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Insolite apparenze - Parte seconda e ultima
"Ci crederesti mai dove sei?"
"No."
Gregorio sorrise.
"Questo è il posto dove i pensieri più reconditi della mente, si alleano, si mescolano."
Ben scosse il capo.
"Non ci credo."
"Allora dove pensi di essere?"
"Sto sognando. Non c'è altra spiegazione."
"Stai sognando?"
"Sì."
Allora Gregorio gli si avvicinò.
"Questo è il luogo dove chi coltiva rancore, rabbia e odio, rimane fino a data da stabilire."
"Fino a data da stabilire?"
"Proprio così."
"Tu perché sei qua?"
Gregorio camminò in tondo. Si trovavano nella foresta buia. Solo la luce della luna adesso illuminava il terreno.
"Più di vent'anni fa mio padre è stato ucciso. Quando sono nato era già morto. Mia madre però mi ha sempre parlato di lui, tanto che mi sembra di averlo sempre conosciuto", fece una pausa. "Crescendo mi sono fatto dire da lei il perché mio padre fosse morto. Quando era ragazzo, la vita era difficile... così per guadagnare qualche soldo in più, lavorava per un tizio, un mafioso."
"E che cosa faceva per questo mafioso?"
"Portava le bustarelle a qualche agente di polizia. Quel lavoretto non gli portava via più di venti minuti al giorno. Era... una cosa da nulla. Solo che un giorno l'hanno preso i membri della gang rivale."
Gregorio continuava a fissare il vuoto avanti a sé, e i suoi occhi divennero opachi. Ma il pianto rimase nascosto, celato dal buio della notte, e dalla volontà del ragazzo.
"E poi?"
Allora Gregorio si voltò.
"E poi basta. Non devi sapere altro."
"Come sarebbe a dire? Mi rapisci, mi porti nel tuo rancore, e non finisci di spiegarmi?"
"Non ti serve sapere altro."
"No, non ci sto."
"Non ha importanza. Ormai sei qua, e a meno che tu non conosca il modo di andartene, rimarrai qui fino a data da definirsi."
"E sarebbe?"
"Quando lo deciderò io. Prima mi aiuterai, e prima potrai andartene."
"In cosa dovrei aiutarti?"
"Sono qui a causa del rancore che provo nei confronti di quegli uomini. Gli stessi che anni addietro hanno ucciso mio padre. Ho bisogno di te per tornare al passato."
"Perché ti servo io?"
"Perché fai parte del presente. E questa cosa necessita anche di te."
"E poi?"
Gabriele lo fissò e rispose: "Poi li ucciderò. In questo modo non potranno uccidere mio padre."
Ben scosse il capo.
"Una cosa del genere è empiricamente impossibile."
"Beh, a meno che tu non stia sognando un sogno molto intenso, dovrai accettare tale situazione come realtà."
Gregorio gli si avvicinò.
"Io vengo dal futuro, se ancora non ti fosse chiaro. Ho bisogno di te per compiere la mia vendetta."
Ben rimase immobile, senza capire. Poi d'un tratto disse: "Ora capisco... devo essere caduto dalla montagnola. Sì, sono caduto e ora sono in coma."
La bocca di Gregorio assunse un sorriso, e gli occhi si allungarono, il naso si arricciò mostrando di più le poche lentiggini che aveva.
"Non sei caduto e non sei in coma. Devi credermi."
"Io... non posso."
"Non c'è scelta, Ben. Non c'è proprio scelta."
Benicio lo fissò. Poi si guardò attorno.
Vi fu un istante di silenzio.
"Questo è il posto del rancore?" domandò con scetticismo. "Allora dove sono tutti i rancorosi, uhm?"
Poi allargò le braccia, e urlò ancora più forte: "Allora? Dove sono le anime cattive, Gregorio?"
Il ragazzo gli si avvicinò.
"Non gridare..." gli sussurrò guardandosi intorno. "Il mondo non è ciò che sembra, perché qui dovrebbe essere diverso?"
