, ma anche per il resto della sua famiglia. Ormai il mattino era lì e anche zia Pippinella, la vecchia zitellona, soprannominata la pazza del paese (per il suo modo mascolino di vestirsi) era lì per una commissione; accompagnarle a NAPOLI con il suo vecchio Fiat 1100, targato MI 21 09 61, color nero lucido a due porte, quando erano aperte ricordava le orecchie di un grosso elefante. La marmitta era legata con filo di ferro perché pochi giorni prima s'era rotto il gancio di sostegno e per tale il rombo del motore assomigliava a quello di un veicolo agricolo. A guardarlo bene frontalmente sembrava che ti facesse l'occhiolino, ma forse per il colore diverso dei vetri dei fari: uno bianco trasparente e l'altro giallino e o forse, per il difetto della lampadina, che si accendeva a intermittenza. In verità zia Pippinella si presentò poco prima del sorgere del sole, agitatissima, tutta ben pettinata e vestita di pantaloni scuri, camicia bianca con il colletto ricamato e una giacca nera. Era lì con quasi un'ora d'anticipo e quando vide che la porta era ancora chiusa con un tono di voce da tenore urlò: " Gilurmèlla." Era il modo amichevole di chiamare zia Martella la mamma di Mery. "Svegliati è ora di partire" e con un tono preoccupante concluse: "Preparati altrimenti fanno tardi e l'appàrecchio (l'aereo) se ne va in America e 'a Brioche rimane qua". I presenti in quel camerone, rimasero ammutoliti, immobili nel sentire la parola America. Tutti, compresi i vicini ormai svegli, pensarono alla distanza dal loro piccolo paese, ai grossi palazzi (grattacieli), che come diceva zii Nicòla, (Zio Nicola) che c'era stato alcuni anni prima, toccavano il cielo ed erano talmente alti che se c'era bel tempo s'intravedeva l'Italia. Vantandosi, zii Nicòla, raccontava in paese che quando era stato in America, salì su uno di quei palazzi altissimi e toccò le nuvole con le dita e che per una sola volta era riuscito a mangiarsene un pò. Diceva che avevano un sapore delicato e che erano soffici e tiepide come la panna appena montata. Lampante panzana! Era una gran bugia alla quale, solo dei creduloni avrebbero potuto abboccare, non di certo i Moschianesi, uomini scaltri e fini che accondiscendevano solo per non contraddirlo. Zia Martella, che in quel momento stava scendendo dal lettone, rimase per un istante ferma, quasi sospesa nell'area. Era ovviamente anch'ella preoccupata e dispiaciuta che la primogenita andasse via e con un'espressione amareggiata e frettolosa rivolgendosi alle altre due figlie disse: "Sbrigatevi se no cambio idea e non vi porto a Napoli." Conoscendo la sensibilità di sua figlia Mery, zia Martella con guisa garbata la invitò a vestirsi e a preparare il bagaglio. In quell'istante il vecchio asino ricominciò a ragliare come per dire "lascia stare 'a Brioche, ha poco da correre, sono le cinque di mattina e l'aereo parte alle 11:45." Quella mattina, forse per la stanchezza o forse per la poca voglia di partire e di lasciare tutto, Mery, dai suoi movimenti così lenti, sembrava la proiezione di un film alla moviola. Si alzò dal letto con estrema apatia, prese la brocca e la calò nel cupìello (un grosso recipiente di rame) riempiendolo, poi rovesciò il contenuto nel lavabo bianco sistemato su un piedistallo di ferro battuto, di colore rosso, dove le roselline giallo pallido e rosa chiaro, disegnate nel suo interno, si confondevano con i petali di rose che la mamma aveva posto poco prima per far sì che l'acqua diventasse profumata. Fu quando la giovane unì le mani per raccogliere acqua e petali per lavarsi il viso, che zia Pippinella stufa di aspettare, diede un colpo di clacson. Mery sobbalzò Quel suono improvviso ebbe l'effetto di un secchio d'acqua fresca. Mery, fece un respiro profondo, si caricò di vitalità, si asciugò in tutta fretta con il telo di lino posto lì sulla spalliera di una sedia e affacciandosi dal terrazzo collegato al camerone e al vano della scala, con una voce piacevolmente ironica e carica di tutta la sua spontaneità le rispose: " buongiorno! Buon giorno zia Pippinella, siamo già pronte? fra poco si parte e me ne vado in America! ". Dopo pochi minuti 'a Brioche, scese le scale a due a due come una gazzella, abbracciandosi una grossa valigia che aveva lasciato aperta tutta la notte sul terrazzo per farle prendere aria. S'avvicinò a zia Pippinella fece un inchino per salutarla e insieme, si recarono in cucina. Appoggiò sul tavolo il vecchio bagaglio verde di cartone pressato, con tanti fiorellini stampati di varie tinte, lo aprì e con l'aiuto della zitellona incominciò a buttarci letteralmente di tutto: Vestiti, scarpe, cibarie tutto quello che la sua mamma gli aveva preparato con cura il giorno prima. Man mano che riempiva la valigia, le si stringeva il cuore; un nodo alla gola di nostalgia la soffocava tanto che i suoi occhi si gonfiavano di lacrime dandole quasi l'aspetto di una rana. Zia Pippinella, donna astuta, capì che Mery stava soffrendo e; senza dir niente, le diede due colpetti con la mano sulla spalla in segno di compassione. Poi, versò in un bicchiere un po' di marsala all'uovo e la invitò a bere dicendole: "uagliòttola bèvi che ti passa stù nuzzùle gànne, a pena è 'a nòsta che rimanìmmo cà." ("signorina beva, che ti passa il nodo alla gola, la pena e nostra che restiamo qua ".) Mery sapeva che non sarebbe stata una scampagnata, sapeva che andava in America per stare vicino ai suoi fratelli che avevano bisogno di lei ma, ancora non si rendeva conto di quanto fossero lontani. Pensosa, con un sorriso sofferto che si allargava piano piano, prese il bicchiere e lo bevve tutta in una volta, emanando subito dopo uno sbuffo profondo, poi, rivolgendosi a zia Pippinella, con un bacio e facendogli un occhiolino le disse: "Cosa sono 12 ore di viaggio? è come una giornata di lavoro, posso tornare, quando voglio." In modo saggio zia Pippinella senza discutere, abbassò gli occhi e accennò delle sì più volte muovendo la testa e senza dare troppo peso alle parole di Mery, si abbassò e accarezzò i gattini che girovagavano in cucina mentre sotto al tavolo c'era la loro mamma Titina, così la chiamava zia Martella. La zitellona sapeva bene che purtroppo così non sarebbe stato. Quel viaggio di 12 ore di sola andata costava poco più di un salario di un anno di duro lavoro e non tutti potevano permettersi. La famiglia di Mery assieme al contributo dei fratelli, aveva fatto uno sforzo immenso per racimolare i soldi per poterla fare giungere l'America, quindi per un certo verso lei era fortunata