Doveva essere lì da ore. Per quel che ne sapeva era possibile che avesse passato tutta la notte a dormirle accanto. Poteva sentire ogni suo respiro... caldo, armonioso, regolare... ogni sospiro capace di farla impazzire, con quel pendolo sopra la sua testa a scandire i secondi di una notte che stava per finire e l'orologio dentro la sua testa che si apprestava a far scorrere l'ultimo giro di lancette. Sentiva le lenzuola alzarsi ed abbassarsi ad ogni delicato movimento del suo addome... alzarsi, poi ricadere e di nuovo e di nuovo e di nuovo. La coperta più calda che avesse, quella che la madre le aveva regalato per il corredo matrimoniale, dopo tanti anni da quando Peppe se n'era andato mezzo ubriaco investito da un camion della spazzatura, per la prima volta dopo tutti quegli anni accoglieva nella sua soffice fragranza un'altra persona oltre alle sue stanche membra.
In quel letto caldo di malattia qualcun'altro dormiva al suo fianco, pronto a svegliarsi con i primi raggi dell'alba, pronto a tirare la testa fuori del cuscino non appena il primo sole avrebbe fatto breccia dalla finestra. Erano giorni che era lì, non proprio nel suo letto, ma erano giorni che la teneva d'occhio, che non le lasciava chiudere occhio con quel suo respiro fin troppo regolare per appartenere a questo mondo. All'inizio se n'era stato appoggiato al termosifone vicino alla finestra. Lei lo aveva visto, quello l'aveva guardata senza espressione sul volto, senza tradire emozioni negli occhi. Non aveva avuto paura, almeno fino a quando non le aveva sorriso: un sorriso così bianco, così lucido... così regolare e armonioso proprio come il suo respiro. Lei aveva girato la testa, si era costretta a tenere gli occhi chiusi, ma non aveva potuto e il suo sguardo, questa volta, era caduto nei suoi occhi: così grandi, così spaziosi, così bianchi e splendidi. Quegli occhi l'avevano attratta, le erano entrati dentro, fino a rendere ai suoi stessi occhi tutto così bianco da sembrare trasparente. Tutto, la notte e la vita, bianchi riflessi argentati che si infrangevano sul chiarore opaco della luna, oscura lucentezza trasparente. Tutto così bianco e pulito da sembrare finto, quasi fosse fatto di colla... così morbido da farle venire la voglia di toccare... così bianco!
Era stato appoggiato al termosifone per un paio di notti, poi una notte era scomparso! Ma c'era, eccome se c'era, poteva sentirlo respirare... così calmo, regolare... così bianco... era stata ad ascoltarlo per capire da dove provenisse. Aveva chiuso gli occhi e solo in quel momento si era accorta dell'orologio che le batteva nella testa. All'inizio si era sorpresa, quasi impaurita... ma dopotutto era solo un orologio! Era in legno, di un legno pregiato, forse frassino, probabilmente di manifattura artigianale, con le lancette nere su sfondo bianco e i numeri scritti in romano, anch'essi neri. E non era un orologio qualunque: scandiva il tempo in un modo più perentorio, in un moto assoluto, le lancette si muovevano a scatti violenti, bruschi e ad ogni movimento sentiva una fitta alla testa. Quando aveva riaperto gli occhi quello le sedeva accanto, ai piedi del letto, la guardava. Lo toccò da sotto le coperte con la punta delle dita dei piedi e sentì un freddo gelido salirle su per tutto il corpo fino ad arrivarle nel cervello. TOC! L'orologio scattò di nuovo e fu di nuovo dolore, ma questa volta un dolore diverso, questo non era un dolore senza senso, come quelli che portano la vecchiaia e la malattia, questo era un dolore... un dolore bianco...
Non aveva dormito per molte altre notti, e quello era rimasto a guardarla insonne cercare di trovare del buio in quella stanza che notte dopo notte diventava sempre più opaca. Non avevano mai parlato, in realtà lei nemmeno sapeva se quello potesse, ma non le importava... sapeva quello che le avrebbe potuto dire, dopotutto aveva capito chi fosse... non subito, ma l'aveva capito e aveva perfino accettato che le stesse vicino, addirittura in qualche notte aveva apprezzato la sua compagnia, in qualche notte, addirittura, aveva amato la sua compagnia. La compagnia del vuoto... del bianco... che ora la guardava appoggiato al termosifone, ora le sfiorava la punta delle dita con la mano, delicatamente, carezzandola, quasi fino a farle provare piacere.
Erano passate molte notti in quel modo. Niente la turbava, ma quando guardò fuori della finestra, tra gli spazi che la persiana socchiusa lasciava, qualcosa la impressionò: la luna... la luna non c'era più! Erano molti giorni che tutto era bianco nei suoi occhi, ma allo stesso tempo tutto c'era... bianco, sì, ma c'era! E invece la luna, che era sempre stata lì a sorriderle sorniona, compiaciuta quando da giovane quel letto non era solo il luogo per riposare, ora quella luna era scomparsa... schiaffeggiata via da chissà quale forza, stuprata insieme a tutte le altre stelle. In quella notte insonne senza luna, la notte in cui il cielo fu violentato, si ritrovò a versare lacrime sul cuscino madido di sudore. Lacrime che ben presto tornavano asciutte. Guardò di nuovo fuori, poi volse lo sguardo a quello e capì che doveva essere tutta colpa sua se il cielo non poteva riflettere più nessun'altro se non se stesso.
E cominciò ad odiarlo.
Allo stesso tempo amava la sua compagnia e lo odiava profondamente! Le notti passavano, ora, talvolta, riusciva anche a dormire. Quello stava sempre lì, sempre uguale a se stesso. Poi una notte, mentre sonnecchiava, l'aveva sentito accomodarsi sotto le lenzuola. Aveva girato la testa dalla parte opposta e aveva continuato a dormire. Quando si era svegliata, nella sua stanza, nella sua vita, c'era spazio solo per il respiro di quello, per i sospiri di quello, per il ticchettare del pendolo e per l'orologio che le scorreva dentro. Era quasi l'alba ormai, ma quello dormiva ancora. E poi, quando si sarebbe svegliato, quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto... sì, di questo ne era sicura: ancora un'altra notte bianca e anche la notte se ne sarebbe andata, lasciandola da sola in quel bianco così intenso, lasciandola da sola con quel bianco così profondo. Cominciò a piangere con forza, singhiozzando rigurgiti che le facevano male alla gola... le lacrime, questa volta, non tornavano asciutte, ora scorrevano copiose, veloci quasi fino a sfregiarle il viso rattrappito per l'età. E facevano male... tutto faceva male: sentire quel ticchettio, osservare le lenzuola che si alzavano e si abbassavano, sapere che sarebbe stata l'ultima notte... e più di tutto c'era il bianco, quello che le si era ficcato negli occhi: pulsava, bruciava, si muoveva e si contorceva, sputava, bestemmiava, corrodeva... uccideva! No! Non poteva finire così, almeno non prima di aver rivisto la luna per un'ultima volta! Si alzò di scatto in piedi e camminò. Scalza, con il vecchio parquet malridotto che le scricchiolava sotto i piedi nudi, uscì dalla stanza. Non lo guardò, lo lasciò dormire, sperando di non averlo svegliato. Ma dopo i primi passi lo sentì, sentì i suoi piedi pesanti posarsi sul legno, e lo ascoltò, ferma, mentre diceva qualcosa.
-ADELAIDE-
Poi ci furono delle urla, terribili urla dalla stanza dietro di lei, urla che squarciavano la notte, la dilaniavano facendola cadere in se stessa. Poi quello cominciò a correre. Lo sentì. Non si voltò. Mosse altri, pochi, lenti passi. Sentì. Sentì che era dietro di lei. Che tra poco le avrebbe posato una delle sue mani gelide su una spalla. Pregò. Pianse. Pregò. Pianse. E ancora. E ancora. E ancora. E poi di nuovo. E ancora una volta. Mosse altri passi, questa volta più svelti. Sentì qualcosa nel petto. Qualcosa che tirava. Strepitava. Si contorceva. Uccideva.
"Un infarto!", ebbe il tempo di pensare. Si rese conto di essere arrivata in salotto. Quello doveva esserle dietro, ansimava arrabbiato e bestemmiava con grugniti ed urla. Ma quando guardò fuori le urla si dilatarono nell'aria, si spezzarono in mille frammenti e ricaddero molli, senza vita nel vuoto bianco da cui erano venute. Fuori c'era l'alba. Era così intensa, così rossa! Lei la poteva vedere e poteva anche vedere quant'era rossa. Oh, i colori, li aveva dimenticati! Il sole salutava il giorno pieno, rotondo. Si sbiadiva con il bianco delle nuvole e le accendeva rendendole meravigliose. L'azzurro ancora fioco del cielo era colorato da grandi schizzi rossi... macchie di sangue... macchie di vita... Qualche gabbiano sferzava l'aria macchiando il suo bianco piumaggio. Sentì qualcosa salirle su per il corpo. Qualcosa le pervase ogni centimetro di pelle. L'aria si colorò. Un pittore schizzato spruzzò col suo pennello sulla sua vita.