"Come perché? Non hai detto tu che questo è un mondo speciale, dove i rancorosi e i rabbiosi si uniscono per gridare vendetta?" continuò a voce alta.
Lo afferrò per un braccio e rispose: "Non intendevo dire che questo posto è uguale al mondo, ma semplicemente che molte cose potrebbero sembrarti ciò che non sono, proprio come nel tuo mondo."
"Spiegati meglio."
"Talvolta si nascondono. Si tramutano in oggetti, in persone. Non fidarti mai di nessuno."
"Neanche di te?"
Gregorio lo fissò.
"Neanche di me, no."
Ben scosse il capo incredulo.
"Ascoltami...", continuò Gregorio. "Ti sto chiedendo di rendere giustizia a mio padre, Ben. Lo capisci?"
Ad un tratto si udì un rumore, e Gregorio sembrò desideroso di volersi sbrigare.
"Dammi retta, per l'ultima volta. Sei incastrato qui, e a meno che tu non faccia ciò che ti chiedo rimarrai qui. Quando avrai fatto il tuo lavoro, potrai tornare a casa tua, tra le verdi colline e il mare."
Benicio rimase in silenzio per diversi minuti.
"Cosa dovrei fare?"
Gregorio alzò lo sguardo, e vide la vecchia signora poco più in là.
Se ne stava in piedi a mani incrociate, e gli sorrideva.
"Andremo presso l'albero che non si guarda in faccia", disse tornando con lo sguardo sul ragazzo.
Poi la donna si fece più avanti, ma rimanendo sempre alle spalle di Benicio.
"... ma ricordati una cosa..."
In quel momento li colse un fastidioso rumore che li costrinse a voltarsi. Fu allora che Ben si liberò dalla presa di Gregorio, e corse in direzione opposta.
Inciampò, ma poi si rialzò e riprese a correre.
"BEN! BEN, TORNA INDIETRO!"
Ma Benicio non aveva alcuna intenzione di tornare indietro, e vedendolo continuare a correre, Gregorio decise di gridargli comunque: "NON FIDARTI DI NESSUNO, NON FISSARLI NEGLI OCCHI! MI HAI SENTITO?"
Man mano che correva, i rumori si placarono e anche la voce del ragazzo andò scomparendo.
Non sapeva esattamente quanto avesse corso, ma era come se il tempo si fosse fermato; e quando si guardò attorno ebbe l'impressione che una mano l'avesse trattenuto per la T-shirt per tutto il tempo in cui aveva corso.
Il luogo era lo stesso di quando aveva parlato con Gregorio, appena qualche minuto prima. L'unica diversità stava nello stato delle cose.
Sembravano in decomposizione avanzata. Guardò gli alberi secchi. L'erba, nella stessa situazione. Decise di proseguire ancora. Intorno ad un lampione danzavano delle donne e degli uomini con indosso abiti di seta bianca. La musica inneggiava un valzer.
Benicio li andò incontro, ma non ebbe possibilità di porre domanda alcuna che tutti svanirono nell'aria come un sussurro.
Aveva voglia di piangere, ma non lo fece. Decise quindi di continuare a camminare verso l'albero che non bisognava guardare in faccia.
Così aveva detto Gregorio prima che Ben scappasse.
Sapeva che correva un rischio, sapeva che addentrarsi nel folto della foresta per andare in quel luogo poteva rappresentare una seria minaccia.
Il punto era che non aveva scelta. Allo stesso tempo quella minaccia significava anche una via di scampo per tornare a casa.
Dopo una camminata che gli sembrò infinita, si osservò in giro. Era pieno di alberi, e all'improvviso gli vennero in mente le parole del ragazzo quando gli esponeva seri rischi nel fidarsi di qualcuno o di non pensare che ciò che vedeva fosse realtà, e lo avvertiva di non guardarli negli occhi.