e privilegiata, comunque il viaggio era di sola andata. Era quasi tutto pronto, Mery stava per chiudere la vecchia valigia quando le sorelle le si presentarono davanti, ognuna con un dono strettamente personale e l'invito a non dimenticarsi di loro. Melina le diede il suo spillone rosso fermacapelli, mentre Nuccia le consegnò la sua spazzola di color rosa antico. Quei gesti e quegli oggetti sembravano dire: " va, fa fortuna e mandaci a chiamare." La loro sorte era nelle mani della 'a Brioche. Il respiro di zia Pippinella che ormai non ne poteva più di aspettare, assomigliava al fischio sottile della moka napoletana. All'improvviso con un modo arrogante e con un gesto velocissimo, chiuse la valigia rinchiudendoci dentro tutta la vita passata di Mery, il profumo del suo paesee... il raglio dell'asino. La giovane Mery, con una forza a lei estranea, prese la valigia e si avviò con il capo chino verso l'auto che era lì parcheggiato davanti alla corte di casa. Le brillavano gli occhile tremavano le gambe ma, lei donna montanara, fece finta di niente, appoggiò a terra la valigia e con i pugni cercò di asciugarsi le gocce del pianto liberatorio. In quel momento Mery, si sentì sradicare come un albero dal suo terreno in piena vegetazione e in pochi minuti, si appassì, ma non si accasciò. Aveva in lei la vitalità di un vulcano in eruzione e niente l'avrebbe fermata nella sua decisione anche se un po' forzata. Senza perdersi d'animo salì per prima in macchina e si sedette di fianco a zia Pippinella, mentre nei posti posteriori salirono zia Martella e le sue figlie. Con superbia a Brioche chiuse lo sportello lasciando fuori il suo mondo, il piccolo paese di montagna, la sua gente e il profumo particolare del suo paese. L'odore di varichina, quando si entrava o si usciva da Moschiano nell'aria si sentiva sempre un odore di varechina, dovuto agli scarichi a cielo aperto dell'acqua bianca che accostava tutta la strada centrale e finiva nel canalone, ai piedi del paese. Dopo un colpo di clacson, zia Pippinella fece partire il vecchio fiat che scricchiolando per la sua vecchiaia, orgoglioso si avviò verso l'America lasciando una nuvola di fumo grigio, che oscurava il passato in bianco e nero della giovane Mery e con esso scompariva, mentre compariva un mondo a colori tutto da scoprire. Appena si allontanarono dal paese Mery chiese a zia Pippinella di accostarsi per un momento e invitò la mamma a occupare il suo posto, così, lei si accomodò nella parte posteriore con le sorelle. Solo per pochi chilometri riuscirono a stare sveglie e bisbigliare fra loro, poi dalla stanchezza della nottata si addormentarono tenendosi per mano, pure zia Martella fece finta di dormire, per evitare tutte le prediche della vecchia zitellona che a ogni occasione raccontava di quando da giovane partecipò a una selezione per piloti delle volanti di polizia dello stato e purtroppo solo perché era donna non l'avevano promossa ma, in ogni modo la premiarono con un attestato di merito per la capacità di guida. ( A quei tempi era una delle pochissime donne che guidavano). C'è l'aveva nel sangue la passione delle auto, lei stessa faceva manutenzione al suo veicolo ed era anche esperta nella manutenzione dei vecchi motori agricoli. La zitellona parlava di tutto ma, mai di suo fratello il conte Dino. Lo chiamavano così al paese, perché lui viveva in miseria, ma voleva far credere a tutti di essere un nobile un benestante. Vestiva in modo elegante e portava sempre un foulard rosso al collo e una giacca di camoscio. S'illudeva di sapere tutto e di tutti ma, era un miserabile un incapace. Nelle sue polemiche politiche era evidente che odiava tutti i benestanti, ma la cosa ridicola è che lui stesso credeva d'esserlo. Giunti a Napoli, zia Pippinella con fierezza fece svegliare le ragazze con la frase: " uagliòttelle, virite l'apparecchie".( ragazze, guardate gli aerei) Le ragazze si svegliarono, ancora intontite. Scesero dalla macchina e alla vista degli aeri rimasero sbalordite dalle dimensioni. Una di loro chiese: "ma come fanno, a muoversi nell'aria?""Bò!" Rispose zia Martella e poi s'affrettò a prendere la valigia dal vano bagaglio per evitare altre domande e senza mai voltarsi indietro si avviò decisa verso l'entrata dell'aeroporto. Mery frettolosamente seguì la mamma mentre le sorelle restarono con zia Pippinella che doveva trovare un parcheggio poi le raggiunsero Fatti tutti i controlli e i dovuti saluti, con gli occhi ancora lucidi dal pianto, Mery si avviò all'aereo senza mai voltarsi, abbandonando dietro di lei il suo passato. Quando lo sportello si chiuse, gli occhi di zia Martella e quelli delle sorelle si riempirono di lacrime e uno di loro con voce tremante sussurrò: "Buona fortuna Mery, non dimenticarti di noi" 'A Brioche era felicissima, pensava all'America e al suo futuro, ed appena l'aero prese quota, anche lei si staccò dal suolo e incominciò a volare con la mente e poco dopo si addormentò cadendo in un sonno profondo. Sognò di volare, era bellissimo. Volava come un gabbiano senza affondare, si appoggiava sulle onde dell'oceano a riposare e poi ripartiva verso l'America lasciando cadere dal suo grosso sacco che portava sulle spalle tutto il suo passato, tutte le sue paure e le sue angosce, in quelle acque profonde e gelide. Sogno pure suo padre, sorridente, seduto su una nuvola con una targhetta come se stesse gli indicando un luogo ma era un numero 21. 09. 61 avvicinandosi, lui gli disse: "Sono contento che sia giunta prima tu in America così io posso andare a riposare tranquillo e spero che..." Mery, a questo punto fu svegliata da un assistente di volo che la invitava a mangiare. Rimase per qualche minuto ad occhi spalancati senza fare un cenno. Scocciata con respiro affannoso e con voce sussultante disse: "no grazie". Non aveva mai sognato suo padre da quando era morto e restò dispiaciuta di essersi svegliata proprio in quel momento. Non era capace d'interpretare quello strano sogno, cercava di trovare una soluzione o meglio, cercava di decifrare la frase del suo papà. Cosa voleva dire "spero che?... Che tutto vada bene? O forse. "Spero che tu abbi fortuna? ". Oppure "Spero che... ti trovi bene? "e il numero cosa voleva suggerire? Mery con la speranza di riprendere quel sonno cercò di riaddormentarsi, ma non ci riuscì, neanche contando le pecore, arrivò a contarne cinquemilacinquecetoventicinque. Si stancò, ma non si addormentò. Purtroppo quella frase rimase incompleta e Mery non riuscì a capire cosa voleva dirle suo padre.
