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La scelta di Lindsay
Lindsay Rice era pronta ad entrare nella stanza d'ospedale di fronte a lei; la porta era chiusa e, come tutti i giorni da più di un anno a quella parte si ritrovò a fissarla quasi intimorita. Per qualunque essere umano non poteva che trattarsi di un insignificante rettangolo di legno dipinto di bianco e con uno spessore che si aggirava attorno ai tre centimetri.
Ma non per lei. Per quella giovane donna di ventinove anni era molto di più.
Tutta colpa di quel terribile, spaventoso incidente d'auto che aveva visto coinvolto Jeff, suo marito. Lindsay gli era seduta accanto quel maledetto giorno di un anno e due mesi prima, e l'immagine del suo corpo che veniva scagliato fuori dall'abitacolo nel momento dell'impatto l'accompagnava ancora e l'avrebbe accompagnata per il resto dei suoi giorni.
Lei invece era uscita dall'auto completamente illesa.
Appoggiò la mano sulla maniglia e la abbassò lentamente, quasi stesse compiendo uno sforzo immane.
Entrò con passo tremante.
Doveva abituarsi a quel calvario (se lo ripeteva sempre) anzi, forse avrebbe già dovuto essere abituata da tempo dato che quella era la quattrocentesima visita a suo marito in altrettanti giorni; purtroppo però non ci riusciva. Il dolore che l'assaliva ogni singola volta la quale metteva piede in quella camera era troppo forte, troppo profondo per riuscire a farci l'abitudine.
In principio aveva sperato che il tempo l'aiutasse a lenire le sue sofferenze, ma si era sbagliata. Ogni giorno, settimana o mese la situazione sembrava peggiorare.
E vedere Jeff in coma, disteso immobile sul letto d'ospedale e circondato da un numero imprecisato di macchinari la faceva piombare nella più cupa, assoluta disperazione.
Quella mattina però vide qualcos'altro, qualcosa che le fece dimenticare per un attimo tutte quelle sensazioni.
Ciò che si potrebbe definire un semplice "imprevisto", ma che la sua mente addolorata registrò come un piccolo stimolo positivo.
Accanto al letto di Jeff infatti c'era qualcuno che non aveva mai visto prima. Non si trattava ne di suo fratello ne dei suoi genitori.
"E tu chi sei?" domandò un po' bruscamente all'uomo seduto, il quale alzò subito lo sguardo su di lei. Doveva avere all'incirca l'età di Jeff, trent'anni.
"Io?" domandò lui quasi stupito da quell'improvvisa apparizione. "Io sono Matthew; conoscevo Jeff dai tempi delle scuole e all'epoca eravamo grandi amici. Poi le nostre strade si sono divise e non ci siamo più visti."
"Hai saputo solo adesso delle sue condizioni?" Lindsay richiuse la porta e raggiunse l'altra poltroncina sedendosi.
"Purtroppo sì. Abito a parecchie centinaia di chilometri di distanza e passando di qui per lavoro ho incontrato suo padre, il quale mi ha riferito dell'accaduto."
"È molto carino da parte tua essere venuto a trovarlo," rispose lei guardando quell'uomo con curiosità.
"E tu invece?" le domandò lui con altrettanto interesse. "Sei un'amica?"
"Io sono Lindsay, sua moglie." Le parola "moglie" le venne fuori quasi strozzata.
Gli occhi di Matthew si spalancarono mostrando tutto lo stupore che provava in quel momento.
"Oh, non sapevo fosse sposato, mi dispiace."
Mentre parlava Matthew studiava attentamente l'espressione di Lindsay senza farsi notare.
Si trattava di una donna bellissima, su questo non nutriva dubbi. Una splendida donna che però era stata messa duramente alla prova dal destino, il quale aveva scelto di caricare sulle sue fragili spalle un peso troppo grande. E il suo viso mostrava appieno le tracce di questa continua fatica: le occhiaie, visibili nonostante un filo di trucco cercasse di nasconderle, il colorito troppo pallido per essere normale, in particolare sulla fronte e sulle guance, ma soprattutto gli occhi; occhi talmente spenti da sembrare aver perso la loro naturale tonalità di colore.