Per quanto gli riguardava, niente di ciò che aveva visto o sentito, aveva senso. Si trovava in un mondo che non era il suo.
Su per giù credette di star impazzendo, e quando non vide intorno a sé altro che buio, si lasciò prendere dallo sconforto, e non riuscì a fare altro che piangere.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime, e divennero rossi. Poi un sussurro.
"Ciao!"
Benicio si voltò di scatto. Cercò di capire da dove provenisse quella voce. Fece qualche passo. Poi nuovamente: "Ciao!"
"Chi c'è?"
"Non potrei parlarti."
"Perché no?"
"Mi è vietato interloquire con gli umani."
"Per quale motivo?"
"Gli umani sono il simbolo del peccato."
Ben arricciò la fronte.
"Perché non ti fai vedere?"
"Non mi è permesso."
"Per favore. Sono bloccato qui e non riesco a trovare la strada per tornare a casa."
"Certo che non la trovi."
"Perché non la trovo?"
"Non c'è strada che possa riportarti a casa. Solo colui che ti ha scaraventato in questo mondo, può."
"Almeno dimmi cosa sta succedendo. Dove posso trovare l'albero che non si guarda in faccia?"
"È troppo pericoloso inoltrarsi nei suoi boschi. Nessuno sano di mente si avventura laggiù."
"Che cos'è esattamente?"
"È il mezzo."
"Per cosa?"
La voce sibilante esitò.
"Sei sempre qui?" domandò Ben.
"Segui i boschi a ovest per otto chilometri. Ad un grande bivio, prendi a sinistra. La radura vicino a lui si fa più verde. Lo troverai là."
Poi più niente.
"Aspetta, non te ne andare!", gridò.
Ma non si sentì più nulla.
Benicio fece mente locale, e ripassò mentalmente le indicazioni per raggiungere l'albero che non si guarda in faccia che gli aveva descritto la voce senza nome.
Cominciò così a camminare avanti a sé. Non sapeva esattamente quando avrebbe percorso otto chilometri dal punto da cui era partito, ma l'indicazione che gli serviva per capire quando sarebbe stato vicino alla sua meta, era il grosso bivio.
Era buio tutt'intorno e continuava a chiedersi se ci sarebbe mai stata una luce laggiù. Quando credette di aver camminato per due orette circa, sentì lo stomaco brontolare. Aveva fame, ma non sapeva dove cercare da mangiare.
Fu in quel momento che dinanzi a lui apparve, poco più in là, un albero dai frutti magnifici. Si avvicinò e tese la mano per prenderne uno quando si bloccò.
I frutti sembravano sotto una luce diversa da quella che aveva visto fino a quel momento.
Non doveva fidarsi di niente e nessuno. Certo, era lungi a credere a ciò che aveva detto Gregorio, ma quello che gli aveva urlato prima di scappare, sentiva in qualche modo essere la verità.
"Ne vuoi una?" si udì d'un tratto.
Benicio si guardò attorno fino a che non capì da dove proveniva quella voce. L'albero.
"Mi stai davvero parlando?"
"Ma certo."
"Potresti ripetere allora?"
"Ti ho chiesto se vuoi una mela."
"Mi piacerebbe, ma..."
"Prendila pure, sarai affamato..."
Esitò.
"Allora, che aspetti?"
Benicio allungò una seconda volta la mano ma quando fu a pochi millimetri dal toccarla, la ritrasse nuovamente.
Fu allora che la voce si fece soffocata, cattiva, emettendo una risata malefica. Poi la mela divenne nera, raggrinzita.
Ben si portò la mano sul petto e la protesse con l'altra. Rimase a fissare l'albero di mele rosse divenire nere, ma mentre lo faceva si allontanò.
In quel momento solo un fumo nero gli si presentò dinanzi. Era come parlare con del fumo sospeso nell'aria.
"Gli umani... tutti uguali."
"La tua mela non l'ho presa!"
