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La caserma maledetta
Erano tempi pieni di sole. Erano tempi di gelati, caramelle e patatine; erano tempi colorati e appiccicaticci. Erano notti di nascondino e stelle cadenti, era così tutte le estati, immancabilmente, sempre uguali e bellissime. Sapevi cosa dovevi aspettarti... e questo era semplicemente meraviglioso. Ad agosto ogni anno ci ritrovavamo tutti lì, nel nostro piccolo paese, affollato solo in quel mese, divertente come nessun'altra cosa al mondo e noi eravamo speciali, spensierati e felici... più che mai. Lì è tutto in miniatura, tutte le case, le ville e i giardinetti sembrano un solo grande palazzo; una volta, di notte, sono rimasta seduta da sola, al confine tra il mio paese e la stradina che lo collega al resto del mondo, ed era tutto magicamente immobile, illuminato dalla luce gialla dei lampioni, con le case ferme e colorate, sempre uguali e bellissime. Ero seduta nell'ultimo angolo di quel piccolo mondo, l'ultimo pezzo del mio territorio, e faceva caldo, ed era accogliente e anche se mi trovavo in piena notte e non c'era nessuno, mi sentivo protetta come dentro casa, così tanto che mi sarei potuta stendere su quel marciapiede e rimanere lì in attesa, di un sogno, di un principe azzurro, oppure soltanto in attesa di chiudere gli occhi e di sentirmi in pace.
Ma poi i rumori della piazza mi hanno distratta e sono dovuta correre di nuovo giù, dai miei amici per incominciare un'altra serata, simile alle altre, ma sempre emozionante.
Nel mio gruppo siamo una ventina a contarci bene, qualcuno c'è sempre, altri a volte non si fanno vedere. Sono l'unica donna qui in mezzo, e mi piace. Sono un po' maschiaccio, un po' prima donna, sono fiera di essere solo io tra di loro, perché vuol dire che mi distinguo, che posso essere apprezzata come amica, vuol dire tante cose. Tutti mi fanno un po' la corte, chi più, chi meno, chi per anni, chi per una sola estate ed io non vedo in particolare nessuno, perché siamo felici e giochiamo e ci nascondiamo ovunque e tutta la notte e abbiamo pochi anni per farlo, dopo cambierà tutto e non abbiamo tempo da perdere o baci da sprecare.
Ricordo che d'estate, la notte, quando tornavo a casa trovavo le mie sorelle e le me cugine ancora sveglie; e noi insieme ci chiudevamo in cucina per preparare i tortellini che avevamo comprato di nascosto il pomeriggio, e passavamo le ore a giocare a tennis nel nostro giardino che si trova lì al secondo piano della nostra splendida casa antica e ridevamo tanto, fuori al freddo con le coperte sulle spalle dentro una tenda, ridevamo per nessuna cosa in particolare per nessuna cosa speciale ed era tutto immobile e perfetto, pensavamo potesse durare per sempre. E la musica di quelle estati era triste, e malinconica, così quando poi si ritornava in città a settembre lei mi rimaneva nella testa e la nostalgia mi invadeva piano piano tanto da rendere buio tutto quello che mi stava intorno.
Il 16 di agosto io e i miei amici, organizzavamo delle grandi scampagnate in un posto dove si raccoglievano le more e dove c'era una grande fontana al centro con accanto un tavolo da pic-nic tutto scorticato da incisioni e parole d'amore; ricordo che in una di quelle mattinate assolate un mio amico è caduto in un cespuglio pieno di spine, soltanto per prendermi una grande mora succosa e credo che abbia ancora quelle cicatrici addosso, ferme lì, stampate come un geroglifico, a ricordargli di quegli anni. Quel piccolo bosco si trovava proprio sopra ad un mattatoio e noi andavamo a sbirciare dalla porta semiaperta da dove vedevamo le pelli appese e annusavamo quell'odore strano di carne. Girano tante leggende su quel posto, si dice che lì la notte si riuniscano le streghe e noi a volte ci andavamo impauriti, al buio, per vedere cosa ci poteva succedere, pare che si sentissero delle voci o dei canti, ma purtroppo io non li ho sentiti mai. Ricordo che ero impaurita e stavo stretta stretta ai miei amici e mi sentivo così unita a loro, e mi fidavo così tanto da pensare che mai niente ci avrebbe divisi e che sarebbe stato sempre tutto così fresco e bello. Un'altra cosa che ricordo di quelle estati è che adoravo le fragoline di bosco che crescevano in un angolo del mio giardino;la mattina le mangiavo tutte e dopo pranzo arrivavano i miei amici e passavamo il pomeriggio da me, nella mia casa con dodici stanze in cui rincorrersi e in cui giocare a nascondino rischiando quasi di non trovarsi più. A tutti i ragazzi del mio gruppo ha sempre fatto un po' paura, gira voce che nell'ultima stanza ci sia un fantasma in un angolo e forse è vero perché non ci va quasi mai nessuno ed io quando ci passo vicino posso sentire ancora un soffio freddo che proviene dalla porta e non ci entro per rispetto e per paura... saranno tanti anni che è lì e in fondo è un po' camera sua. E noi per non pensare al tempo che passava e alle vacanze che stavano per finire, ci arrampicavamo sugli alberi, e passavamo giornate intere giù al fiume pieno di zanzare a tuffarci o a pescare. Una volta sono affondata fino alla vita e per il peso dei jeans inzuppati non riuscivo neanche a tornare a casa, mentre i miei amici si ribaltavano dalle risate. E nella mia casa, e nella mia splendida camera, mi rinchiudevo con la musica alta, per vorticare fino a farmi girare la testa e per pensare ai miei amori o ai miei sogni, per sentirmi male e poi lanciarmi sul mio splendido divano vede, rovinato dal tempo, profumato di polvere, antico anche lui come ogni cosa in quel posto, come lo sono anche io quando ci vado.