Era come se qualcosa le si fosse infilato dentro. Come se qualcosa l'avesse pervasa entrandole in tutti i pori della pelle.
Qualcosa era dentro di lei...
Un orgasmo!
Il suo urlo di gioia lacerò l'aria che si sbottonò di tutte le sue velleità e si mostrò per quello che è: leggera, morbida, sinuosa, godeva insieme con lei trascinandola nel vortice del piacere, lì dove la passione e l'amore si incontrano per dare forma alla vita.
Fu solo un urlo, poi niente. O meglio, tutto!
Sorrise. Pianse. Pregò. Sentì. Arrivò. Visse.
Stette ancora per qualche minuto ferma, immobile. Poi si voltò e tornò nella sua stanza. Si rimise a letto e chiuse gli occhi. Quello non c'era più: nel suo letto, a parte lei, c'era solo un caldo accogliente, un caldo sporco di sudore, di lacrime, ma comunque accogliente. Si lasciò andare al sonno nel caldo, fra lenzuola dove fino a pochi minuti prima qualcuno stava per svegliarsi, mentre ora non c'era più. E fuori c'era il sole. E ci sarebbe stata anche la luna.
Ormai erano più di venti giorni che se ne stava seduta a guardare fuori dalla finestra. Senza muoversi. Sorridendo, talvolta. La vita del suo mondo sfilava ogni giorno nel vetro: gli uomini camminavano, andavano al lavoro, le donne accompagnavano i figli a scuola, i ragazzini si rincorrevano, qualche vecchio cane si leccava le ferite oramai asciugate dal tempo. Quando pioveva la pioggia batteva sul vetro e sul suo mondo si tuffavano un milione di gocce di cristallo, quando c'era il vento che si abbatteva sulle imposte era scossa ma comunque sollevata... quando c'era la pioggia pioveva, quando c'erano i tuoni tuonava... Quando il sole scottava sorrideva, la sensazione della pelle bruciata dai raggi le provocava un piacere fisico enorme, sentirla raggrinzirsi e piegarsi la rendeva felice. Nel suo mondo fatto di vetro e finzione nulla poteva passare, era protetta, ma soprattutto felice! E nel suo mondo, non c'erano le voci degli uomini, le loro bestemmie, imprecazioni, c'era solo lo spazio sufficiente per le sensazioni: come il sole che la scottava, la pioggia che la bagnava e il vento che la cullava. Tutto era così perfetto, colorato, non c'era bianco che potesse trarla a sè, non c'era vuoto di cui avrebbe potuto amare la compagnia durante una notte insonne... c'era solo un vetro e un mondo dietro di esso, o forse doveva essere il mondo, la vita che si rifletteva sul vetro.
Il mondo passava pregno di tutti i suoi colori... l'alba albeggiava, il tramonto tramontava, la notte scendeva, il giorno nasceva... e in tutto questo, in tutta questa perfezione di plastica, viveva i suoi giorni, seduta, con le mani composte in grembo, i capelli bianchi e gli occhi felici.
Viveva.
E lo faceva sul serio.
Sorridendo, talvolta.
-Avrebbe dovuto tirare le cuoia un mese fa e invece ora sta meglio di me e te messi assieme-
-Se ne sta tutta la giornata a guardare fuori... con quel sorriso ebete... ma si vede che sta bene...-
-... e pensare che non le avevano dato una settimana di vita due mesi fa!-
-Questa troia del cazzo... che cazzo vuole? Rovinarmi la vita? Ancora di più?-
-Merda!-
-Cazzo, sono suo nipote e quei soldi sono più miei che suoi da più di dieci anni, eppure sono ancora suoi!-
-Si, e lo saranno solo Dio sa per quant'altro tempo!-
-La vengo a trovare ogni settimana sperando di trovare il suo cadavere che dorme nel letto... e invece...-
-E invece lei sta seduta a guardare fuori... ci prende per il culo quella troia... stracciacazzi!-
-Se non fosse per quella clausola sul testamento...- -Si, se non fosse per quello stronzo di Peppe che prima di morire si fa venire in mente di annullare qualsiasi testamento familiare nell'eventualità di una morte non naturale, e di dare tutto in pappa ai poveri...-
-Pezzo di merda! Quello aveva capito tutto già quindici anni fa... comunque non so se questo è un male...-
-Che cazzo dici?-
-Non so se avremmo avuto le palle di farlo... voglio dire anche se ormai è solo un carillon con le pile scariche... voglio dire... tu avresti le palle?-
-Io?... Cazzo, penso di no... voglio i suoi soldi, ma non voglio ucciderla...-
-Non voglio ucciderla, ma voglio che muoia... vorrai dire!-
-Dopo quell'infarto l'anno scorso avevano detto che un altro piccolo colpo al cuore l'avrebbe mandata al creatore e...-
-E invece i suoi unici parenti ancora in vita, i suoi nipoti prediletti si stracciano il cazzo a vicenda e si sparano una sega con la bocca e un pompino con le mani per arrivare a fine mese senza una pallottola nella testa e lei che fa? Guarda fuori! E ride per giunta!-
-A proposito: quel figlio di puttana di Matteo mi ha cercato, ha lasciato detto a mia moglie che altri due mesi e poi mi spacca il culo...-
-Lo sai invece cosa ha detto a Rachele? Che a me mi spacca il culo e a lei glielo scopa!-
-Bastardo!-
-Sì, e fottuto il giorno che ho preso in mano il mio primo mazzo di carte!-
Settimio ed Andrea se ne stavano seduti in cucina, mentre la zia si trastullava sulla sedia nel salone affianco. Ormai parlavano da ore, e come sempre, da ormai tre anni, il loro discorso, ogni volta che il mercoledì o il giovedì pomeriggio si incontravano a casa dell'"amata" zia, non era cambiato. Bevevano il loro bel whisky, si rigiravano il bicchiere vuoto tra le mani e affogavano se stessi in un mare di speranze e di cazzate, poi, quando al terzo bicchierino l'alcool cominciava a salire tornavano di là, salutavano la zia, che ormai, forse, nemmeno si accorgeva della loro presenza e se ne tornavano a casa a cercare di non affogare nella merda dei problemi che si erano creati. Sperando che nel frattempo, mentre cavalcavano le rispettive mogli e fidanzate con l'alcool ancora in circolo, quella vecchiaccia schiattasse; e che, mentre le loro rispettive donne simulavano un ennesimo orgasmo, pensando per l'ennesima volta a quale razza di fallito avessero affidato le loro esistenze, il loro conto in banca assumesse un colore diverso da quello della speranza... dopotutto si sa: la speranza non muore mai, e a quanto pare anche la loro vecchia zia! Sperando che la zia non fosse stata l'ultima a morire, almeno non dopo di loro, ogni volta che tornavano da quelle visite pomeridiane, si addormentavano presto e il giorno dopo erano pronti a ricominciare un'altra estenuante settimana di calvario masochista affidandosi ad una speranza dai capelli bianchi, una speranza con gli occhi azzurri ed accesi ancora come quelli di una ragazzina al primo anno delle superiori... una speranza che sembrava non voler schiattare nemmeno dopo novant'anni, due interventi al cuore, tre bypass e un cervello che fluttuava nell'aria privo di velleità. Settimio era il fratello più giovane, un uomo imponente che in gioventù aveva detto la sua come maschio tra le cosce di molte donne, un baffetto tagliuzzato male e una rada barba sovrastate da un paio di stupendi occhi azzurri, gli stessi di sua zia. Ora beveva il suo secondo whisky e aveva una fottuta voglia di piangere, di appoggiarsi alla spalla del fratello, anche se i suoi vestiti puzzavano sempre di tabacco, e di nascondersi nel buio della sua stessa mente, di assaporare il sentore del tabacco e di ispirarlo su con le narici fino a quando le lacrime non fossero finite e con loro il dolore. Invece se ne stava seduto, giocherellando nervosamente con il bicchiere, gli occhi già mezzi rossi (non aveva mai sopportato bene l'alcool!) fissi in quelli del fratello. In quei momenti era come se si specchiasse: erano così diversi quei due, e in fondo erano così uguali: due vite diverse, esperienze diverse e alla fine erano finiti nello stesso modo, a nemmeno quarantacinque anni con la merda che ti ha coperto fin sopra il collo. Andrea, allora, distoglieva lo sguardo: non sopportava quella sensazione: era come se il fratello lo stesse incolpando per tutti i loro problemi, come se fosse stato lui a tirarlo giù con sè. Nervoso com'era non riusciva mai a fermare lo sguardo, da dietro i fini occhiali i suoi occhi giravano come piccole biglie impazzite, piccole biglie grigie incastonate in un viso sciupato e magro con due fosse come trincee scavate sulle guance e due file di denti ingialliti da tre e più pacchetti di Marlboro al giorno.