"Oh, ma la prenderai... Stanne pure certo, la prenderai."
"Vedremo."
La risata si fece sentire nuovamente e questa volta più rumorosa di prima. Poi lentamente andò scomparendo.
Ben rimase immobile a fissare i resti del fumo nero. Aveva il fiatone e non smetteva di fissarlo, incredulo e spaventato.
Solo dopo diversi istanti, decise di muoversi e continuare a camminare.
S'incamminò per il sentiero avanti a lui.
Dopo qualche ora, si trovò a fissare un paesaggio. Lo stesso di tutte le altre volte visto precedentemente, solo che questa volta non era secco, non era erboso: era gelato.
Il terreno si presentava ghiacciato. La nebbia avvolgeva l'aria e Ben faceva difficoltà a tenere gli occhi aperti.
Indossava solo una T-shirt e un paio di pantaloncini corti. Si sentì gelare e in quell'istante avrebbe voluto tanto essere a casa sua, tra le verdi colline, e il clima mitigato dal mare.
Fu in quell'istante, in quello dove chiuse gli occhi per scordare il posto nel quale si trovava e tornare con la mente a casa sua, che il fischio del vento venne accompagnato da un pianto.
Non era un pianto costante. Il lamento era a singhiozzi, e Ben non capiva da dove potesse arrivare.
Si fermò e si guardò intorno cercando di raggiungere quel pianto insostenibile.
Quando gli parve di averlo identificato, si mosse in quella direzione.
Dietro i pini innevati, trovò rannicchiato con le ginocchia strette al petto, e le braccia che le cingevano, un bimbo.
Benicio lo fissò.
"Perché stai piangendo?"
Però il bambino non rispose.
"Mi senti?" domandò senza avvicinarsi troppo.
Fu in quel momento che il bambino alzò il capo e guardò Ben.
Aveva gli occhi lucidi e rossi dal pianto. Il freddo poi agiva in modo più evidente e calcato.
"Perché stai piangendo?", domandò titubante.
"Mi sono perso."
"Da dove vieni?"
"Come?", domandò singhiozzando il bimbo.
"Sei di questo posto?"
Il bambino scosse il capo.
"Vengo dal mondo umano."
"Tu come ci sei finito qui?"
"Mi ha portato una signora. Mi ha detto che suo figlio era morto e che dovevo aiutarla."
Benicio lo scrutò. Non sapeva se potersi fidare o meno. Tutto ciò che aveva incontrato, non era stato niente di buono. E se anche la voce avesse voluto burlarsi di lui? Se il percorso che stava attraversando per arrivare all'albero che non bisognava guardare in faccia, fosse stato solo un bluff?
Quando nuovamente prese a parlare col bambino, rimase comunque distante.
"Ti andrebbe di raccontarmi di nuovo la storia? Questa volta un po' più dettagliata?"
Il bimbo alzò lo sguardo verso Ben, che lo intimò col viso a raccontargli ciò che gli aveva chiesto.
"Il mio giardino è sul retro di casa. Stavo giocando quando mi si è presentata una signora."
"Cosa voleva?"
"Mi ha salutato. Poi mi ha detto che ero un bravo bambino se l'avessi aiutata, e che mi avrebbe dato un sacco di caramelle e di cioccolatini."
"Cosa ti ha chiesto di fare?"
"Mi ha teso la mano ed io ho ricambiato."
Quello era lo stesso modo in cui Gregorio aveva attirato anche lui in quella trappola.
"Io sto andando in un posto migliore. Vuoi accompagnarmi?"
"Non esiste un bel posto qui. Qui c'è solo freddo."
"Fidati", disse Ben tendendogli il palmo della mano.
Il bambino esitò, ma poi l'afferrò, e si tirò in piedi.
Si pulì il retro dei pantaloni sporchi di neve, e una volta finito, prese a camminare insieme a Benicio.
"E tu perché sei qua?"
"Più o meno mi hanno preso nel tuo stesso modo."