Vecchi ricordi.
Puntualmente, ogni lunedì Mery si svegliava di buon mattino. Un quarto alle cinque. Si preparava il caffè e si piazzava vicino alla finestra, di lì doveva passare Fernando, il vecchio carrettiere che andava a caricare la frutta al mercato. Mery, fissava lo sguardo su quel carretto e con la mente tornava in dietro nel suo passato, il suono degli zoccoli e quel rumore delle ruote che lasciavano sulla strada acciottolata, gli rammentavano zio Martino, suo padre, il vecchio carrettiere e la sua asina Carolina. Ogni volta che zio Martino la faceva uscire o entrare dalla stalla (un paio di scalini dal livello della strada) doveva stendere un tappeto rosso per coprire quei due scalini. Non si è mai saputo il perché, forse per evitare che scivolasse o probabilmente quel rialzo spaventava Carolina In ogni modo, in quell'occasione la chiamavano la sposa. Spesso, quando ritornava a casa zio Martino con l'asina, trovava già pronti i ragazzini del borgo che per divertirsi accoglievano Carolina come una vera sposa, poggiavano sul groppone di Carolina un velo da sposa e gettavano ai suoi piedi pedali di fiori e foglie di limoni, una vera cerimonia. Carolina, salite le scale si soffermava per un po' e dondolando la testa, portava le labbra tutto da un lato mostrando i suoi denti, imitando un allegro sorriso. Tutti si divertivano tantissimo. (Quel sorriso mi ricorda un mio carissimo amico, Sabatino un ragazzo tutto fare e pacioccone.) Si racconta che pochi mesi dopo che i suoi due figli maschi (Salvatore e Pinuccio )partirono per il Venezuela, zio Martino si ammalò, la famiglia ebbe un crollo finanziario al punto che zia Martella dovette vendere l'asina per poter affrontare sia le spese per i medicinali sia per poter sopravvivere. La vecchia asina dopo circa un mese scappò dal suo nuovo padrone e di buon mattino si ripresentò nel cortile del suo vecchio carrettiere. Zio Martino, all'ascolto del raglio della sua asina con un filo di voce disse: "a ciùcìa, 'a spòsa ". E con ancor il sorriso sulle labbra chiuse, gli occhi, fece un respiro profondo e spirò.
Finalmente insieme
Dopo circa due anni i fratelli di Mery resesi conto che la situazione economica e lavorativa era molto migliorata grazie soprattutto alla collaborazione della sorella, decisero di far venire in America il resto della famiglia. Il 18 luglio del 1955 dopo cena, erano quasi le nove, Salvatore, già d'accordo con Pinuccio, chiamò sua sorella che già era in opera a riordinare la cucina, "Mary vieni a sederti con noi e porta tre bicchierini di nocino che ci sono novità per te " Mery ragazza molto sveglia capì la suonata, prese i bicchierini e la bottiglia e con un sorriso che prendeva tutta la faccia si sedette in mezzo ai fratelli dicendo: " Eccomi!, ditemi " Pinuccio si alzò dal divano, tolse la bottiglia e i bicchierini dalle mani di Mery, ne diete uno a Salvatore e due li restituì alla sorella, ci versò dentro il liquore quasi fino all'orlo, poi, li invito ad alzarsi con loro si riprese un bicchierino dalle mani di Mery e fece cenno di un brindisi dicendo: "La famiglia Buonaiuto brinda all'arrivo del resto della famiglia" Mery mandò giù in un solo colpo il nocino poi mise a terra il bicchierino vuoto e abbraccio entrambi i fratelli ripetendo grazie più volte Salvatore mentre Mery si sbaciucchiava ancora Pinuccio raccolse i bicchieri e la bottiglia, li poggiò sul tavolo dove già era pronto un foglio di colore verdino chiaro, imbevuto in assenza di viole. Girandosi verso sua sorella gli disse " Adesso vieni qua e scrivi quello che io ti detto". Mery con gli occhi lucidi e il cuore colmo di gioia si sedette vicino al tavolo e incominciò a scrivere tutto quello che Salvatore gli dettava. Quella bellissima lettera si chiudeva con questa frase: "Il 21 settembre alle 11. 45 dovete prendere l'aereo che vostro fratello Salvatore vi ha prenotato." Un abbraccio affettuoso, vostra sorella Mery e fratelli Salvatore e Giuseppe. Due mesi di angosciadue mesi interminabilidue mesi... finalmente trascorsi Mery, quella mattina era nervosissima e agitatissima, non riusciva a fare niente. I suoi fratelli l'agitavano ancora di più, ogni due minuti gli ordinavano qualcosa da fare e ripeteva continuamente: " è tardi". Quelle parole avevano nella testa di Mery, lo stesso effetto di una pallina di ferro in un bicchiere di vetro, era lì per lì per rompersi. Finalmente si recarono all'aeroporto. Salvatore per l'occasione aveva noleggiato un pulmino per sei persone, sperò fino all'ultimo momento che da quell'aereo scendesse anche la mamma. All'avviso dell'arrivo dell'aereo Alitalia, la famiglia Buonaiuto puntò gli occhi sulla pista senza distoglierli per un secondo e seguivano con lo sguardo la scia gioiosa dell'aereo prima di fermarsiOgnuno rimase silenzioso con le mani incrociate. Si trattennero così fino a, quando si aprì il portellone dell'aereo. Li vide per prima Mery, indecisa per il loro cambiamento fisico stette nell'attesa che loro per prima facessero un cenno. Nuccia incrociò lo sguardo con quello di Mery, felicissima e sorridente agitando le mani iniziò a chiamarla: "Mery, siamo qui"ripetete quella frase fin quando s'incontrarono. Mery nell'attesa prese dalla sua borsetta la spazzola rosa e lo spillone rosso e appena incontrò le sorelle gliele restituì. Quel gesto segnava la conclusione, la chiusura di un suo impegno portato a termine con dignità. Fu meraviglioso si abbracciarono e dalla gioia non riuscivano a parlare. Erano troppo soddisfatte di rivedersi e continuavano a osservarsi senza dire una parola. Per sdrammatizzare Pinuccio con tono euforico disse "uaiottole, mammella nun'a te purtate " (ragazze la mamma non l'avete portata). No! rispose Nuccia La mamma è rimasta a Moschiano con la sua gente, noi siamo qui, e aggiunse con un tono divertita, "non siete contenti?" Salvatore prontamente con il sorriso sulle labbra rispose: "Certo ma... sono sicuro che prima o poi ci raggiunge " detto questo apri le braccia e li abbracciò. Dopo i saluti presero i bagagli e si