Pur non conoscendola, Matthew provò una gran compassione nei suoi confronti.
"E così sei un vecchio amico del mio povero Jeff..." esordì Lindsay, la quale sentiva un assoluto bisogno di parlare con qualcuno. "Aspetta, ora ricordo. Ha provato a parlarmi di te qualche volta."
"Davvero? Sicura che si trattasse proprio di me?"
"Certo; mi raccontava delle vostre avventure a scuola, degli aiuti che vi davate l'un l'altro, soprattutto nei compiti in classe."
"Ero proprio io," dichiarò lui alzando le mani come per arrendersi all'evidenza. "In aritmetica ero un autentico incapace e ho perso il conto delle volte in cui lui mi ha salvato da una probabile F."
"Già, ma se non sbaglio succedeva l'esatto contrario in italiano no?"
"Non sbagli; Jeff odiava l'italiano, ma soprattutto i temi. Ogni volta che la professoressa ci consegnava le tracce la sua espressione era da cinema." A quei ricordi un leggero sorriso gli spuntò agli angoli della bocca.
"Posso immaginarla," commentò lei lanciando un'occhiata al volto del marito immobile. "E poi come finiva?" La conversazione, seppur incentrata su argomenti di vecchia data, la stava aiutando a svagarsi più di quanto avesse sperato. "Non è facile suggerire in un tema."
"No anzi, è impossibile. Il tallone d'Achille di Jeff però era solo l'inizio, dopo se la cavava. Ebbene, lui mi diceva la traccia scelta e io gli davo l'idea per partire. Sai, quelle poche parole che lo aiutavano a sbloccarsi."
"Poi filava come un treno e spesso terminava anche prima di me."
Il tempo mentre parlavano del più e del meno trascorse in maniera inaspettatamente veloce e se ne accorsero solo quando arrivò l'infermiera annunciando la fine dell'orario di visite.
Erano le 11. 00 del mattino.
Lindsay non riuscì a credere fosse già quell'ora. Tutti quei ricordi, personali e non, erano riusciti ad alleggerire il peso che gravava su di lei.
"Non so davvero come ringraziarti per la tua compagnia," aggiunse mentre uscivano dall'ospedale. "Avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno."
"Ma figurati! Non ho fatto niente di che. Comunque sono contento di esserti stato d'aiuto."
Ciò che hai fatto è più di quanto tu possa anche lontanamente immaginare Matthew! Per una volta non mi hai fatta sentire soggiogata da quella camera e dai fantasmi che evoca in me; e proprio per questo non saprò mai come ringraziarti.
Avrebbe voluto dirgli tutte quelle parole ma per un qualche strano motivo che ancora non sapeva tacque.
"Ma sei qui a piedi?" Matthew stava salendo in auto ma si bloccò nel vederla andarsene con le sue gambe.
"Sì; non abito lontano e poi l'auto è dal meccanico."
"Forza, sali! Ti do io uno strappo fino a casa." Il suo tono era di una gentilezza disarmante e poi quell'espressione! Lindsay ne rimase incantata. Era dolce, ma allo stesso tempo decisa e rassicurante.
"Ti ringrazio Matthew, ma non è il caso." In realtà quelle non erano parole che provenivano dal suo cuore ma piuttosto dalla sua coscienza.
"Mi permetto di insistere. Avanti, non fare complimenti."
Prima che potesse accettare le sue gambe si stavano già dirigendo alla macchina da sole. In effetti non aveva nessuna voglia di camminare, ma soprattutto di restare sola.
Si accomodò così sul sedile passeggero e lo trovò incredibilmente comodo. Sembrava avvolgerla delicatamente con la sua morbidezza.