"Ti ha preso la signora?"
Ben scosse il capo.
"No, non è stata la signora."
"E chi allora?"
"Un ragazzo", disse esitando.
A quel punto comparvero diverse persone. Sembravano come ipnotizzate mentre camminavano con uno sguardo perso nel vuoto e rispettivamente intenti a ripetere: "Era la mia eredità, non doveva toccarla lui", "Se l'avessi ucciso prima io, non sarebbe accaduto", "Gli spillerò tutto il conto, fino all'ultimo centesimo", "Si è messo con me per appropriarsi dei miei soldi", "Quella casa è mia, quella casa è mia."
Ben fissò i vari visi, e con loro le voci sibilanti come serpenti velenosi. Li guardava e pensava ad una sola cosa: tutta quella gente era lì, col suo peccato personale, a logorarsi dalla rabbia, dal rancore e dall'odio.
"Chi sono, Ben? Anche loro sono qui come noi?"
senza distogliere lo sguardo dalla gente, rispose: "Non lo so, Sergio. Non lo so davvero."
"Forse potremmo chiedere a loro..."
"Non se ne parla. Muoviti, andiamo via di qui."
Continuarono a camminare, e a camminare ancora per diversi giorni. Benicio non era certo di quanta strada avessero percorso, ma quando erano stanchi si fermavano a riposare, e quando avevano fame, immaginavano di poter mangiare i loro piatti preferiti.
Con quel bambino era come se non si sentisse solo. L'aveva preso sotto la sua ala e l'aveva protetto come sapeva fare meglio. Voleva portarlo nel mondo reale, e lo voleva portare sano e salvo.
Durante il lungo viaggio, aveva assistito a diverse forme di rancore, odio e rabbia, ma era tornato con la mente alla richiesta di aiuto di Gabriele: aveva perso suo padre e voleva vendetta.
C'era qualcosa però che Ben aveva capito. Avendo chiaro una volte per tutte dove si trovava, forse avrebbe trovato un altro modo per salvare Gabriele e suo padre, un modo che era lungi dalla vendetta.
Se avesse trovato il modo, avrebbe potuto far tornare indietro quel momento. Avrebbe potuto riportare il padre di Gabriele indietro nel tempo, mentre lui stesso sarebbe ritornato nell'anno 1991.
Per tenersi impegnato, continuava a voler ricordare la sua Sicilia, la sua famiglia e le sue passeggiate, intimando al bimbo di fare lo stesso, per evitare che in quel posto orribile tutti i bei ricordi che possedevano rimanessero intatti.
Erano intenti a ricordare, quando Ben vide qualcosa che riempì il suo cuore di gioia.
S'immobilizzò e costrinse il piccolo a fare lo stesso.
"Cosa c'è, Ben?"
Quasi incredulo gli annunciò: "Siamo arrivati, Sergio."
"Vuoi dire che torneremo a casa?"
Davanti a loro una distesa verde, in lontananza riusciva a vedere l'albero che non si doveva guardare in faccia.
"Farò di tutto per riuscirci", disse spostando lo sguardo sul piccolo. "Vieni, andiamo!"
Avevano appena compiuto due passi che Ben gridò di fermarsi.
"Aspetta!", continuò mettendosi sulle ginocchia. "Ora, ascoltami attentamente. Ora che ci avviciniamo all'albero, per nessun motivo al mondo, dovrai guardarlo in faccia. Mi hai capito?"
"Perché?"
"Perché è così. Non possiamo guardarlo in faccia."
"Nemmeno tu?"
"Nemmeno io", continuò fissandolo negli occhi. "Hai capito bene? È estremamente importante."
Annuì in segno di aver capito, e Ben annuì a sua volta.
S'incamminarono tenendo una mano avanti in modo da coprire la visuale dell'albero.
Quando furono abbastanza vicino, una voce possente si fece sentire.
"Chi sei tu, umano?"