avviarono verso il pulmino. Durante il ritorno a casa Nuccia non fece altro che parlare del piccolo paese, di mamma e delle novità. Melina era stordita dal viaggio e non aveva neanche la forza per parlare. Ogni tanto tentennava la testa, sembrava di confermare quello che diceva Nuccia ma, era semplicemente l'effetto del dormiveglia. Passarono dei momenti meravigliosi La famiglia era unita come le dita di una mano, quando si univano e si stringevano fra loro formavano un pugno capace di superare qualsiasi problema, qualunque difficoltà. Per alcuni giorni rimasero a casa tutte e tre, giusto il tempo per imparare un po' di venezuelano e soprattutto il valore della moneta in corso nel Venezuela. La più brava era Nuccia. Lei per sua natura era capace di fare di tutto ed era molto brava nel commercio. Fu la prima a seguire i fratelli che commerciavano biancheria, vestiti e stoffe, Melina rimase con Mary a dedicarsi alle faccende della casa ed a cucire camice, pantaloni e vestiti. In quella famiglia, regnava il rispetto, la collaborazione e la voglia di lavorare. Ogni sera, quando gli altri tornavano da lavoro trovavano sempre una casa accogliente, un habitat confortevole e una cena deliziosa. La polenta, era diventata non più il piatto imposto dalla miseria ma, uno sfizio. Finalmente dopo tante rinunce si potevano permettere di mangiare la carne, i formaggi, la pasta e bere la famosa Coca Cola. Mery, diventò esperta nella preparazione degli gnocchi di patate, le làvane (che assomigliano alle attuali pappardelle), e la bobba così la chiamava lei, simile al minestrone, Natale
Il primo Natale, fu bellissimo, doveva essere tutto come al loro paese, non doveva mancare niente, dal presepe, al cenone. Giuseppe, aveva il compito di procurarsi tutto per allestire un presepe, Salvatore doveva provvedere al cenone, Nuccia e Melina ai regali, Mery a tutto il resto. La mattina della vigilia di Natale si svegliarono tutti molto presto, ognuno aveva il suo compito. Giuseppe, allestì il suo presepe sul mobiletto della macchina per cucire, composto di una capanna di legno e cartone da lui realizzata, coperta d'ovatta bianca per simulare la neve e nel suo interno c'erano delle statuine di gesso che rappresentavano la Madonna, San Giuseppe, Gesù in una cesta, l'asinello e la mucca. Con la carta argentata dell'interno di un pacchetto per sigarette, aveva fatto all'esterno della capanna un laghetto dove ci aveva sistemato intorno del muschio e vi aveva posto sopra delle piccole oche, due maialini ed una decina di pecorelle. Salvatore, aveva il compito di pulire il capitone, di togliere il baccalà dall'acqua e tagliarlo a pezzi più piccoli e di spurgare le vongole. Nuccia e Melina, pulirono la casa, confezionarono i regali che avevano acquistato prima e apparecchiarono la tavola a festa. Mery, nel suo regno a preparare il cenone. Prima di sedersi a tavola si afferrarono per mano tutti e quattro, si avvicinarono al presepe e in silenzio con il capo volto in basso pregarono per loro, per tutti quelli che come loro stavano lontano, e per la loro mamma che era rimasta da sola in Italia. Giuseppe alzando gli occhi vide Melina che stava per piangere, per evitarlo improvvisamente rùppe quel silenzio di preghiera esclamando: "a nuela ". Tutti stupiti e spaventati lo guardarono, lui si precipitò in cucina, afferrò un cucchiaio di legno e portandoselo alla bocca imitava il suono della zampogna ed il motivo di una vecchia novella paesana. Rimasero tutti in silenzio, alla conclusione dell'esibizione applaudirono e lo abbracciaronopoi andarono a consumare il meritato cenone. Stavano bevendo il sorbetto quando qualcuno bussò alla porta, erano quasi le ventidue, Nuccia quasi scocciata disse: "Ma chi può essere a quest'ora?". Salvatore, rispose: "Forse qualcuno che deve comprare un vestito". Mery stufa, si alzò e andò a vedere, aprì la porta, subito vide un grosso valigiotto, poi Lalla. Una sua vecchia amica italiana, rimasero un po' stupidì, vedere una loro paesana lì in Venezuela, nella tarda serata di Natale. Lalla, al paese la chiamavano a uagliottola che pàlle (La ragazza con le palle), indossava sempre i pantaloni e portava in tasca due fazzoletti arrotolati che, quando li teneva in tasca sembravano due palle. Una tipa stravagante, si vedeva spesso girare in paese in bicicletta con un mozzicone di sigaretta spento in bocca ed un cappello rosso con la visiera verde. Guidava la bici, con i polsi rovesciati e si sedeva sulla punta della sella, non solo per comodità, ma anche per eccitare chi la guardava. Una ragazza ardimentosa e forte; non aveva paura di nessuno, pronta a fronteggiare qualsiasi situazione in qualsiasi momento Fumava le nazionali senza filtro già a 12 anni e se suo padre la beccava, lei non aveva timore di prendersi una sgridata o delle botte. Una ragazza eccezionale e sensuale, aveva un sorriso provocante con tutti, gli piaceva e si divertiva molto parlare di sesso, prendendo in giro chiunque parlava con lei. Salvatore guardando Mery gli disse: "Chi è sta uagliottola?" ( chi è questa ragazza?) lei stessa rispose " sono la figlia di cugliastrone, il macellaio del paese."A quel punto, Giuseppe disse: " ma io ti conosco, ti facevo la corte, quando stavo in Italia". "Peccato, che già mi sono sistemato". Nuccia senza troppo cerimonie gli disse: "Dai siediti e mangia con noi" Nessuno aveva il coraggio di chiedere come mai si trovava lì, proprio da loro e perché. Giunta la mezza notte, tutti si ripresero per mano e avvicinandosi al presepe dissero prima una preghiera e poi ognuno espresse un desiderio ad alta voce. Mery disse: " Gesù, insegnaci a camminare sulla strada che porta a te, fa che le nostre opere ti diano gioia e felicità per averci creati.". Salvatore: "Signore fa che noi tutti ci vogliamo bene, che restiamo sempre uniti e che ci rispettiamo sempre "Poi, dondolandosi con il sorriso sulle labbra aggiunse "E che gli affari vadano sempre bene". Giuseppe : "Signore grazie per averci dato la possibilità di venire in America, dove abbiamo un