-Sai cosa?-disse mentre si accendeva l'ennesima sigaretta -Penso che dovrei finirla con queste, il medico dice che i miei polmoni sono talmente pieni di fumo che se si bucassero vedrei delle nuvole bianche nell'aria... dice che finirò con un cancro o peggio mi beccherò qualcosa al cuore... bè, ma il nostro dottore certo non conosce la nostra bella zia che è andata avanti così per oltre ottant'anni, e se non fosse per il semplice motivo che ora si è data in pappa il cervello, la vedremmo ancora con la sua bella sigaretta infilata in bocca, a sbuffare nuvolette dalle labbra e a sorriderci sempre come se ci volesse ricordare che schiatterà solo quando saremo anche noi sottoterra!-
Andrea aveva quarantaquattro anni, era magro e aveva una bella altezza. Fin da ragazzino era stato un tipo nervoso, incline alla zuffa e alle botte. Ogni volta che erano ubriachi ed arrabbiati tra loro, Settimio non mancava di ricordargli quante volte da ragazzi l'avesse tirato fuori dai guai e si fosse preso qualche pugno sul muso al suo posto. La verità era che si odiavano: anche se negli ultimi dieci anni erano l'una la persona più presente nella vita dell'altro, non potevano farne a meno... era così naturale odiare quell'essere così simile a se stessi, quel riflesso di carta... era come odiare se stessi senza doverlo ammattere neanche a se stessi, sputare nel drink dell'altro mezzi ubriachi senza dover deglutire la propria saliva, un po' come ficcarselo nel culo senza usare il proprio culo... odiare un uomo per sentirsi meno vigliacchi nei propri confronti, odiare se stessi per, almeno, accettare la propria condizione di perdente. Di fallito. In definitiva era come una ruota contornata di chiodi: ogni volta che uno dei due girava la ruota, ogni volta che uno dei due provava a fare qualcosa nella vita, la ruota girava malamente, ma i chiodi finivano nella coscia dell'altro e viceversa: così almeno avrebbero evitato di farsi del male da soli per il resto della loro vita, perchè, si sa, farsi una sega è un conto, ma farsela fare da un altro è tutta un'altra cosa. Si facevano male da soli, illudendosi che fosse stato l'altro a ferirli... in fondo erano una sola persona, con una sola faccia, un solo paio di mani, un solo paio di occhi, una sola bocca, ma una miriade di buchi del culo per continuare a farsi sodomizzare e a sodomizzarsi.
-I dottori dicono solo un mucchio di cazzate... una volta mi avevano detto che avevo un cancro ai testicoli, me era solo una fottuta ernia!-
-Ai tuoi testicoli!-gridò quasi Andrea alzando il bicchiere, ora pieno di Four Roses, nell'aria e aspettando il brindisi col fratello. Settimio lo guardò mesto, poi sorrise, si riempì il bicchiere e lo alzò lentamente.
-Ai miei testicoli!-disse sottovoce, abbozzando un sorriso malinconico e spento.
-Ai miei testicoli!-ripetè. Poi risero insieme.
Non era il fatto che la guardasse a darle fastidio, era come la guardava. Era abituata a sguardi molto peggiori di quello: vecchi che le scavavano sotto la gonna con le pupille dilatate e le ficcavano le loro perversioni dentro la mutandina senza nemmeno alzarsi dalla sedia, adolescenti che le sbirciavano dentro la maglietta quando si piegava per raccogliere qualcosa, donne avanti con l'età che con con quello scuotere di testa così abbattuto si chiedevano perchè una puttanella negra non dovesse battere invece di starsene a fare pulizie a casa di qualche vecchio malato, e chissà, forse, finire per fottersi l'eredità del tipo con qualche pompino e un paio di seghe. Ma lei la guardava in modo diverso, ormai erano quasi sei mesi che passava quasi tutta la sua giornata con quella vecchia dal puzzo di piscio e sardine e aveva imparato a riconoscere quello sguardo. Doveva essere più di un mese che se ne stava ferma alla finestra a guardare fuori, e fino a questo punto per lei non c'erano problemi, ma quando la vecchia distoglieva lo sguardo dal vetro e lei sentiva l'azzurro intenso dei suoi occhi tuffarsi nei suoi delicati, piccoli, lapislazzuli color nocciola, bè era in quei momenti che avrebbe preferito scomparire sottoterra e non dover più incrociare quel mare azzurro di verità. Non era come se la guardasse... in verità era come se stesse... come se stesse ancora guardando fuori dalla finestra... come se stesse continuando a guardare il vetro... lo sguardo la perforava ma, allo stesso tempo non sembrava nemmeno accorgersi di lei, le entrava dentro e da lì, invece di muoversi agitato in cerca di una via di fuga, le viveva dentro senza sapere di farlo... la vecchia non l'aveva mai guardata... Tessy era sicura che non conoscesse nemmeno il colore d'Africa della sua pelle, ma allo stesso tempo quegli occhi erano gli unici che le mettevano fifa sul serio... non le manate sul sedere di qualche porco pensionato, non quell'uomo che, ancora bambina, aveva cercato di violentarla... no, non tutto questo, ma quegli occhi... sì, erano quegli occhi a darle un senso di cos'è la vera paura... quegli occhi la trasformavano nel vetro... nel vetro che rifletteva il mondo della vecchia... nel vetro dove si rifletteva il mondo della vecchia... o meglio, e quando pensava questo sentiva un gran peso schiacciarle sul petto rendendole penoso il respirare, nel vetro che rifletteva il mondo... la vita... Non sapeva spiegare quella sensazione di malessere... essere il vetro... essere trasparente... ma a pensarci bene erano solo cazzate! In verità la vecchia si era bevuta il cervello dopo quel lungo periodo a letto e stava solo aspettando la sua morte... ma non era sicura che nel vetro, dietro il vetro ci fosse la morte, anzi, tutt'altro!
-Non è contenta, signora Adelaide? Ora finisco di lavare per terra e poi la porto a fare un bel bagno!- In quasi dieci anni aveva imparato l'italiano perfettamente e sapeva per esperienza quale lingua finta è.
-Sa, signora Adelaide, mia sorella ha quattro bambini... per quel che ne so potrebbero essere morti ieri... per quel che ne so anche mia sorella potrebbe esserlo... ma penso che loro stiano meglio, che stiano meglio di me, mia sorella almeno ha qualcuno... e io... io non ho nessuno e nemmeno...-poi si bloccò, alzò lo sguardo dal panno con cui stava asciugando il pavimento e osservò la vecchia che sorrideva al vetro con lo sguardo perso nelle nuvole che coprivano il lento eclissarsi del sole.
-Bè... ma a lei poco importa dei miei problemi, vero?-
Poi sorrise alla stanza. E tornò ad asciugare con la testa china.