"Dove abiti?" le domandò Matthew innestando la marcia e uscendo dal parcheggio.
Lei gli indicò esattamente la strada da prendere ad ogni incrocio e in meno di un paio di minuti giunsero nella via dove c'era casa sua.
E qui il morale di Lindsay crollò improvvisamente a terra più di quanto non lo fosse già; le succedeva spesso negli ultimi tempi. Sentì il cuore accelerare inspiegabilmente i battiti e il nodo che aveva alla gola le impedì quasi di respirare.
Aveva bisogno di piangere.
"Cosa succede Lindsay? Stai male?" Le parole di Matthew le giunsero alle orecchie deboli, come se provenissero da centinaia di metri di distanza.
"Sto bene!" rispose lei con voce strozzata, poi aprì la portiera e si precipitò fuori correndo via. Non voleva farsi vedere da quell'uomo a piangere. Scappò verso il cancello della villetta in cui abitava ed entrò nel viale che l'avrebbe condotta all'ingresso.
"Ehi Lindsay, aspetta!" Matthew scese dall'auto e le andò incontro. Superò anch'egli il piccolo cancelletto in acciaio e la vide trafficare con la chiave della porta. "Ma cos'hai!"
Le lacrime le avevano annebbiato la vista e non riuscì nemmeno a centrare la serratura per aprire. La frustrazione accumulata in tutti quei mesi stava venendo a galla.
Quando sentì la mano di Matthew poggiarsi sulla sua spalla la spostò in malo modo.
"Vattene!" urlò al limite della resistenza psicologica. Lui però rimase dov'era.
"Ti prego Matthew," lo supplicò allora voltandosi. "Va via! Non mi conosci nemmeno e non c'è bisogno che tu mi veda in questo stato."
Risultò essere poco convincente.
L'uomo però rimase talmente colpito dal suo sguardo che per un attimo non disse nulla. Fu a quel punto che lei cedette definitivamente e appoggiandosi alla porta d'ingresso scoppiò in un pianto dirotto.
"Basta, non ce la faccio più!" urlò a se stessa portandosi le mani alle tempie. "Tutti i giorni vado a trovarlo con un briciolo di speranza... e lui è ancora immobile in quel letto; non riesco più a sopportare tutto questo! Sto impazzendo!"
Stava per scivolare a terra ma Matthew fu pronto a sostenerla. Senza dire nulla le prese le chiavi dalle mani e aprì.
Ancora in silenzio la condusse in quello che doveva essere il salone; lei lo seguì come farebbe un robot e si accasciò sul divano. Non riuscì però a staccarsi dal suo braccio ne lui tentò di spostarla.
Matthew sentì la maglietta bagnarsi delle sue lacrime e, malgrado una parte di se stesso gli dicesse di andarsene subito da lì, ne ascoltò un'altra e strinse a se la donna.
"Coraggio Lindsay, devi essere forte! So di non essere la persona più adatta a parlarti, in fondo non mi conosci nemmeno. Ma non puoi arrenderti." Quelle parole all'apparenza scontate parvero rilassarla, ma soprattutto, per la seconda volta in poco tempo, la incantarono.
Poco dopo ricacciò indietro le ultime lacrime e alzò lo sguardo. Si ritrovò il viso di lui molto, troppo vicino e non riuscì a togliergli gli occhi di dosso.
Non farlo Matthew, urlò una vocina dentro di lui. Non devi baciarla, è sposata e suo marito è un tuo amico. Non azzardarti a farlo!
La ragione stava per essere sopraffatta dall'istinto e le sue labbra si avvicinarono a quelle di lei fino a toccarle. Tremavano leggermente e un piccolo sussulto lo convinse a ristabilire le distanze.
"Scusami Lindsay, io non volevo," si affrettò a dire imbarazzato. "Che stupido! Come ho potuto fare una cosa del genere! Ora me ne vado."