buon lavoro ( sollevando il piatto pieno) e tanto da mangiare " sorridendo aggiunse " grazie anche per Lalla, che non la vedevo da anni". Lalla, approfittandosi di essere stata tirata in ballo, preso la parola disse: " Signore ti ringrazio per avermi aiutato a ritrovare la mia amica e ti chiedo scusa per quello che ho fatto alla mia famiglia". "Tu solo sai quando ho sofferto perché nessuno mi ha mai capito". Tutti in paese, pensavano che Lalla fosse forte come un uomo e che non aveva bisogno di coccole o carezze. Lei da ragazzina se le dovute sbrigare sempre da sola, non c'era mai nessuno ad asciugargli le lacrime, neanche per la perdita della sua mamma. Non c'è mai stato nessuno a confortarla nelle sue delusioni d'amore e mai nessuno ad aiutarla ad affrontare i problemi della vita. Lei, aveva sempre combattuto da sola, contro di tutto e tutti. Lalla, restò con quella famiglia fino a quando una mattina Mery trovò il suo lettino vuoto, con una lettera sul cuscino dove c'era scritto: "Carissima Mery, mi dispiace molto andarmene senza salutarvi, è da molti giorni che pensavo di ripartire, ma non riuscivo a far meno del vostro calore, del tuo affetto che tutti i giorni, hai versato su di me. Nella mia vita, nessuno mi ha mai capito, solo voi, mi avete dato conforto e amore, l'ho cercavo da sempre tutto questo, ma nessuno me l'aveva mai dato. Non vi dimenticherò mai. Mi avete regalato i giorni più belli della mia esistenza. Finalmente, grazie a voi tutti ho ritrovato me stessa. Tu, mi hai aiutato a trovare la luce nel momento più buio, io pregherò tutti i giorni che il Padre Eterno ti protegga a te e ai tuoi familiari sempre. Grazie, Mery." Queste parole Mery li ha sempre portato nel cuore
Il primo amore
Nel 1960, Mery conobbe un giovane italiano Frà, un uomo dai lineamenti di un attore di cinema con un fisico da atleta, pesava meno di 70 chili ed era alto 1, 75 centimetri. Lei n'era innamorata e sognava ad occhi aperti di creare una famiglia con lui e diventare mamma Il sogno s'avverò e alla fine dello stesso anno si unì in matrimonio con il suo affascinante italiano, ebbe una festa con tutti gli onori, qualche foto e una bella cerimonia. Avevano pensato ai preparativi tutte e tre le sorelle, mentre la parte economica era a carico dei fratelli. Alla festa mancava solo la mamma e la famiglia di Frà, che come zia Martella si trovava in Italia. 'A Brioche per cinque anni non riuscì ad avere bambini. Viveva la sua storia con Fra' in un modo inconsueto. Lui doveva dimostrare di essere un uomo, un duro e faceva finta di non capire di quanto soffriva la sua donna. Mery, visse cinque anni terribili, ma poi Dio ascoltò le sue preghiere e la premiò, gli diede un figlio, Salvador, un bambino con i capelli a boccoli biondo oro. La giovane mamma riversò tutto l'affetto e le sue attenzioni su Salvador, mentre per il papà, tutto era scontato, doveva essere così e basta. Frà, voleva vivere la vita tutta, senza rinunciare a niente, aveva rinunciato troppo da ragazzo, troppa povertà, miseria e rinunzie nella sua giovinezza. Viveva in Venezuela non per scelta, ma come Mery era stata strappata dalla sua famiglia e mandato lì in America a fare fortuna. Frà, un uomo con tanti problemi, ma aveva un cuore gigante, non sapeva dir di no a nessuno, era sempre disponibile e generoso e di questo molti n'approfittavano. A suo modo amava la famiglia e lo dimostrò quando nacque Martino, il suo secondo figlio. Quella mattina, prima che la moglie andasse in ospedale per partorire, Frà prendendola per mano gli disse : "Te lo giuro cambierò". Da quel momento Frà si dedicò alla sua famiglia che lì a poco stava per crescere, diventava papà per la seconda volta o forse la terza. In quei giorni, accudì suo figlio con amore. Aveva promesso a se stesso e a sua moglie, che cambiava. Voleva dimostrare di essere un papà esemplare e di dare ai suoi figli il meglio, quello che a lui la vita aveva negato. In quel periodo quando la moglie era in ospedale Frà, ne combinò di tutti i colori. Non era pratico delle faccende domestiche e non solo, la cosa più grave, quando finito le scorte degli alimenti del piccolo Salvador, Frà le diede da mangiare in sostituzione alla pappa di crema di riso, quello integrale con burro e cipolla. Il piccolo ne mangiò così tanto che lo dovette portare in ospedale, era diventato giallo, per indigestione Non era un bravo papà, ma cercava di diventarlo Purtroppo come dice un vecchio proverbio il lupo perde il pelo ma non il vizio A Brioche capì dal comportamento di suo marito che lottava con se stesso perché non riusciva a reggere quel giuramento, una forza ostile lo spingeva a ripetersi nel suo vecchio stile di vita. Mery si fece coraggio e affronto la situazione parlandone con il diretto protagonista Frà, questa volta restò ad ascoltarla e imbarazzato dall'argomento si passava la mano sinistra nei capelli e come la valvola di sicurezza di una pentola a pressione faceva un sottile fischio continuo, cambiando tonalità ogni volta che Mery toccava qualche nervo dolente. 'A Brioche comprese che non poteva più aspettare, doveva far qualcosa, doveva in qualche modo proteggere la sua famiglia e opporsi contro tutto quello che poteva rovinare il suo futuro, la sua dignità. L'unica soluzione sradicare Frà da quella realtà. Ritornare in Italia Da subito si organizzò ad affrontare il viaggio di ritorno del quale Frà sapeva che fosse un viaggio di vacanze, ma non era così per sua moglie era un viaggio di speranza doveva combattere quella battaglia nella sua terra e con forze alleate. Lei sapeva che il suo uomo l'amava e avrebbe apprezzato la sua scelta. Decisione irreversibile, Italia, solo andata 'A Brioche doveva prendere quando più possibile per portarselo in Italia ma il problema grosso e che Frà non doveva sospettarlo. Mery si sentiva crollare il mondo addossonon era facile mentire e far finta di nientementre in verità si preparava ad affrontare una grossa battaglia, quella definitivaconsapevole che non fosse una passeggiata ma un'impresa ardua.