Sentì gli intestni che le si svuotavano e qualcosa di troppo liquido per dirsi merda schizzare nell'acqua del water con suoni nauseabondi. Ma ormai ci era abituata: non la lasciava sola nemmeno dopo averla posata sul trono: per la paura che cadesse e si rompesse qualche osso... ma perfortuna il bagno era abbastanza spazioso e anche abbastanza ventilato grazie ad una piccola finestra. "Sta ancora guardando fuori", pensò, "Sta ancora guardando il vetro". Come ogni volta che quei suoni liquidi e viscidi finivano per essere gli unici compagni dei suoi fine settimana, mentre tutte le altre ragazze della sua età se ne andavano chissà dove a ballare e a farsi ficcare la testa tra le cosce da chissà quale muscoloso avventore, bè, era in quei momenti che sentiva l'odio crescerle dentro. Non perchè era costretta a passare sedici ore al giorno con quella vecchiaccia, non perchè non potesse andare a ballare in qualche locale fuori città, non perchè nessun bel buttafuori le veniva dentro facendole sentire l'oceano che le sbatteva nell'intestino e il sole della sua bella Africa che le scottava nelle viscere; non per tutto questo, nè per niente di simile. L'odio era portato da quel dono che la vecchia portava dentro, la vita che pulsava in lei... che inutilmente pulsava in lei. Pensò a un paio di giorni prima quando si era nascosta nel bagno euforica e alla fine niente, di nuovo rosso... Allora le venne da piangere. Quasi si vergognò di aver fatto entrare in lei un uomo che nemmeno conosceva, di averlo fatto salire nella topaia che divideva con altre sei ragazze di colore come lei, di avergli fatto svuotare le palle senza nemmeno sapere il suo nome, di averlo fatto spruzzare dentro di lei, di aver quasi pianto mentre quello la possedeva e di non aver nemmeno lontanamente raggiunto l'orgasmo. Voleva un figlio, solo quello e nient'altro. Non era importante di chi fosse il bambino, chi fosse a darglielo, l'importante era che fosse suo. Suo! Finalmente avrebbe avuto qualcosa di veramente suo, qualcosa da amare e da cui farsi amare... Si rendeva conto dell'egoismo del suo gesto di mettere al mondo una creatura che avrebbe finito per vivere in una stanza con altre sette persone e mangiato solo quando c'era fortuna, ma, allo stesso tempo, se ne sbatteva di quello che sarebbe potuto succedere: era tutta la vita che valutava il cosa, il dove e il quando ed era finita per scrostare la merda da culi raggrinziti e spolverare gingilli di epoche aride senza più vita dove il tempo non scorreva più. Vaffanculo! Per una volta avrebbe pensato solo ed esclusivamente a se stessa... Non era la prima volta che si intratteneva in incontri poco galanti con uomini che nella sua mente nel giro di nove mesi sarebbero diventati padri senza nemmeno saperlo, e non era nemmeno la seconda. Aveva provato anche più di una volta con lo stesso uomo, ma niente! Il rosso della provetta del test di gravidanza continuava a spegnerle i bollori nati dopo qualche giorno di ritardo delle sue mestruazioni. Allora forse il problema era lei, poteva significare solo una cosa, ma di quella parola aveva paura e più di tutto aveva paura di rimanere sola per il resto della sua vita! Credeva che nessun uomo potesse veramente non far sentire sola una donna, e la sua esperienza con il sesso forte non era proprio quella di una verginella. Aveva avuto un bel po' di relazioni da quando era in Italia, e queste le avevano solo formato dentro la convinzione che tutti gli uomini fossero solo dei simpatici giardinieri che con la loro fida pompa innaffiano il giardino della loro nuova casa, mentre ne stanno già cercando un'altra dove traslocare. Il dono della vita non poteva crescere in lei, ormai, per quanto si illudesse, ne era sicura! E quella vecchia se ne stava seduta sul cesso, con tutti gli organi in funzione e il cuore che pulsava ancora sangue alle arterie... ed... ed era solo una vecchia puttana perchè non aveva rispetto per la sua vita, per quello che aveva passato, per quello che desiderava... il dono invecchiava in lei senza crescere, ormai morto... e lei era costretta a guardare quella vecchia sbattuta dal tempo e persa con il cervello che faceva invecchiare qualcosa che, invece, avrebbe dovuto crescere dentro di lei. Qui si faceva spazio un'altra parte del suo egoismo: aveva deciso che quella vecchia campava a vuoto, che sarebbe dovuta essere già schiattata almeno da dieci anni! Allora pianse in silenzio, senza farsi ascoltare nemmeno da se stessa: il suono dei suoi singhiozzi avrebbe finito per farla impazzire. Quando le lacrime furono asciugate sul suo volto, sciolte sul suo cuore di donna ferita, rialzò lo sguardo e la vecchia era ancora lì, l'acqua del water continuava ad emettere quel suono come di una cascata che si tuffa nel mare, e il suo sguardo era ancora fisso a guardare fuori, a guardare il vetro.
"Puttanaccia", pensò. Poi le si avvicinò per pulirla.
Ogni mattina che tornava si aspettava di trovarla morta. Nel letto. Con il lenzuolo fin sopra il naso. Alzare la persiana. Inondare la stanza di raggi mattutini. E non dover di nuovo ascoltare i suoi rantoli. Respiri, o meglio affanni, che sapevano di vecchiaia. E ogni mattina, invece, la trovava seduta in salotto. Nella sua solita posizione. Sorridente. Guardare il vetro. Erano le sei del mattino quando girò la chiave nella toppa. Si meravigliò quando la porta, invece di aprirsi alla terza mandata, si spalancò alla prima. Ma non ebbe paura, in quella casa non c'era niente che l'avrebbe potuta spaventare più di quel volto ebete rivolto alla finestra in salotto. Appena entrata in cucina capì chi dovevano essere gli intrusi: Settimio se ne stava appoggiato al lavabo, una tazza di caffè in una mano e un cornetto nell'altra, mangiava senza appetito, ingurgitando piccole porzioni di croissant che buttava giù con l'aiuto di un sorso di caffè. Andrea era seduto. A cavalcioni della sedia, con le spalle nel vuoto e il petto appoggiato sullo schienale. Davanti a lui una bottiglia ancora vergine di Jack Daniels.
-Buongiorno-salutò Tessy. I fratelli alzarono lo sguardo dalle loro faccende mattutine e la guardarono entrambi. Settimio scosse la testa sorridendo ironico. Andrea cercò i dolci occhi nocciola della ragazza, poi li fuggì spaventato e si tuffò nel suo seno prosperoso.
-La zia è di là, siamo venuti di buon'ora per portarle la colazione e stava già attaccata alla finestra... le abbiamo lasciato un cornetto sul comodino ma non lo ha nemmeno toccato...-spiegò Settimio senza guardarla, sempre preoccupato del suo cornetto e del pomo di Adamo che si muoveva ad ogni sorso. E infatti Adelaide era di là, sguardo fisso, occhi impenetrabili, sorriso bieco e poco lucido. Tessy le posò una mano sul capo e la carezzò.
-Buongiorno signora Adelaide, anche stamattina di buon'ora, eh?- Nel frattempo sentì sbattere la porta di entrata. I due fratelli dovevano essere usciti di scena: meglio così! Non che non li sopportasse, c'era gente molto peggio di quei due in giro, ma senza quegli imbranati tra i piedi avrebbe potuto lavorare con maggiore libertà. Settimio non le dava nessun problema: anche se il suo sguardo saccente, superiore e sgarbato la accompagnava in ogni movimento nella casa, in fondo quel quarantenne dai baffetti neri non era malaccio, in fondo solo una buona persona troppo legata ai suoi pregiudizi, ma non le dava fastidio; Andrea, invece, la preoccupava: il modo in cui la guardava, o meglio, il modo in cui la occhieggiava: no che non fosse abituata alle occhiate di qualche arrapato con la lingua penzoloni e i coglioni pieni fino a scoppiare, ma quegli occhi la cercavano per poi fuggirla, la ritrovavano e la riperdevano... in verità si preoccupava per la sanità mentale di quell'uomo: in quegli occhi c'era qualcosa di malato! Svolse le sue faccende fino nel primo pomeriggio: lavò, stirò, diede da mangiare ad Adelaide e le pulì il muso dal brodo che colava copioso. Le fece un po' di compagnia, si sedette accanto a lei e cercò di guardare anch'essa nel vetro. Un signore che buttava la spazzatura. Un cane addormentato sotto ad un albero. Il sole che friggeva nel cielo. Un'automobile parcheggiata in doppiafila. Le urla lontane di un ragazzino che doveva essersi sbucciato le ginocchia. Niente per cui stare tutto il santo giorno lì. Niente per cui valesse la pena passare l'intera giornata a guardare il vetro. Nemmeno a novant'anni! Verso le cinque la fece alzare e la portò in bagno. La spogliò e aprì l'acqua del rubinetto fino a riempire la vasca. Il suo corpo nudo le faceva male alla vista: i seni incartapecoriti, le mammelle disidratate, il grasso fiacco sotto le braccia e intorno alle gambe, la pappagorgia sotto il mento... Ma quegli occhi così azzurri! Così vivi! La fece entrare nella vasca e la aiutò a stendersi nell'acqua. Le spazzolò i capelli e le lavò la pelle, poi la lasciò a mollo per qualche minuto.
-Sa una cosa mia bella signora? La vuole sapere una cosa dalla sua bella Tessy? La sua bella Tessy è un errore della natura... uno sgorbio... un avanzo della società... un pezzo inutilizzabile della società...-
-Lei lo sa cosa significa sterile signora, eh, lo sa? Infeconda? Sterile?-
-Significa che non puoi avere bambini, che la tua bella passerina è solo antro dei piaceri per uomini dallo spruzzo veloce... ma nella tua bella passerina tutti gli spruzzi rimangono tali-
-E dovrai essere sola e rimanere tale, non c'è spazio per la vita nella tua pancia...-
-E lei a novant'anni si fa sciacquare le mammelle dalle mani graziose e pulite di una bella negretta... un bel bocconcino nero... e si fa il suo bel bagno nella sua bella acqua...-
-A novant'anni si fa spazzolare i capelli come una principessina araba...-
-E a novant'anni una puttanella negra le lava la schiena con la spugna e le passa le mani su quella bella passerotta fino a quando non puzzano di vecchio...-
-Di morte-
-E quella puttanella sterile se ne sta a guardarla mentre si gode la sua acqua tiepida, non troppo calda, non troppo fredda, profumata di oli e piena di bollicine-
-E a quella puttanella viene voglia di piangere...- singhiozzo -E quella puttanella non riesce a tenere le lacrime negli occhi e le butta fuori...-
-Ma le lacrime cadono nella sua acqua e si confondono, si perdono e muoiono perchè non sanno stare a galla... affogano...-
-E mi viene voglia di cadere anch'io insieme con loro... nell'acqua... fra le sue cosce grasse e gonfie... di ficcarci la testa proprio in mezzo fino a quando l'acqua non diventa più leggera, fino a quando l'acqua non diventa più azzurra, fino a quando le bollicine non scompaiono e il respiro si blocca... termina...-
-E lì, fra le sue cosce, dimenticare... e non dover più piangere... e non dover più sentire... scomparire nell'acqua...- Con una mano mosse l'acqua e la agitò delicatamente.