Se pur sillabando, Ben rispose: "Ho bisogno del suo aiuto. Mi chiamo Ben e questo è Sergio."
La voce non emise fiato, e rimase in attesa.
"Dobbiamo tornare al nostro tempo."
"E sapete come funziona?"
"Sappiamo solo che non dobbiamo guardarla in faccia, signore. Non sono al corrente di nient altro."
"E sai perché non puoi guardarmi in faccia, umano?"
Ben scosse il capo.
"No, non lo so."
"Perché rappresento il tempo, e se ti perdi nei miei occhi, potresti non riuscire più a trovare la strada di casa."
"La prego, mi dica come possiamo far ritorno a casa."
"Come siete arrivati qui?"
"Tramite due persone diverse."
"Se siete stati portati qui, sapete anche il perché."
"Lo sappiamo, sì."
La voce esitò.
"Se siete sicuri di voler tornare a casa, potete farlo, ma una volta fatto, non potrete più aiutare chi vi ha condotto quaggiù."
Ben pensò a Gabriele, e a suo padre.
"Come si fa ad evitare qualcosa senza ferire qualcuno?"
"Non sì può fare tutto ciò che si vuole senza aspettarsi conseguenze."
"Lo so, ma lei deve aiutarmi."
"Ti ho già detto che ti farò tornare a casa, se è questo che vuoi."
"Prima non potrei passare in un altro anno?"
"Credevo di essere stato chiaro. Chi va via da qui, non può più farvi ritorno."
"E l'aiuto che dovevo dare a Gabriele?"
"Se vuoi aiutarlo, devi avere un cuore davvero grande, e coraggioso."
"Perché?"
"Se decidi di aiutarlo senza l'aggancio col futuro, ovvero Gabriele stesso, potresti non riuscire a tornare al tuo anno."
Ben deglutì.
Pensò al ragazzo e al padre. Se fosse riuscito a tornare indietro nel tempo, ad avvertire l'uomo, Gabriele avrebbe potuto riavere suo padre.
Sospirò e fissò il piccolo Sergio.
"Prima bisogna riportare Sergio a casa sua."
"A quello penserò io."
"Come funziona?"
"Deve solo pensare intensamente a casa sua."
Fissò il bimbo che annuì.
"Chissà... magari un giorno o l'altro c'incontreremo", disse Ben al piccolo, abbracciandolo.
"Grazie di avermi aiutato."
Annuì. "È stato un piacere."
Sempre con la mano sugli occhi, il piccolo si avvicinò all'albero, e in un istante, scomparve.
Benicio rimase da solo, e sentì dirsi: "Ora tocca a te, ragazzo. Devi dirmi cos'hai intenzione di fare."
Sospirò e annuì. "Voglio andare dal padre di Gabriele, ma non ho la più pallida idea di dove e come sia."
"Basta pensare a quello che vuoi fare. Te l'ho detto, al resto penso io."
Annuì ulteriormente e disse: "Sono pronto."
Tese la mano e nello stesso istante si ricordò di non avergli domandato come fare ritorno.
"Aspetta, aspetta! Come faccio a tornare indietro?"
"Pensa... caro!"
Mentre si sentiva tirare, non aveva compreso appieno la voce dell'albero.
"COME? COSA? NON HO CAPITO!"
Ma era troppo tardi. Poco dopo si ritrovò in un ulteriore luogo che non conosceva.
Si alzò dal marciapiede sul quale si trovava e si pulì i pantaloni.
Ebbe appena il tempo di guardarsi attorno, che vide un ragazzotto girare l'angolo. Doveva avere ventitré anni, non di più. Capelli biondicci, lentiggini: quello doveva essere il padre di Gabriele.
Più in là c'era una volante della polizia col finestrino aperto. Due agenti se ne stavano appoggiati al cofano intenti a fumare una sigaretta. Senza smettere di camminare gettò qualcosa al suo interno e continuò tranquillo.
Ben si nascose dietro l'angolo e attese il suo arrivo.