Ritorno in Italia
Quel giorno di marzo del 63 è stato il più lungo della vita di Mery. L'alba s'era smarrita nella notte e le ore affannate scorrono lentissime. Tutto sembra fermarsi e correre nel verso opposto. Il fratello di Mery quella mattina doveva accompagnarli al porto, ma la sua macchina non partì, allora chiamarono un taxi che arrivo puntuale nell'ora stabilita. Il taxi era un vecchio fiat, forse l'unico in America guidato da un piccolo uomo italiano sui 60 anni con accento siculo venezuelano A Mery gli salì il cuore in gola, quando quel signore si presentò stringendogli la mano gli disse: " don Peppino a vostro servizio ". Gli si riempirono gli occhi di lacrime, la corsa verso l'Italia iniziava. Frà, aiutò il tassista a caricare i bagagli sul portapacchi, in tutto erano sette, un grosso baule che conteneva tutta la roba per i bambini, tre borsoni da viaggio da portarsi in cabina, due valigie che contenevano la roba per loro e la vecchia valigia color verde con stampa di fiori conteneva tutte le cose preziose, gli affetti della sua famiglia e la speranza di una vita diversa. Sistemati i bagagli, don Peppino diede un colpo di clacson per invitare la signora a sbrigarsi. Come tutti giorni a quell'ora passò il fruttivendolo che con il carrettino tirato da un asinello tornava dal mercato e andava a vendere la frutta in zona. Forse dallo spavento del clacson, forse destino o forse perché quell'asinello doveva salutare Mery, si piantò e incomincio a ragliare mandando su tutte le furie il carrettiere. Mery udì, e capì che era arrivato l'ora; prese i suoi due piccoli, diede uno sguardo a tutto quello che lasciava per sempre e tirò la porta con tanto sdegno che dall'interno si avvertì un tonfo. S'era staccato l'attaccapanni fissato dietro la porta. Mery, non se ne curò, entrò nella parte posteriore della macchina, si sistemò con i piccoli e diede l'ok per partire. Don Peppino suonò il clacson, un paio di volte per salutare i presenti e si avviò verso l'Italia. Strane coincidenze. Sembrava ripetersi la partenza dall'Italia il vecchio fiat 1100, don Peppino, l'asino, tutto come l'inizio. Un buon segnale pensò Mery ma a lei interessava solo salire su quella benedetta nave e arrivare in Italia presto, prestissimo. Lì al porto, erano già arrivati i fratelli di Mery, le sorelle e alcuni parenti di Fra'. Arrivati, anche loro al porto, le sorelle di Mery corsero verso il taxi per aiutarla a scendere ed accudire per quegli ultimi attimi i due piccoli che con quegli occhietti confermavano la loro complicità. Erano tranquilli, come consapevoli che tutto si facesse per il loro bene, per la famiglia. Mery, con fermezza aprì la sua borsetta e con gli occhi lucidi consegnò le chiavi della sua casa a Melina e a bassa voce gli disse: " pensaci tu ". Non ricordo, se ci fu un abbraccio, forse delle lacrime, ma sicuramente tanta dignità. Nel momento dei saluti, ad ogni abbraccio Fra'ripeteva ad ognuno la stessa frase: "Ci rivedremo fra due mesi". Mery agli sguardi vuoti dei suoi consanguinei strizzava gli occhi e scuoteva la testa per far capire che non glielo aveva ancora detto e che non dovevano dirgli niente. Rimase ad aspettare la partenza della nave anche zio Peppino, che come tutti quelli che erano presenti quando vide allontanare la nave si mise a sventolare un fazzoletto, si emozionò e pianse. Lui aveva sempre desiderato tornare in Sicilia, ma purtroppo non c'era riuscito Anche Mery pianse ma no perché lasciava l'America, ma per la gioia. Suo marito gli aveva messo il braccio sul collo e la stringeva a lui per proteggerla, Mery sentì che tutto stava iniziando per il verso giusto. Non aveva dubbi, sapeva di fare la cosa giusta, doveva in qualsiasi modo sradicare Fra' da quella situazione, anche i due piccoli erano festosi di partire, urlavano dalla gioia, stavano recuperando il loro papà. Un viaggio lungo. Quella piccola cabina, sembrava una reggia e durante il viaggio vissero dei momenti bellissimi e incancellabili. Una mattina mentre stavano dormendo, il piccolo Salvador che era nel lettone con i genitori si svegliò prima di loro e incominciò a chiacchierare con la pancia della sua mamma, Frà si svegliò e con un tono dolcissimo le chiese: " cosa stai brontolando!", il piccolo con il dito puntato verso il pancione disse: "bimbo, mamma" Frà, rimase per un attimo senza fiato, aveva capito tutto. Sua moglie lo rendeva papà per la terza volta ma la cosa più emozionante e che aveva saputo da uno dei suoi figli. Il piccolo prese la mano del suo papà e la mise sulla pancia e sì ci si accovacciò vicino quasi a diventare tutto uno e si riaddormentò. Quando Mery si svegliò trovò tre rose, due rosse e una rosa e un biglietto con questa frase: "Perdonami se ti ho fatto del male, io non capivo... Speriamo che sia femmina e che nasca in Italia." Mery non riusciva a capire come suo marito era a conoscenza della gravidanza, erano appena trascorsi due mesi e la pancia era quasi nella sua normalità, nel bigliettino aveva scritto che sperava che nascesse in Italia. Mery si guardò in torno e sì diede un pizzicotto, non era un sogno ma realtà. Dopo pochi minuti ritornò il marito, quando aprì la porta vide Mery seduta ai bordi del letto ed aveva ancora il biglietto fra le mani. Appena entrò in cabina, la moglie sobbalzò dal letto e l'abbracciò con tanta veemenza, che suo marito fece un passo indietro e appoggiandosi alla parete si lasciò scivolare fino a sedersi sul pavimento con la moglie in braccio. Mery avrebbe voluto fermare quell'attimo per sempre. Stava vivendo un sogno. I due piccoli erano lì sul letto e con urli di gioia e sorrisi grandissimi vollero anche loro partecipare a quel momento gioioso. Salvador chiuse quell'attimo con un applauso, anche Mery applaudiva e piangeva dalla gioia non riusciva a credere quello che stava accadendo, era tutto cosi bello. Il buon DIO gli stava donando i momenti più belli della sua vita, sicuramente meritati dopo tutte le pene che aveva passato. Nella mente di Mery rimase impressa quella frase colma di speranza. Cosa voleva intendere suo marito, "speriamo che nasca in Italia." Le speranze fino a quel giorno erano solo di Mery e dei suoi piccoli. Frà aveva cancellato tutto il passato, le acque dell'oceano avevano lavato, purificato l'anima e la mente ed il sole gli avevano fatto riacquistare la luminosità a quegli occhi che per un periodo s'erano spenti. Mancavano pochi giorni all'arrivo. La nave si trovava in mare aperto quando quella notte giunse inaspettatamente una tempesta, dall'oblò della cabina si vedeva il mare infuriato, le onde sbattevano contro la nave con sdegno quasi come ribellarsi di averlo svegliato in piena notte. Mery era spaventata e i due piccoli piangevano Fra, per sdrammatizzare prese un berretto della moglie se lo sistemò in testa e incominciò a imitare la nonna Martella. Sapeva che divertiva la moglie e i piccoli, così l'uomo di roccia divenne un dolce pagliaccio e riuscì a tranquillizzare i piccoli, la moglie e... il mare. Quelle acque erano lì ad ascoltare l'imitazione di Fra' e... applaudiva sbatacchiando dolcemente le onde vicino agli oblò della nave fin, quando s'addormentarono. Tranne Frà che non chiuse occhio. Un pensiero lo assillava. Non voleva più tornare indietro, aveva ritrovato la pace e si stava godendo la sua famiglia. Finalmente stava sorseggiando dalla fonte della felicità e prima di allora non l'aveva mai fatto. Sapeva che quando tornavano in America non lo poteva più fare, lì doveva essere diverso; un maschio, un uomo duro, uno che si deve far rispettare. Questo pensiero lo tormentava e non lo faceva dormire. All'alba, la luce del sole entrò dall'oblò e illuminò Mery e i suoi due piccoli che s'erano impadroniti del lettone. Frà seduto su un lettino lì vicino li guardava. Si alzò e sedutosi sui bordi del lettone si avvicinò all'orecchio della moglie che s'era appena svegliata, con un tono di voce dolcissimo e con gli occhi lucidi gli sussurrò: "Io in America non ci voglio più tornare" Mery ancora assonnata gli rispose: "Noi, non ci torneremo mai più." Mancavano pochi giorni all'arrivo. I due sposi, insieme ai piccoli incominciarono ad organizzarsi il futuro. Quel viaggio aveva già risolto il problema America.