-Quella puttanella sterile se ne starebbe con la testa sotto l'acqua, a cercare aria, senza trovarla, fra le sue cosce... e lei continuerebbe a guardare fuori... nel vetro...- -Ma cosa cazzo ci vedrà, poi, lei in quel vetro? Eh?-
-Che cazzo ci sarà mai di così bello? Eh?-
-Qualcosa per cui vivere e non sentirsi soli?-
-Lei non lo sa, ma io la invidio: lei ha il suo vetro, ma io?-
-Che cazzo ho io?-
-Lo vuole sapere cosa ho io? Una bella fessa, un bel buco di cinque centimetri di diametro, una figa larga... e sa cosa me ne faccio io della mia bella fessa?-
-Un cazzo! Ecco cosa me ne faccio!-
-Per quanto mi potrò mai sbattere non crescerà mai niente dentro di me... le mie acque sono morte come la sua acqua... anche nelle mie acque le lacrime non riescono a tornare a galla e affogano... anche nelle mie acque le lacrime muoiono... ma lì non si degnano nemmeno di nascere... rimangono nel mio cervello... lunghe, taglienti stalattiti di ghiaccio... e gocciolano giù violente fino a farmi male... fino a farmi gocciolare con loro...-
-Senza l'illusione, la seppur minima possibilità, di restare a galla e...-
-Vivere-
"Ma cosa starà mai dicendo questa cara figliuola? È così arrabbiata! Anche se non capisco quello che dice lo posso vedere"
"C'è veramente qualcosa per cui essere così arrabbiati?" "E per non essere così felici?"
Era così bello starsene a mollo... libera... bagnata... felice... era come fluttuare nell'aria... svuotata... vuota... lontana...
Da su le cose erano così diverse: l'acqua sapeva di un azzurrino più delicato, senza bolle e lì lacrime sapevano rimanere a galla(non sapeva perchè avesse pensato questo, ma le era sembrata la cosa più logica da pensare), da lassù le maioliche del bagno erano più bianche e i loro ghirigori più colorati... Da su l'acqua era calma, non potevi agitarla con una mano, da su le lacrime non avevano il tempo di cadere che già si trasformavano in splendenti gocce di rugiada, cadute dalle foglie di una quercia sotto un sole di primavera... su non c'era spazio nè per lacrime, nè per sorrisi... ti dovevi limitare a guardare... e quando guardi, quando guardi sul serio... non c'è tempo per i sentimenti: rimangono solo le sensazioni e ti fanno sentire parte dell'azzurro dell'acqua... del bianco delle maioliche... così leggera, semplice... Poichè l'uomo che si sottrae alle sensazioni per inchinarsi ai sentimenti non sta vivendo, mentre l'uomo che resta a galla, riesce a sentire gli effluvi dell'acqua e il caldo del sole, e a guardare nel bianco candore delle maioliche, sta vivendo, abbandonato alle sensazioni e non vittima, ma carnefice dei sentimenti. Li sta possedendo e vivendo attraverso le sensazioni... senza sentire il loro peso schiacciarlo e farlo affogare nelle acque torbide... Poichè l'uomo che sta vivendo non sa di farlo, poichè è impegnato a fare altre cose.
... leggerezza... vuotezza... libertà... pienezza... pesantezza... castità... prigionia... perversione... odio... dolore... amore... piacere... vita... male... morte... bene...
Poichè le cose quando non sono in ordine sono nel loro ordine. L'uomo che vive è impegnato a stare a mollo nell'acqua della vasca. Era così felice. Qualcosa nelle viscere le si muoveva contorcendosi, spingendo, quasi fino a farle male...
-Oh, amato dolore-
Sentì un odore strano nell'aria, prima leggero, poi sempre più pressante. Con gli occhi al soffitto, appoggiata ad un bordo della vasca non si era accorta del colore che aveva assunto l'acqua durante il suo monologo interiore ad alta voce. -Ma che cazzo?!?!- Liquami marrognoli coloravano l'acqua, sporcandola, agitandola ed emanavano verso l'alto effluvi simili a quelli del pesce al cartoccio consumato dalla vecchia la sera prima. Ma non affogavano.
-Porca puttana! Troia!-
Restavano a galla.
Settimio si impiccò di giovedì. In una bella giornata. Verso le cinque del pomeriggio. Lasciò le sue ultime parole ad una lettera sul comodino della moglie: nessuna pretesa letteraria, poche parole, non troppo sincere e per niente sentite. Lo trovò la figlia più piccola di ritorno dal catechismo, impiccato alle travi giù in cantina, con le mani strette intorno al cappio e gli occhi chiusi. I denti conficcati nel labbro inferiore sanguinante e il colorito ancora acceso. Sembrava riposare dopo una estenuante giornata di lavoro. La bambina gridò e corse su in casa a chiamare la mamma.
Nessuno pianse per lui.
Nel frattempo la vita di Tessy correva regolare, a parte il fatto che la vecchia non sembrava più gradire nessun tipo di cibo e un giorno sì e l'altro pure non faceva in tempo a deglutire un semplice cucchiaio di minestra, sempre amorevolmente imboccata dalla ragazza, che finiva per vomitarglielo in faccia e sul pavimento, tutto scorreva nella dolorosa routine del lavoro e di qualche inutile impegno per occupare il tempo restante. Andrea non si fece vedere per un bel pò, Tessy si aspettava di trovarlo in cucina, alle sei del mattino, mezzo ubriaco con le labbra ancora appoggiate ad una bottiglia di tequila e invece lui se ne stette lontano per un mese intero. Non andò a trovare la zia, nè chiamò a casa per avvisare del perchè della sua assenza così prolungata dopo tutti quegli anni di visite così regolari. Poi un bel mattino Tessy se lo ritrovò di fronte. Come sempre, puntuale, alle sei entrò in casa e appena entrata in salotto fu accolta da un tanfo di alcool misto a medicine. Andrea stava con le mani appoggiate alla sedia dove sedeva la zia, le dava le spalle e guardava fuori nella stessa direzione dell'anziana che, come sempre impassibile, non sembrava nemmeno essersi accorta della presenza del nipote. Quando lo vide con entrambe le mani appoggiato alla sedia, quando notò le sue spalle strette e piccole illuminate dai raggi, senza saperne il perchè pensò che fosse morto, un morto appoggiato ad una sedia, ritto in piedi con una maglietta di un rosso intenso che si incendiava col mattino. Doveva essersi carbonizzato, evaporato dalla maglietta e dissolto in milioni di piccole polveri bianche e nere che, ora, fluttuavano nell'aria. E invece, come era facilmente prevedibile, Andrea era vivo e non sembrava nemmeno essere ubriaco a dispetto del puzzo che trionfava nella stanza. Quando avvertì la sua presenza si girò lentamente, alzò le mani dallo schienale della sedia, si passò il pollice sopra l'indice e poi, come in un lento flashback, se lo richiuse nel pugno della mano. Fece questo gesto con entrambe le mani e c'era stata una comicità insensata nell'attuarsi di quelle mosse, un gesto così lento, un gesto così casuale, ripetuto forse milioni di volte nell'arco della giornata, eppure nella calma di quel gesto si riflettevano i suoi occhi solitamente nervosi, ora calmi, fermi, quasi inquisitori, pronti a soffermarsi su qualsiasi cosa. E tutto nel giro di un paio di secondi.
-Ciao-la salutò. Sorrise. Aveva gli occhi bagnati di lacrime... o forse erano solo lucidi di pazzia?
-Ciao-lo contraccambiò Tessy muovendo qualche passo indietro. Era spaventata. Era troppo lento quell'uomo, troppo lento per essere l'Andrea che un mese prima sedeva di fronte ad una bottiglia di Jack Daniels e si dibatteva nel vuoto per evadere il suo sguardo. In quella calma lucida di lacrime, bagnata di pazzia, c'era troppa estranietà a quel corpo esile e magro, a quel volto emaciato e a quelle guance scavate nel viso.