Il ritrovo era in piazza, c'era un bar e una sala giochi e a noi bastava questo, poi più tardi andavamo lontano, in un posto dove le stelle sembrano accarezzarti i capelli. Gli occhi si illuminano con quei pezzetti di luce che sono così grandi e vicini, che la notte di San Lorenzo sembrano piombarti addosso. Quello è il posto più buio che conosco, e il più pieno di luce, e dopo aver espresso i nostri desideri passeggiavamo nell'oscurità fino ad arrivare ad un ponte per poi scappare nei campi di pannocchie e rubarne un po'. Un altro evento importante erano le sagre, due ad agosto, dove a volte servivamo ai tavoli e in cambio potevamo avere tutte le bibite che volevamo e alla fine, quando tutti se n'erano andati via, la piazza diventava la nostra sala da pranzo e mangiavamo tutti insieme, stanchi, affamati e divertiti. Ed era bello anche passeggiare nei vicoli con le vecchiette sempre sedute ai soliti posti che ti scrutavano e ogni giorno ti domandavano chi eri e chi erano i tuoi parenti, sempre con le stesse domande e con le stesse espressioni sul viso, pronte ad interrogare chiunque passasse nel loro territorio, come se fosse un rito, una dogana o qualcosa di doveroso da fare.
Ogni estate c'era una nuova avventura, il mio è un paese pieno di leggende. Sulle porte ci sono delle scope per allontanare le streghe e la cosa più misteriosa è la grande caserma abbandonata che affaccia direttamente sul mio giardino. Dove tutti hanno paura di andare di notte perchè nonostante lì dentro non ci sia corrente io da casa mia vedo delle luci accendersi e spegnersi di continuo... a volte, in alcune notti speciali.
Si dice che ci siano delle gocce di sangue sul pavimento e che le celle nascoste nelle segrete siano piene di trappole e di ossa.
Un mio amico giura che una goccia di quel sangue gli sia colata sulla mano una notte in cui aveva fatto una spedizione per scoprire se era vero quello che si diceva. E siamo stati tutta una serata a guardare i cespugli che spuntavano dal cancello sempre aperto, perché i fiori bianchi che li coprivano sembravano occhi... e ci siamo convinti che quelli erano gli occhi del guardiano della caserma. Io l'ho visto sapete? Con i miei di occhi... aveva dei capelli folti e grigi e spettinati, come un violinista impazzito, e in un pomeriggio assolato era steso nel giardino di fronte all'edificio maledetto, tra le piante di rose e le erbacce, con le braccia piegate dietro la testa, a guardare il cielo o il mio giardino oltre la ringhiera. Ci volle coraggio e varie riunioni per decidere di andare ad esplorarla, speravamo di trovare il cunicolo che la collegava con le segrete del castello, ormai distrutto, oppure i passaggi che dovevano nascondersi sotto tutto il paese come serpenti segreti. Decidemmo di fare questa spedizione di pomeriggio, perché col sole i fantasmi fanno meno paura. Eravamo in dieci, tutti impauriti e con la voglia di dimostrare che eravamo forti, soprattutto io, l'unica ragazza, quella che meno di tutti doveva far trapelare la sua paura. La porta era grande e verde, rotta da chissà chi e aperta, il giardino abbandonato era malinconico e bellissimo visto da vicino e se mi sporgevo un po' dalla ringhiera vedevo casa mia e i miei fiori. Un bel respiro di gruppo e poi il più coraggioso spalancò la porta col battente di ferro e la testa di un leone. Il pavimento era bianco e scolorito, le pareti con ancora qualche traccia di blu e a terra c'era un'enorme crepa che tutti dovevamo aggirare lentamente per andare avanti e per non cadere, si vedevano le celle lì giù, con le porte tutte aperte come se i prigionieri fossero scappati tutti insieme senza richiudersele dietro. Con la paura di precipitare giù arrivammo alle scale che portavano al piano superiore, dove c'erano corridoi luminosi e porte di legno tutte azzurre e scorticate. D'improvviso