Finalmente a casa
Erano quasi le 10 di mattina, quando dalla nave si sentì un suono assordante, come un urlo di liberazione. Era la sirena della nave per avvisare i passeggeri che erano giunti a destinazione quindi la fine del lungo viaggio. Dal punto in cui erano, s'intravedeva il porto di Napoli e tanti puntini in movimento che avvicinandosi prendevano le forme di persone e mezzi. Tutti i passeggeri si affrettarono a prendere le loro cose e prima di lasciare la cabina davano l'ultima occhiata, per essere certi di non dimenticare niente. Frà con la moglie e i suoi piccoli, erano pronti a sbarcare ed iniziare la nuova vita, quella italiana. Come tutti gli altri passeggeri si misero in fila per scendere e man mano che si avvicinavano al ponte, il cuore e le palpitazioni aumentavano dall'emozione, "finalmente a casa", sussurrò Mery. A queste parole Frà gli accarezzo il viso. Mery rimase un po' da sola con i suoi figli sulla banchina del porto, mentre il marito stava ultimando lo scarico dei bagagli. Comunque cercava con gli occhi di individuare qualche suo parente, sapeva che lì al porto era venuto il fratello di Frà con un camioncino. Lei non lo conosceva, ma cercava ugualmente. All'improvviso udì una voce a lei familiare che ripeteva: "A Brioche... figlia mia! " L'arzilla mamma Martella, correva a braccia aperte verso la sua amata figlia in compagnia di Aniello, il fratello di Frà. Mery, impietrita sussurrò: "Mamma"zia Martella la raggiunse e l'abbracciò. Nell'abbraccio Mery incomincio a piangere dalla gioia, intanto gli parlava degli altri figli, toccandogli continuamente le mani per non farla sentire sola, sola con la malinconia dei figli lontani. Il giovane cognato imbarazzato rimase lì a osservare, senza interrompere, quell'intimità che s'era creata fra mamma e figlia. Mentre i due piccoli seduti a terre, imparziali continuavano a giocare con due martelli di plastica e picchiettavano un piede della mamma senza curarsi di quello che stava succedendo. Loro erano interessati esclusivamente al suono che i martelli facevano uscire picchierellandoli. Zia Martella si chinò, ne prese uno e con un'espressione sorridente disse: "te, tee". Il piccolo la guardo e con un'espressione offesa e le labbra come paperino, rivolse lo sguardo alla mamma e pianse. Zia Martella visto il suo fallimento, allungo le braccia e consegnò il piccolo a Mery che lo tranquillizzò. L'altro rimase seduto a terra, smise di picchiettare il martello e con serietà osservava tutto. Aniello prima saluto la cognata, poi piegandosi sulle ginocchia si abbassò e con un'espressione napoletana rivolgendosi al piccolo che era seduto a terra gli domandò " vuò fa 'o muratore?" (Gli chiese se voleva fare il muratore, il mestiere di suo papà e di molti della famiglia.) Il piccolo Martino riprese a martellare ma, questa volta sulle ginocchia dello zio Aniello, non per giocare ma per protesta, perché vedeva piangere suo fratello, quel gesto divertiva molto lo zio il quale incitava il piccolo a martellare più forte. Finalmente Frà ritornò, si saluto per primo con suo fratello che non vedeva da ragazzino e poi con la suocera, era la prima volta che la vedeva di persona. Frà era un po' preoccupato per sua moglie che quella notte aveva avuto dei forti dolori alla pancia il viaggio non era terminato doveva andare in paese e lui dall'inquietudine continuava a passarsi la mano sinistra nei capelli e mentre suo fratello parlava, lui fischiettava un motivetto. Aniello quando capì che suo fratello non era interessato al discorso, per sdrammatizzare, gli disse " ce ne jammè!" (c'è n'andiamo) Frà sorridente agitando la testa, acconsentì. Dopo un po' di chiacchiere caricarono i bagagli, sistemarono i piccoli, uno in braccia alla mamma e uno alla nonna e partirono verso la terra nativa di Frà, Saviano paese vesuviano. Quel paese Frà non lo vedeva da circa 30 anni, era diverso, agli occhi di Frà sembrava un altro paese, quello che lui aveva lasciato era un luogo povero con case vecchie e molte distrutte dalla guerra del 1945/1948. Arrivati alla corte Botticelli. Aniello nello svoltare nel suo interno, urto con la ruota del furgoncino un vecchio termine che era posto nell'angolo del fabbricato che confinava e costeggiava l'entrata del vicolo. Per avvertire del suo arrivo suonò una decina di volte il clacson in pochi minuti le persone del vicinato, accerchiarono il pulmino, curiosi di vedere gli americani e di conoscere i piccoli di Frà che Mammella (la nonna paterna) n'aveva tanto parlato con tutti. Ci fu festa, tutti parteciparono a scaricare il pulmino ed ad ognuno Mery diede in segno di ringraziamento un pacchetto di caramelle alla frutta con il buco e un pacchetto di sigarette. Mammella era soddisfatta di aver rivisto suo figlio. Era disposta a tutto per far sì che lui non tornasse in America, lei come Mery aveva organizzato con la complicità dei parenti, un piano di battaglia. Dopo tanta fatica riuscirono a scaricare e sistemare i bagagli. Mammella invitò o meglio forzò Mery sotto la sollecitazione del marito a riposarsi almeno un paio d'ore, il tempo di preparare la cena. Mery andò a riposare. Frà prese in braccio entrambi i figli e andò a salutare Tatillo (suo nonno paterno) e altri parenti che abitavano nella corte. Uno di loro, 'o rùffo che aveva un'impresa edile, gli offrì subito un lavoro dicendogli che poteva iniziare, quando voleva. Frà ritornò a casa felicissimo, voleva comunicare subito la notizia a sua moglie, erano da pochi minuti in Italia e già aveva un lavoro. Lui non lo sapeva che questo faceva parte del piano di Mammella. "Detto fra noi " Alla raccomandazione del vecchio Tatillo, 'o rùffo non poteva rifiutare. Frà con il suo modo singolare di camminare,( in pratica ondulava) tornando a casa con Salvador per mano e Martino sulle spalle, da lontano suo cugino Vincenzo lo conobbe e a squarciagola lo chiamò: "Ciccìo." (Francesco) " Ciccio o rùffo" ('O ruffo, era il suo soprannome acquisito da una famiglia nobile di Pompei.) Raggiunto gli diede il benvenuto ed insieme ritornò a casa da Mammella. Era già tutto pronto. Zia Martella e Mammella aveva preparato un'ottima cena; ziti spezzati con sugo di pomodoro ('o tiane)cotto con involtini di cotenne, spezzatino e la zizza (mammelle di mucca). Mangiarono tutti insiemi anche Vincenzo n'approfittò di quel ben di DIO. Frà, quasi a conclusione della cena si ricordò dell'offerta dello zio, quando la comunicò, tutti i presenti applaudirono e brindarono, Mery e Mammella si abbracciarono e piansero, Frà preoccupato si voltò verso la moglie gli accostò la testa al suo petto e disse: "se tu non vuoi ritorniamo in America quando prima possibile ". Mery guardando negli occhi gli prese la mano del cuore e poggiandosela sulla pancia gli rispose: "Vorrei che questo figlio nascesse in Italia e ci restasse per sempre". Tutti gli invitati come se si fossero messi d'accordo, si alzarono in piedi e applaudirono. In seguito la cena si trasformò in assemblea con un solo ordine del giorno, organizzare il futuro di Frà, Mery e i suoi piccini. Ad ogni parere un brindisi d'augurio