-Sono venuto a trovare la zia. Sai, è molto che non la vedevo. L'ho trovata migliorata, credo anche che sia ingrassata. Non so se è un bene alla sua età ma la vedo bene-
Le si avvicinò. Sempre sorridendo. Tessy non riusciva a spiaccicare parola, lo guardava muoversi lento, avvicinarsi, sottraersi alla luce della finestra ed entrare nella tenebra dei suoi occhi nocciola.
-... certo... sì... è migliorata...-riuscì a balbettare senza riuscire a muovere le labbra in modo che le parole non assomigliassero a degli spruzzi di saliva.
-Lo sai, Settimio è morto... il mese scorso... dicono che si è impiccato... almeno così dicono-
Ora si mosse più veloce e le si parò di fronte, più alto di lei di almeno un paio di spanne la guardava dall'alto verso il basso e le alitava in faccia.
-Mi manca... il mio fratellino mi manca da morire- Poi esplose in un pianto a dirotto, le lacrime gli spaccarono gli occhi e si precipitarono tutte fuori, il suo volto si contrasse in una smorfia addolorata e le sue braccia cinsero le spalle di Tessy. Nascose il volto nei suoi capelli bruni e singhiozzò dolori che sapevano di alcool. Tessy lo accettò fra i suoi capelli, gli lasciò affondare il volto nella sua folta chioma bruna e gli posò una mano sulla testa. Lo carezzò. Andrea continuava a piangere e singhiozzare, Tessy continuava ad accarezzarlo. Senza parlare. Senza parole. Non aveva più paura ormai, o meglio, ormai non "aveva" più niente: si muoveva come un'automa, programmato per consolare uomini in lacrime. Poi le mani di lui si mossero verso il basso, fino ad affondarle i polpastrelli nella carne dei fianchi. Sentì l'erezione che le si schiacciava appena sopra l'inguine, sentì come si muoveva su di lei girando su se stessa, contorcendosi sul suo ombelico. Ma non si sottrasse alla stretta dell'uomo, lasciò il suo pene a strofinarsi sulla sua pancia. Continuò a carezzarlo mentre le sue dita scavavano nei fianchi e si posavano sulle sue natiche, pizzicandole dolcemente. Non si mosse nemmeno quando sentì l'indice della sua mano destra che voleva entrarle dentro dal lato sbagliato. Era così lento nei movimenti, così calmo... le sue dita scendevano e salivano a scandagliare il suo corpo, si cibavano della carne sui suoi fianchi, mangiavano dalla conca formata dalla curva sinuosa della sua schiena... Non aveva paura, nè sentiva altro... non c'erano le dita di un uomo a muoversi su per il suo corpo, non c'era davanti al suo sguardo una donna di novant'anni seduta su una vecchia sedia, non c'era un pene schiacciato sulla sua pancia... ora, semplicemente, stava guardando fuori; stava semplicemente guardando il vetro. Poi Andrea tolse la faccia dai suoi soffici capelli che sapevano di vaniglia e di funghi e si staccò da lei. E in quel momento Tessy lo vide di nuovo e i suoi occhi erano di nuovo quelli di una volta: nervosi, si muovevano a scatti senza trovare pace. Ebbe di nuovo paura ma durò poco poichè l'uomo raccolse il giaccone che aveva posato sul tavolo e fece per andarsene.
-Io... devo andare... ho degli impegni... urgenti... passerò la settimana prossima... chiamo se non posso...- E la sua voce era quella di sempre: un ronzio flebile, appena percepibile, confusa e persa in se stessa. Disse alcune altre cose mentre si allontanava, ma Tessy non le sentì, poi ci fu solo lo sbattersi della porta. Quando si ritrovò sola rimase ancora ferma, al centro della stanza, e cercò di spiegarsi cosa fosse successo solo pochi attimi prima. Ricordava di dita che le correvano lungo la schiena, qualcosa di duro schiacciato sul ventre, effluvi di alcool misti a vaniglia... e poi ricordò di aver guardato fuori dalla finestra per qualche attimo e di aver visto qualcosa, o meglio, di aver provato qualcosa... ma non riusciva a ricordare: i ricordi erano sfocati, come negativi di una macchina fotografica svolazzavano nella sua mente senza trovare un posto dove poter svilupparsi, gli eventi di pochi attimi prima si muovevano nella sua testa come un chiaroscuro di immagini senza senso a cui non riusciva a dare una spiegazione. Ricordava solo di Andrea che si congedava frettolosamente da lei e della porta che si chiudeva violentemente. Scrollò la testa e non diede più peso a ciò che le giocava brutti scherzi nel buio della mente. Adelaide era seduta al solito posto. Sorrideva. La salutò carezzandole il capo e si chiese per l'ennesima volta cosa stesse guardando là fuori. Pochi minuti dopo, mentre era impegnata nella pulizia della casa, non ricordava più niente.
Spalancò la porta alle quattro del mattino. Non sapeva perchè fosse andato lì, ne perchè si fosse svegliato nel cuore della notte, avesse preso la macchina e si fosse precipitato a casa della zia salendo gli scalini di corsa a due a due. Entrò e senza nemmeno accendere le luci si avviò verso il salotto. Seppur nell'oscurità non fece fatica a riconoscere la sagoma della zia immersa nel buio. Le si avvicinò e vide come la luna le si rifletteva sul volto vecchio e stanco. Un candido pallore, trasparente di sostanza. La vecchia era sveglia, i grandi occhi azzurri baluginavano nella notte buia come due diamanti. La guardò per qualche istante, poi le carezzò il viso con due dita, scostandole i capelli che le coprivano una parte dell'occhio destro. Avvertì qualcosa nell'aria, non si seppe spiegare cosa ma immaginò che quel profumo doveva essere solo nella sua testa per essere tanto forte. Fiutò la stanza e senza nemmeno accorgersene sentì un'erezione crescergli nelle mutande, schiacciargli contro la patta dei pantaloni. Si rese conto dell'eccitazione cresciuta nei pantaloni solo quando posò lo sguardo su essi. Non si sottrasse a essa, non cercò di schiacciarla e non lo fece solo per paura, per paura che la forza che gli si era insinuata nel cervello rendesse tutto quello che fiutava, che sentiva, ancora più forte... fino a farlo impazzire. Si assentò un attimo dal salotto e trafficò per qulache minuto in cucina, quando tornò di fronte a sua zia stringeva tra le mani una candela accesa. La cera colava giù a piccoli schizzi, si schiantava contro il pavimento e tornava in vita in parti più piccole, la fioca luce gli illuminava il volto: non sorrideva, era stanco, a vederlo si sarebbe detto afflitto, in preda ad un dolore troppo forte per mantenerlo in petto, gli occhi squalciti, puntati verso il basso, erano spenti, la tenue luce illuminava il loro colore grigiastro e lo rifletteva sulla fiammella. La fronte liscia non dava, però, segni di preoccupazione. Posò la candela su un comodino, vicino dove sedeva la vecchia e le prese una mano tra le sue.
-Romantico, no?-
Poi si sbottonò la patta e si calò i calzoni fin sotto alle ginocchia. Raccolse i lembi della lunga vestaglia della vecchia e la spostò fino a scoprirle l'inguine. Maneggiò con cura le sue mutande e gliele tolse delicatamente accompagnando ogni movimento del suo corpo con gesti premurosi ed attenti. Le allargò un po' le gambe e la carezzò di nuovo sulla testa. Poi si calò le mutande nei pantaloni. Le si posò sopra, a cavalcioni. In un modo dolce, quasi femmineo le adagiò il pene tra le cosce mezze aperte. Non trovò subito l'entrata, prima osservò la candela che lentamente si scioglieva sul tavolino, notò le goccioline di cera e si accorse dell'oscurità che oramai doveva avvolgerli completamente, la luce morire. Poi, quando anche l'ultimo pezzo di cera fu sciolto, trovò l'entrata ed entrò. Fu come scavare un varco in uma montagna di granito, più entrava più sentiva rocce appuntite scalfirgli la pelle, pipistrelli nascosti mordergli il corpo... La prima lacrima cominciò a scendere la prima volta che le venne dentro. Sentì l'orgasmo che arrivava lento trascinandosi nelle sue viscere, lo sentì e quasi lo vide uscire fuori con una sofferenza indicibile, senza precedenti, accentuata ancora di più dalla lentezza con la quale si propagava nell'aria. E poi venne la seconda volta. E la terza. E infine la quarta. Nel frattempo gli occhi gli si erano riempiti di lacrime e quando si alzò da lei, sempre lentamente e stando attento ad ogni minimo movimento, sentì un urlo primitivo squarciargli il petto. Si tirò su le mutande e i calzoni e si riabbottonò la patta. Reinfilò le mutande alla zia e le mise in ordine la vestaglia. Lei continuava a guardare fuori, per niente turbata dai quattro orgasmi che si erano appena consumati dentro di lei. Andrea la osservò e seguì il suo sguardo: fuori era sorta l'alba: tagliato dalle montagne il sole bagnava il mare sottostante e lo agitava con onde rosse, lunghe, potenti strisce di fuoco che si infrangevano sugli scogli e spruzzavano nel vento goccioline di sangue. Le prime luci cominciarono a fare loro compagnia nel silenzio della stanza. La candela era ormai morta e di lei non rimaneva che il ricordo di una notte illuminata per qualche minuto.