Quando fu vicino, esordì dicendo: "Scusi?"
Il ragazzo si voltò verso Ben, e lo fissò.
"Dici a me?"
"Sì, in effetti sì."
Lui fece spallucce, ed arricciò la fronte.
"Ci conosciamo?"
Ben scosse il capo. "Senti... non trovo nessun altro modo che dirtelo in maniera molto schietta."
Il ragazzo sorrise senza capire. "Dirmi che cosa?"
"Se continuerai a consegnare bustarelle, la gang opposta alla tua ti ucciderà."
Divenendo serio, disse: "Chiunque tu sia, se è uno scherzo non fa ridere."
"Non è uno scherzo, per favore. Devi credermi."
"Io neanche ti conosco, lasciami stare."
Stava allontanandosi, quando Ben disse la prima cosa che gli veniva in mente in quel momento, per trattenerlo.
"Ti sposerai con una donna, e avrete un figlio, Gregorio."
Il ragazzo si voltò, colpito.
Ben andò avanti nel discorso: "Ma tu non lo conoscerai mai, perché ti uccideranno prima."
"Gregorio si chiamava mio nonno."
Ben rimase in silenzio.
"Come sai queste cose?", chiese avvicinandosi.
Alla sua risposta, se non gli avesse riso in faccia, sarebbe stato già un buon traguardo.
"Io vengo dal futuro."
"Certo, come no."
"Gli abiti che porto, li hai mai visti?"
Il ragazzo lo guardò di traverso, e Ben proseguì.
"Non posso rivelare altro, ma ti prego di credermi."
Squadrò in ogni minimo particolare Ben, poi disse: "Mettiamo caso che ti creda, perché mi stai dicendo queste cose, perché sei qui adesso?"
Ben s'inumidì le labbra e dentro la sua testa tentò di elaborare una risposta credibile.
"È una storia davvero troppo complicata, ma in parole brevi ti basti sapere che tuo figlio mi ha contattato..."
"Aspetta, frena", continuò fissandomi. "Avrò un figlio?"
"Sì, ce lo avrai, ma non riuscirai a godertelo perché morirai prima."
"Cos'è questa storia della morte?"
"Devi solo smetterla con questo lavoro delle bustarelle."
Il ragazzo continuava a fissarlo. Credergli, non credergli. Non lo sapeva. Ad un tratto cominciò ad annuire.
"D'accordo", fece una brevissima pausa. "Smetterò con le bustarelle."
Ben sorrise.
"Non te ne pentirai."
Poi si voltò per andarsene.
"Aspetta! Non mi hai detto come ti chiami?"
Tornò indietro e gli porse la mano.
"Mi chiamo Ben, Benicio."
"Fabrizio."
Ben sorrise.
"Non te ne pentirai."
A quel punto si sentì così felice di quel gesto appena compiuto, che gli vennero in mente gli insegnamenti di sua madre, e di conseguenza gli venne in mente suo padre, e suo fratello, e la Sicilia, insomma: ciò che più amava.
In quel momento si sentì strappare via da qualcosa, e in poco si ritrovò di nuovo per terra. Quando aprì gli occhi credette di star impazzendo.
Spalancò gli occhi più volte. Si tastò lui stesso per assicurarsi di essere al presente. Toccò a fianco a lui: terra rossa, rossa come quella delle sue montagnole.
Guardò sopra di lui: il cielo era chiaro come il mare ancora immacolato.
Si tirò su e quasi si mise a piangere dalla felicità: era tornato a casa.
Non sapeva come. Ricordava solo di aver pensato a tutto ciò che aveva di più caro. E così comprese anche le parole poco chiare dell'albero che non bisognava guardare in faccia: per tornare a casa pensa a ciò che hai di più caro.
Si guardò intorno. Doveva essere la stessa ora di quando se n'era andato; era come se il tempo non fosse trascorso lì. Nessuna traccia di Gregorio, e se quello che gli era accaduto era reale, allora Gregorio non l'avrebbe mai incontrato.