Una nuova realtà
Frà non curandosi delle pratiche burocratiche rimase in Italia, lui e la sua famiglia e pochi giorni dopo iniziò a lavorare. Dopo pochi mesi Frà iniziò ad ampliare la casa materna, stava per arrivare un altro bambino, tutto doveva essere pronto in breve tempo. Tornava da lavoro mangiava e subito con l'aiuto della moglie, di suo cugino, del fratello e dei due piccoli che non facevano altro che sporcarsi di calce, lavorava fino a notte fonda per realizzare il loro sogno, i piccoli spesso si addormentavano sistemandosi nella carriola, coprendosi con dei sacchi. Dopo tanti sforzi finalmente una delle stanze era pronta e come se ci fosse stato un accordo nacque un maschietto, un fagottino che Frà chiamò Aniello per riconoscenza a suo fratello. Con tanti sacrifici ampliarono la casa su due livelli collegati da una scala esterna ad una sola rampa. Il tempo passava e Frà con lui maturava, diventava sempre più responsabile e a suo modo amava la sua famiglia e la sua donna, tutto filava liscio. L'ampliamento della casa proseguiva cosi decisero si far crescere anche la famiglia e 1966 nel mese di ottobre nacque Carolina. Una bimba meravigliosa aveva due occhi bellissimi, Mery appassionatissima di bambole ed una bravissima sarta, gli modellava spesso vestitini come le bambole, con stoffa e veli creava abitini che esaltavano ancor di più la bellezza di quella bambina. Era tutto così meraviglioso, la serenità cullava la famiglia Ambrosino fin alla nascita del piccolo Giuseppe un fagottino che creatore chiamo a sé in tenerissima età, pochi mesi di vita ma un vuoto profondo, tanto che nel 1970 Mery all'età di 45 partorì Anna Marta. L'ultimo fiore che natura dono a quella casa. La vita aveva gratificato e ripagato Mery per tutto quello che aveva subito, la famiglia cresceva in amore ed armonia, la casa ormai completata dovevano solo viverla e godersela. Mery si dedicava la famiglia e aiutava il marito a lavorare la terra. Tutti i giorni per lei era una festa le sue creature crescevano e portavano allegria e gioia. Giornate faticose, tutta una frenetica corsa. Ogni sera come un rito portava a spalla i suoi cinque figli, Salvador, Martino, Aniello, Carolina, e Annamarta al piano superiore salendo quella ripida scala, uno per volta, si reggevano stretti al collo quasi a strozzarla e con le gambe si attorcigliavano alla sua vita. Man mano che li portava a dormire li contava per non dimenticarsene nessuno appisolato sulle sedie davanti al camino o sotto il tavolo, posto preferito delle due femminucce, dove si addormentavano abbracciate giocando con bambole di plastica con i capelli dipinti sul capo e i vestitini tipa gelo fan, di solito azzurro. Mammella, viveva con loro, ma preferiva avere una cucina per conto suo, il profumo delle verdure svolazzava per tutta la corte, fra le più buone che preparava, le scarole stufate con pinoli ed olive. Una donna eccezionale così dicevano nel borgo vestiva sempre con ampie vestaglie e indossava sempre un soprabito nero con una grossa tasca davanti. La vita a Mammella gli aveva riservato sempre preoccupazioni e dispiaceri. Gli morì il marito giovanissimo a solo 33 anni e la lasciò con quattro figli, uno appena nato. Per lei fu dura, ma seppe dare ai suoi figli un'ottima educazione. Legata alla famiglia cercava sempre di trovare una soluzione a qualsiasi intoppo pur di riporre la pace armonia fra i figli. Tutti al paese la ricordavano per un gesto eroico, aveva 14 anni quando per una lite fra suo padre e un confinante. Quel maledetto, puntò la pistola verso suo padre, lei fece da scudo per salvarlo beccandosi una pallottola in testa, per fortuna non mortale Di quel gesto lei orgogliosa, portava un'enorme incavatura nella scatola cranica. Nella sua vita le gioie sono state poche, ma gl'ultimi anni li ha vissuti con serenità accerchiata dall'affetto di 20 nipoti. Per ognuno aveva un sorriso, per ognuno dalla grossa tasca del grembiule tirava fuori qualcosa, Ogni estate era una festa preparare insieme a mammella artigianalmente i sciosciamosce.
Tagliavano i fogli di riviste a strisce larghe, 2 centimetri poi li legavano all'estremità di un pezzo di legno lungo una decina di centimetri con filo di ferro filato in modo da ottenere uno scopino che agitandolo tenevano lontano gli insetti e tante volte i pensieri.
Vecchi ricordi L'America era lontana, ma quando Frà ascoltava i dischi che aveva portato dal Venezuela era felice. Ogni volta che li ascoltava, incominciava a ballare con la mano sinistra appoggiava sul cuore e la destra alzata con tre dite aperte girava su se stesso e a ogni ritornello con un tono assordante urlava "chìe!"La moglie sorrideva, solo nel loro cuore e custodito il segreto di quella parola. Mery portava al mattino i figli all'asilo dalle suore, precisamente al convento di Sant'Erasmo per poter dare una mano a suo marito, lavorava un appezzamento di terreno che mammella gli aveva dato dove coltivava pomodori e patate di cui una parte la vendevano ed il restante lo portava a casa. Il tempo passava velocemente e i piccoli diventavano grandi. Ormai l'America sfumava addirittura nei ricordi di Mery ma non nel cuore In America erano rimasti tutta la famiglia Aniello, Carmela, Coluccia e Giuseppe, tranne zia Martella che viveva ancora a Moschiano.
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