Lei continuava a non parlare, ma in compenso iniziò a sentire un gran calore partire dalla parte bassa del ventre per poi propagarsi in tutto il corpo fino ad arrivarle alla testa.
-Un anno e due mesi Lindsay! Non stai con un uomo da un anno e due mesi!-
-Ma non posso tradire Jeff!-
-Non sai nemmeno se si risveglierà; i medici sono stati pessimisti in proposito. E poi il tuo corpo non la pensa allo stesso modo della tua mente. Tu vuoi che Matthew ti baci e ti tocchi; lo vuoi maledettamente!-
Mentre ragione e istinto si alternavano nei suoi pensieri, il desiderio continuava a crescere in maniera esponenziale.
Matthew era in piedi quando si sentì afferrare per un braccio. Fu tirato con forza sul divano e prima di poter fare qualsiasi cosa lei lo stava già baciando. Dei baci profondi e passionali che gli fecero perdere anche l'ultimo briciolo di resistenza.
Ricambiò i suoi baci e dopo averla costretta a sdraiarsi abbandonò le sue labbra passando dapprima per l'incavo del collo, per poi scendere alla scollatura della sua camicetta. Lei si sollevò un attimo per togliersela dopodiché ripiombò sul divano; sentì le mani di lui accarezzarle delicatamente prima i seni, poi l'addome scendendo sempre di più. Quando arrivò tra le sue gambe le parve di impazzire e dalla sua bocca uscì un gemito di piacere.
"Ti voglio Matthew!" disse prendendo il suo volto tra le mani e obbligandolo a guardarla in viso. "Ti voglio adesso!"
L'espressione di lei era vorace e il viso leggermente arrossato mostrava appieno tutta la sua eccitazione. Non ce la faceva più a resistere.
Nel preciso istante in cui i loro corpi si unirono Lindsay pensò ancora una volta a suo marito, disteso in un letto d'ospedale. Nella sua mente si formarono tre semplici parole che nemmeno l'immenso piacere che provò in seguito riuscì a scacciare.
Mi dispiace amore!
Lindsay si svegliò dopo quasi quattordici ore di sonno; era crollata tra le braccia di Mattthew come farebbe una bambina con la sua mamma. E soprattutto non era stata tormentata da sogni e incubi; c'era stato solo un piacevole buio a tenerle compagnia durante la notte.
Quando allungò la mano verso l'altra piazza del letto le sue dita incontrarono il lenzuolo. Si voltò e Matthew non c'era.
I suoi vestiti non erano più a terra, così come le sue scarpe. Corse alla finestra e vide che anche la sua auto era scomparsa.
Stava per fare ritorno al letto e notò un biglietto sul comodino; un biglietto che il giorno precedente non c'era. Il destinatario, come poteva leggere chiaramente sul davanti, era lei.
Cara Lindsay,
come avrai già capito ho deciso di allontanarmi da te. Spero tu comprenda appieno la mia decisione. Ieri non avrei mai dovuto fare una cosa del genere, ma eri così triste, così indifesa, ma soprattutto così bella e ho agito d'istinto. Quando mi hai baciato non ho capito più nulla e mi sono lasciato prendere dalla passione.
È stato bellissimo Lindsay, davvero; raramente una donna mi ha fatto provare ciò che sei riuscita a farmi provare tu.
Ma ti ripeto, non dobbiamo più vederci. Lo faccio sia per te che per me, ma soprattutto per Jeff.
Spero tu possa un giorno perdonarmi.
Addio
Lindsay chiuse il biglietto e sul suo viso comparve un leggerissimo sorriso. Debole, ma pur sempre un sorriso.
Poco dopo squillò il telefono e rispose.
"Pronto?"
"È la signora Rice?" domandò una voce femminile.
"Sì, chi parla?" Il cuore di Lindsay rallentò i battiti. Quella voce l'aveva già sentita da qualche parte.
"Sono l'infermiera dell'ospedale; si tratta di suo marito."
"Cos'è successo?"
"È uscito dal coma!"
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