Sorrise compiaciuto, che fosse stata realtà o che fosse stato un sogno.
Poi si diresse verso casa.
"Mamma?"
Nessuna risposta.
"Ehi, non c'è nessuno? Sono tornato!"
Entrò in salotto, ma si bloccò di colpo. Sua madre se ne stava seduta su una sedia, con un coltello puntato alla gola.
L'uomo in piedi che impugnava il coltello alzò il viso verso Ben, e incrociò il suo sguardo: lo riconobbe all'istante. Portava la barba e aveva il viso pieno di cicatrici d'arma da taglio, l'aria piuttosto trasandata, ma era lui: era Gregorio.
"L'eroe è tornato a casa", esordì.
Lo fissò senza emettere fiato. In quel momento una valanga di domande gli arrivarono alla mente: cos'era successo? Qualcosa era andato storto? Perché era tornato lì?
Ma chiese solo: "Cosa vuoi?"
"Comincia a sederti, dimmi con calma che cos'hai detto a mio padre."
In quel momento comprese. Ben era riuscito ad avvertire il padre di Gabriele, e sicuramente avevo cambiato il corso delle cose; ma qualcosa era andato storto. Adesso lo sapeva anche lui.
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- Un racconto avvincente come una fiaba... ma per essere tale andrebbe prolungato... Bravissima!
- e un continuo non c' è ?
cioè è bellissimo, non so che altro dire... voglio il continuo!!!
- Grazie milleeeeeeeeeeeeee!!! Sono felice che il racconto ti sia piaciuto: eh sì, è un genere un po' diverso dal tuo!
Grazie ancora di essere passata, bacione e buona giornata!
- Brava, l'ho letto tutto d'un fiato, una bella avventura piena di fantasia. Ho immaginato tutto, l'hai scritta veramente bene. Ho fatto un po' di confusione con i nomi e il finale non me lo aspettavo così sospeso, ma sai io scrivo favolette a lieto fine, però se tutti scriviamo uguale non è più bello leggere. La morale è molto interessante e ti faccio ancora i miei complimenti
- Nice one Roberta. Mi è piaciuto soprattutto questo finale così improvviso, che ti lascia una fame insaziata di risposte.
- Se devo essere sincera, non avevo in mente un finale ben preciso. Anzi... devo dire che quando scrivo non ho mai un'idea chiara su quella che è la trama. Le idee mi vengono man mano che scrivo...
Comunque sì, una sottile morale c'è. In pratica penso: se si cambiasse il corso degli eventi, non è detto che tutto andrebbe per il meglio, o comunque come noi vogliamo. Magari andrebbe peggio... ma ovviamente questo non si può sapere.
Grazie di essere passato, come sempre!
Un bacione, ciao!
- cavoli che finale!!! sinceramente non me lo sarei mai aspettato... dopo tutto quello che ha passato il povero Ben
Comunque hai fatto bene a pubblicare la storia anche se un po' lunga (io non posso dire niente, visto che le mie lo sono ancora di più ); chi apprezza la tua scrittura la leggerà sicuramente.
Mi sento di dire che c'è anche una sottile morale in tutto il racconto, ma soprattutto nel finale... in pratica non possiamo cambiare il corso degli eventi; se le cose vanno in un certo modo dobbiamo accettarle. Mi sbaglio?
un bacione!
- Grazie Giova!
Eh lo so... e un po' lungo e se devo dire la verità ero indecisa se pubblicarlo o meno; questo perchè io per prima, purtroppo, sul web tendo a scartare le letture troppo lunghe... però alla fine ho optato per la pubblicazione: chi ha voglia di leggerlo, bene, altrimenti, va bene uguale!
Un bacione!
- devo dire che ho impiegato un po' a leggerlo però ne è valsa la pena!!!!!!!!!!
sei sempre brava!!!!!!! kissssss
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