Seguì il suo sguardo e si perse in esso.
Lentamente, con una calma che non gli apparteneva, si mise dietro di lei, con il corpo ritto e le mani appoggiate sullo schienale dove riposavano le sue spalle.
E cominciò a guardare fuori.
Nel vetro.
La vasca era completamente piena d'acqua. Tessy sedeva sul bordo, gli occhi posati sulle increspature che le sue dita formavano nell'azzurro dell'acqua. Ascoltava gli intestini di Adelaide svuotarsi e tuffarsi nell'acqua. Le maioliche bianche del bagno riflettevano l'ondularsi ritmico dell'acqua. Ormai dall'ultima volta che Andrea si era fatto vedere era passato quasi un anno, nel frattempo la pioggia aveva gocciolato, la neve si era sciolta e i novanta erano diventati quasi novantuno. Sempre davanti al vetro. Gli oli buttati nelle acque della vasca profumavano l'ambiente, un odore di vaniglia trionfava nell'aria e nuotava nell'acqua. Nulla era cambiato: altri uomini erano passati fra le sue cosce, calpestando il suo cuore e niente aveva cominciato a crescere nel suo ventre ancora piatto. L'acqua era tiepida... sentiva un leggero calore sulla punta delle dita, che le bruciava quel tanto necessario per farle provare un piacere sottile e caldo che le saliva lungo la schiena e diventava bollente dietro il collo. E tutto cambiò nel giro di un paio di ondine sulla superficie dell'acqua, tutto cambiò nell'indecifrabile momento in cui gli effluvi di vaniglia si confusero tra i suoi capelli e si persero nel suo sapore di funghi. Andrea era sulla soglia della porta. Si appoggiava con una spalla ad un'estremità di essa. Era ancora più esile di quello che era stato un tempo: il volto emaciato gli scopriva la mandibola che si mostrava in tutto il suo virile vigore, gli occhi infossati erano tinti di rosso, un rosso sbiadito che si muoveva nelle sue pupille grigiastre confondendone la tinta. Aveva il viso sporco, forse di polvere, forse di cenere, forse del fumo delle sue sigarette. I vestiti logori gli pendevano letteralmente dal corpo che, smunto, smagrito e disidratato, mostrava il suo scheletro esile sotto il sottile strato di pelle che ancora lo ricopriva. Ansimava come avesse appena terminato una lunga corsa e ad ogni respiro il suo pomo d'Adamo si muoveva nella laringe ad una velocità impressionante. I suoi affanni, ormai, riempivano la stanza e si susseguivano incessanti annullandosi a vicenda.
Sorrideva.
-Cosa...-cercò di dire Tessy, ma le parole le si strozzarono in gola e lì morirono trafitte dalla spada arida che le aveva attraversato la laringe.
-Sono tornato a prendere quello che mi spetta-
-Lasciami portare via la zia e non ti succederà niente-
-Ora, solo, togliti dalle palle... via!-
Mentre parlava, Tessy notò qualcosa nei suoi occhi, non il fatto che il rosso delle arterie li occupasse quasi completamente, non il grigio che si perdeva nel lucido sangue... ma la certezza che al loro posto fossero comparsi due buchi bianchi, come se quell'uomo camminasse senza vedere, con gli occhi perduti in chissà quale posto lontano. E per quanto il grigio si perdesse sempre più nel rosso, e per quanto le pupille si muovessero sempre più come impazzite Tessy fu certa che quell'uomo non portava occhi con sè e che non poteva vedere. Trascinandosi avanzò nel bagno e si protese verso la vecchia immobile sul cesso. Poi fu come in preda ad un sogno: si alzò e gli si parò di fronte, la sua pelle nera gli sfiorò gli abiti e con una mano lo respinse verso l'uscita. Sempre come in un sogno parlò parole oniriche che suonavano alle sue orecchie come lamenti di uomini legati sotto l'oceano e costretti a vivere in quel modo per l'eternità.
-Torna indietro... non so cosa vuoi, ma torna indietro-
"Eppure sapeva perfettamente cosa voleva!"
-Non so chi tu sia, ma esci di qui!-
"E questo era vero, poichè di sicuro quello non poteva essere Andrea!"
-Porta i tuoi occhi lontani da queste acque e il tuo corpo lontano da questa casa!-
"Lontani da queste acque... lontano da queste acque..."
L'uomo si fermò e la guardò inclinando la testa. Una vena gli schizzò nell'occhio sinistro e il sangue ricoprì completamente la pupilla, ma lui non sembrò farci caso. Le sorrise e cercò il suo mento con la mano, glielo prese fra le dita senza che lei opponesse resistenza e con la bocca si avvicinò a cercare le sue labbra. Lei gliele concesse e tuffò la lingua nella sua bocca calda. Il bacio le inondò la bocca, sentì sangue bagnarle le pareti dello stomaco. Con gli occhi chiusi si abbandonò completamente a quel caldo richiamo, lasciò che il suo corpo fosse pervaso da quel caldo liquido, che la sua bocca fosse lubrificata da quella lingua setosa e allo stesso tempo rasposa, che il bacio non le lasciasse un solo centimetro di aria dove respirare, si lasciò soffocare da quella cosa che le era entrata nel cervello e da lì spingeva con l'aiuto di una lingua insanguinata. Ma poi ci fu come un clic nella sua mente e vide il vetro e quello che che c'era dietro di esso e quello che si rifletteva su esso. Spalancò gli occhi terrorizzata, evase quel lungo bacio di pazzia e sputò grandi chiazze di sangue nerastro che si appiccicarono alle piastrelle bianche e colorano giù, rapide, coagulandosi al solo contatto con l'aria. Andrea le era sempre di fronte, ora la sua bocca vuota di lingue, se non la sua, gocciolava sangue macchiandogli il mento. Lo guardò pulirsi con la manica della maglietta e non potè staccargli gli occhi di dosso quando i suoi occhi scoppiarono. Fu una cosa velocissima, ma allo stesso tempo tremendamente lunga. Le pupille sembrarono spingersi all'infuori, poi dilatarsi, ruotarono su se stesse e caldeggiarono ancora con il sangue di un'altra vena spezzata. Fu come se si spaccassero in due, prima si aprirono, lasciando fluire sangue copioso e raggrumato da loro, poi scoppiarono con un plof che esplose nell'aria pregna di odori e la sverginizzarono privandola di ogni virtù nata in campi di funghi e tra cucchiai di gelato alla vaniglia. L'uomo... la cosa le sorrise più convinto, spalancando la bocca di largo compiacimento, mostrò i suoi denti ingialliti dal fumo, scheggiati appena da qualche gocciolina di sangue. E lei continuò a vedere il vetro, guardava quell'orrore consumarsi davanti ai suoi occhi sbarrati eppure continuava a vedere il vetro, cercando in quell'intricato mondo schioppetante di sensazioni e bagnato di sentimenti, il modo per mettere fine a quello strazio. Non seppe dire se fu quel mondo, il vetro, a suggerirle di fare quello che fece, nè se fosse stato il suo istinto di puttanella negra abituata a battere e a soffrire e, in verità, lei non fece nulla: semplicemente si tuffò sul vetro e lo infranse in mille pezzetti taglienti. Gli si buttò addosso con le mani a protezione del volto, gli battè con i pugni sul petto e quello perse l'equilibrio, inciampò in se stesso e volò all'indietro, anche se lei avrebbe giurato di sentire la carne di quella cosa lacerarsi con un pezzo del vetro appena rotto. Caddè su stesso, rovinando malamente sulle caviglie. Per evitare di spaccarsele entrambe si girò all'indietro e si schiantò sul bordo della vasca dove poco prima Tessy sedeva. L'impatto fu terribile: la faccia gli sbattè sul marmo e si sentirono tanti piccoli ossicini rompersi nel suo cranio, lo zigomo destro gli si spaccò completamente e alcuni denti volarono nell'acqua. Stette immobile così, con la faccia morta dove aveva sbattuto, senza dare segni di vita. Tessy guardava la scena senza capire cosa stesse succedendo. Furono solo pochi secondi e poi l'essere stese di nuovo il palmo della mano sul pavimento, lasciò polpastrelli rossi disegnati per terra. Cercò di muovere la testa ed emanò dei grugniti pieni di odio e di dolore.