mi ritrovai sola e sentii un urlo, tutti incominciarono a correre all'impazzata fino ad arrivare a soccorrere il nostro amico che aveva urlato. Arrivammo trafelati in quella stanza per scoprirlo con in mano uno strano aggeggio di ferro, una specie di catena attaccata a qualcos'altro, forse una trappola o uno strumento di tortura o forse un pezzo di ferro qualunque, fatto sta che lui lo teneva in mano senza pensare che poteva essere la cosa più pericolosa e piena di sangue di tutto quel posto maledetto; e come se se ne fosse reso conto di colpo la lasciò andare e quella cosa cadde con un enorme tonfo, così forte che tutti ci aspettavamo di vederla bucare il pavimento e cadere giù. Scappammo tutti insieme verso un'altra scala, piccola e stretta senz'aria e dopo un numero incalcolabile di scalini arrivammo al piano di sopra. Passammo per una piccola finestra per poi sbucare in un altro piccolo giardino, ancora più in alto, ancora più colmo di rose e del loro profumo, tutte rosse e bianche, che si arrampicavano su una rete che ci proteggeva dal cadere giù ed io toccai quei petali e non potevo credere che tutto quello fosse maledetto, era così delicato e magico e il profumo mi rimase impresso per giorni interi nella testa e nel naso.
Chissà se era il guardiano dai capelli grigi a curare quelle rose, chissà se era vivo oppure avevo visto un fantasma. Dovevamo andare via, perché era vietato entrare lì e qualcuno poteva vederci e allora corremmo indietro, giù per le scale, fino alla stanzetta con lo strano strumento che magicamente non c'era più. Forse il guardiano l'aveva rimesso al suo posto o forse uno dei miei amici l'aveva nascosto per terrorizzarci, non lo so, so solo che scappammo ancora più forte senza dirci niente, rischiano quasi di cadere nelle celle che si intravedevano dal grosso buco al piano inferiore. E corremmo ancora, anche dopo essere usciti, spinti dalla paura e dall'adrenalina correvamo per i vicoli, sotto gli alberi, tutti insieme per fermarci molto dopo, esausti, tutti con lo stesso colore degli occhi e con le stesse mani... io con qualche petalo di rosa in tasca, per ricordarmi di quel giardino e di quella giornata, per portarne un pezzetto con me.
L'entrata del passaggio segreto per il castello non l'abbiamo mai trovata. La caserma è ancora lì e ancora mi affascina e mi inquieta allo stesso modo, rimane maledetta e magica, rimane quello che è, arancione e con le luci che si accendono e si spengono di notte; e quelle rose continuano a crescere e ad invadere tutto anche dopo tanti anni. Di sangue quel pomeriggio non ne abbiamo visto, anche se qualcuno dei miei amici può giurare di si, le ossa forse ormai si erano consumate e sgretolate come la vernice sui muri. Il castello è crollato, ma lei rimane ancora uguale ed imponente e nessuno in paese penserebbe di abbatterla o di riusarla altrimenti il guardiano potrebbe impazzire e riempirci di rose e di spine fino a far sparire tutte le case. Conoscono ogni pietra di quelle strade, ogni crepa nel muro, e i miei amici sono cresciuti con me e torniamo ancora lì tutte le estati e anche se non è lo stesso, anche se le caramelle e le patatine non bastano più, anche se siamo cambiati, e ci siamo persi e allontanati, tutto questo ci legherà comunque, tutti i nostri ricordi si ripeteranno sempre uguali nella testa. Anche se molti pezzi si sono persi o corrotti col tempo, e le invidie e gli amori si sono consumati, tutto questo rimarrà perfetto e intatto e pulito nel tempo. E i primi baci rimarranno cristallizzati tra quei prati e i miei occhi saranno sempre gli stessi ogni volta che poserò lo sguardo sul mio paese e sui miei amici. Ed io infondo resto sempre uguale, con tanti sogni e qualche petalo di rosa non più in tasca, ma dentro al cuore.
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