-Putt.. an... a-sembrò dire, voltando la faccia, o meglio, quello che ne rimaneva, verso di lei. E per quanto assurdo potesse essere, avrebbe giurato che stava sorridendo. Seppur senza la maggior parte della bocca, delle labbra e dei denti, stava sorridendo. Lo guardò cercare di alzarsi senza successo e si rese conto che non c'erano più vetri da infrangere, che avrebbe dovuto accettare la sua lingua e farsi soffocare da essa. Ma ci fu di nuovo quel clic, questa volta, però, non nella sua testa ma nell'aria. Questa volta non rimbombò morendo poco dopo nella sua mente, ma fu un rumore forte che scosse le pareti e fece cadere dei pezzi di intonaco bianco dal soffitto. Adelaide, che era rimasta tutto il tempo ferma in quello stato di coma vegetativo che ormai la distingueva da mesi, si alzò e guardò suo nipote, la cosa, che tentava di nuovo di rimettersi in piedi. Con passo deciso, senza tradire età e stanchezza, lo avvicinò e si stagliò su di essa, sovrastandolo con il suo metro e sessanta scarso e coprendolo con la sua ombra di dolce nonna rimbambita. Si calò su di lui e gli prese i lunghi, scompigliati ed insanguinati capelli fra le mani. Li strinse con forza. Gli alzò la testa verso l'alto e poi, con un gesto liberatorio, la scagliò giù nell'acqua. La cosa non oppose resistenza, si lasciò tenere sott'acqua da quelle mani raggrinzite senza muovere un muscolo. L'acqua cominciò a colorarsi di rosso, fino a diventare un intricato pasticcio di grumi e sangue. Mille bollicine salirono a galla cercando aiuto in superficie. Nascevano e morivano come impazzite in un susseguirsi di scoppiettii ed evaporazioni. Qualche dente venne a galla e galleggiò senza aver cura della loro vita e della loro subitanea morte. Dopo alcuni minuti anche le bollicine smisero di formarsi e l'acqua ridiventò calma, rossa ma calma. Tessy restò a guardare la scena come imbambolata, senza paura nel cuore, certa dell'esito finale di quello scontro. Osservò la vecchia lasciare la testa morta, insieme con tutto il corpo, dell'uomo nell'acqua e la osservò mentre si girava su se stessa e rischiava di cadere in preda a chissà cosa. La osservò mentre, muovendosi nel vuoto, con le mani che tastavano e si appoggiavano su appigli che non c'erano, si muoveva alla confusa. Con gli occhi chiusi e la bocca contratta. Poi sputò sangue, in un fiotto violento che ricoprì lo specchio di fronte al lavabo. Lo fece di nuovo e questa volta si piegò sulle ginocchia, evitando di cadere su se stessa solo per puro miracolo. Osservò il sangue colare sullo specchio e lasciarsi dietro una scia intensa, dai contorni bruni. La vide cadere, ma trovare il gabinetto con le mani ed appoggiarvisi. Poi la vide rimettersi in piedi e lasciarsi cadere seduta sulla tazza ancora alzata.
Da seduta poteva osservare tutto meglio: c'era quella bella ragazzetta negra che la guardava instupidita da un angolo della stanza; c'era sangue dappertutto, sulle pareti, nell'acqua, sullo specchio, sulle tendine, addirittura sul soffitto; c'era suo nipote con la testa ficcata sotto l'acqua, le braccia abbandonate alla forza di gravità e le ginocchia piegate come fosse in preghiera, c'era sangue su tutto suo nipote e potè sentirlo caldo anche sulle sue mani. Ormai era il momento: ripensò alla notte di molte notti prima quando un'alba l'aveva resa feconda, quando si era liberata di qualcosa che stava per tornare, quando aveva ritrovato se stessa in un letto madido di lacrime e sudore ma accogliente e caldo. Ripensò alla sua vita. E ai suoi occhi azzurri da ragazzina. Fu allora che lo rivide. Quello stava appoggiato al lavello, sorrideva quel sorriso così bianco che una notte l'aveva quasi fatta impazzire, ma ora non aveva più paura e non sarebbe impazzita, no di sicuro! Quello la guardò e lei guardò quello.
Tessy assistette al percorso moribondo della vecchia trattenendo il respiro e solo quando la vide sedersi ricominciò a respirare. L'unico rumore, ora, era la sua tosse e l'unico colore quello del sangue che usciva dalla sua bocca. L'anziana donna, poi, in seguito all'ennesimo spasmo insanguinato, divaricò le gambe, le allargò per tutta la lunghezza che poteva e sputò di nuovo. E Tessy capì cosa stava succedendo: senza capire come, nel cervello le si formò un'immagine pazzesca per quello che rappresentava, ma allo stesso tempo bellissima, stupenda fino a riempirle il cuore di gioia.
"Sta partorendo"pensò e senza accorgersene il secondo dopo lo gridò alla stanza.
-Sta partorendo!-gridò.
-Sto partorendo!-
Quello si abbassò fino a sfiorarle la bocca con il naso, alzò gli occhi di quel tanto che bastava per fissarglieli nei suoi e glieli aprì. L'azzurro acceso folgorò le immagini della sua mente, per un attimo ancora, il bianco che le si formava intorno fu lacerato da quell'azzurro come di diamante. Quello le sfiorò gli occhi e le carezzò le palpebre, entrambe, con mani delicate e lisce.
La testolina cominciava a farsi spazio fra le gambe divaricate. Tessy si inginocchiò e cercò di fare qualcosa, senza avere una precisa idea di cosa. Cercò di allargare lo spazio utile per la sua uscita con l'aiuto delle mani, senza tradire fretta ed eccitazione nei gesti, imponendosi la calma che si richiedeva in una situazione del genere. Cercò di aiutarlo ad uscire.
Quello le prese il mento fra le mani e la baciò. Un bacio dolce, di lingua calda, soffice. Un bacio bianco.
E la testolina cominciò a venire fuori e poi fu il turno delle braccine.
Riaprì gli occhi dopo il lungo bacio e lo guardò di nuovo: sereno se ne stava ritto ad osservare una ragazzina negra che giocava fra le sue cosce. Sorrideva della scena e i suoi occhi, ora, erano azzurri. Proprio come i suoi.
Anche le braccine uscirono, prima la destra e poi la sinistra insieme con le spalle ed il busto venne fuori subito dopo.
Lo guardò per un'ultima volta.
-Ciao-gli disse.
Infine uscirono le gambe e mentre il bambino piangeva fra le sue braccia sentì qualcuno parlare.
CIAO
"Ciao", disse la voce. Nel frattempo l'ultimo colpo di tosse spaccava la gola dell'anziana e l'ultimo fiotto di sangue sporcava le sue mani negre di... le sue mani negre di mamma! Prese con eccitazione un paio di asciugamani dallo stipetto, con uno lo pulì e nell'altro lo avvolse. Il bambino giaceva tra le sue braccia, piangeva a tratti, con gli occhi che ancora faticavano ad aprirsi. Lo guardò e si sentì bene. Felice.
Quello era il bambino di...
Era il figlio di...
Era il figlio di qualunque cosa e di niente al mondo. Di tutto e di niente. Di tutti e di nessuno.
Era il figlio del vetro.
Era figlio suo.
Era suo figlio!
Quando, a fatica, il bambino riuscì ad aprire gli occhi, Tessy si sentì sciogliere nel petto: due occhioni grandi e azzurri come il mare, come due diamanti, la guardavano per la prima volta ed erano la prima cosa che vedevano.
Due occhi azzurri accesi come il mare, come due diamanti.
Due occhi azzurri accesi come due diamanti.
Due occhi azzurri.
I suoi occhi azzurri.
Lo avvolse meglio nell'asciugamano e, senza badare al sangue e ai due cadaveri che la circondavano, fece per uscirsene dalla stanza. Quando fu sulla soglia si voltò indietro e guardò Adelaide, per un'ultima volta. Senza respiro giaceva sul gabinetto, la bocca spalancata, le cosce ancora divaricate, il sangue che le sporcava tutto il corpo ed il vestito.
La guardò e vide nei suoi occhi. Bianchi fissavano il vuoto, in loro non c'era colore che potesse accendersi. Due sfere bianche, ormai prive di vita.
Riguardò il bambino e riguardò nei suoi occhi.
Sorrise.
Si avvicinò al cadavere dell'anziana, con passo lento e deciso, le posò una mano sulle palpebre e gliele abbassò, entrambe. Poi le carezzò il volto.
Infine uscì con il bambino tra le braccia.
Il figlio del vetro... suo figlio si era stancato di piangere e giocava con quegli atomi di materia invisibile che solo i bambini sanno e possono vedere.
Talvolta la guardava, forse senza vederla, ma di sicuro quei due occhi azzurri si tuffavano nei suoi occhi nocciola.
E c'era il mare.
E c'era l'acqua.
E c'era il vetro.
FINE
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