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Quanto è necessario...
Quanto è necessario sottoporre la propria anima ai patimenti e alle afflizioni quando si è divorati dal sacro fuoco dell’arte?
( Mah!?! )
Quando fu inaugurata nell’Ateneo universitario della gran città di * una pregiata mostra di pittura, gli organizzatori si trovarono d’accordo nel principio di emarginare il pubblico “grosso”, e a causa di una deplorevole cantonata sulla qualità della rappresentanza composta da Carmine e Patonsio?" in verità non solennizzati da austeri paludamenti (stante la irrinunciabile esigenza di libertà di manovra garantita da abiti…si dirà…confortevoli, in particolare quelli di Patonsio) ?" i nostri segnalati beniamini furono invitati?" attraverso la perentoria sollecitazione a guadagnare l’uscita?" ad inalveare altrove il proprio desiderio di tracciare nuovi confini nel campo della dimestichezza con le arti figurative, la qual cosa alimentò un rinnovato impulso a disseminare morte e distruzione nell’indole già esacerbata dell’eccellente Patonsio.
La spiacevole circostanza costrinse i due valorosi a non poter quindi riferire granché sull’evento principale, e invece nulla fu loro defalcato riguardo alla conoscenza?" che sarà infine posseduta in comune col benevolo lettore?" di fatti accessorî.
Che saranno qui di seguito riassunti.
***
Don Concetto Parrapicca, noto coltivatore di ciliegino sanguigno, e vera celebrità quale pappatore di interiora e succhiatore di un certo vinetto?" che possono celebrare a gloria il Signor Parroco di Castellazzo di Sotto, il fittavolo Signor Turi Magagna inteso Turi Giustizia (a motivo di una sua eccentrica disposizione a castigare incauti giovanottini di esitante identità sessuale), il Poeta etilista mistico don Fonfelmo di Perso e altri accreditati scienziati della materia?" uscì, in quell’occasione, come suol dirsi, fuori dai gangheri, e con ragione, contro gli screanzati dell’Ateneo.
Egli aveva un nipote a nome Gaetano, universalmente indicato Tanino ’u pitturi, e accortosi che costui era reclamato dalle Muse per il fatto che non tralasciava parete senza consegnarvi qualcosa di suo per la posterità, non esitò a consacrarlo alle Belle Arti.
Il giovanotto aveva all’incirca vent’anni, concedeva scritti suoi al “Corriere dell’Agricoltore” siglandosi con il suo nome scritto all’inverso, ed era passato per quante accademie spontanee, indipendenti cenacoli, svincolate associazioni di pittura possiede Marina di Lario, San Cristallo, Castellazzo di Sopra e di Sotto, e perfino Trutrummo a Corregge, dove suo zio tre volte la settimana si recava a comprare stallatico all’ingrosso.
Il talento di questo ragazzo?" secondo l’opinione dello zio - dappertutto meritava schiettissime lodi, a meno che non si voglia citare quel caso che vide un barbiere castellazzese di Sotto risoluto a farlo oggetto della sua critica inseguendolo con il rasoio alla mano, a motivo di un certo ritratto fatto alla sua degnissima sposa - donna mai detronizzata dal podio delle fantasie più accese dei castellazzesi inquieti?" oppure quello che lo vide malconcio capro espiatorio del rancore di un fornaio di Trutrummo, incapace di apprezzare un allegorico affresco murale raffigurante utilizzi alternativi di sfilatini di pasta dura (abilmente maneggiati dalla sua altrettanto degna consorte) ?" anch’essa mai straniera nella terra dei sogni dei trutrummesi più smaniosi.
Ma a parte questi noiosi incidenti, ed anche pochi altri piccoli infortuni derivanti dal livore di alcuni mariti spogli di sensibilità artistica, il valore del giovane esteta era ben pesato in ogni dove.
Seguendo il consiglio?" non del tutto disinteressato invero, dal momento che la fresca età dell’artista non era indifferente alle sue prurigini?" del Signor Turi Magagna, il solerte pomodoriere si decise a concedere all’Ateneo l’ultima tela del Gaetanino: un dipinto di appena due metri quadrati, promosso dal “Giustizia” come lo sforzo ultimo di un pittore indipendente, o ancora, la prova genuina di un giovane maestro redento, il libero “sacrificio” di un tenero Poeta.
Il quadro, ?" orgogliosamente alieno da ogni influenza tizianesca per quel che riguarda il colore, da qualsiasi inquinamento in cui potesse ravvisarsi la forza espressiva del Rubens, da qualunque infestazione che rammentasse la grazia di Raffaello, da qualchessia infiltrazione di elementi che rimandassero alla purezza delle linee del Domenichino o alla cultura di Poussin, o ancora alla trasparenza di Guido Reni, fieramente antitetico con il gusto raffinato dei Carracci o con l’imponenza figurativa di Michelangelo, come pure incompatibile con qualsivoglia principio piramidale?" raffigurava una delicata scena campestre, ma al contempo risarciva gli affaticamenti ermeneutici dell’attento osservatore con la magia del tributo di caldi sentimenti che il pittore consacrava allo zio, in riconoscenza d’essere stato da lui instradato per l’aspro sentiero della vita: un ampio pianoro verde, tappezzato da un’erba grossa e rigida come zeppettoni di rustica ramazza faceva bella mostra di sé destinando un’ambientazione bucolica ad un mucchietto di alberi capricciosi - uno dei quali ricevette dalla fantasia dell’artista perfino un nido con quattro ovetti e sul bordo d’esso due animali molto somiglianti a due uccelli che potevano, con intensificata analisi, essere associati ai fagianidi?" confinati in un angolino; nell’angolo opposto voleva manifestarsi un ruscelletto anch’esso indeformabile?" un alito gelato aveva forse irrigidito le acque un tempo fluenti? ?" e, in spregio all’avarizia, una barchetta vi navigava sopra, ma un po’ più larga del rivolo atipico, una svista insignificante del resto, poichè trattavasi di cosa sussidiaria che nulla poteva guastare dell’armonia dell’insieme. Una nutrita teoria di montagnole, giallognole e nere, dietro il non comune natante, assediavano un vulcano costipato da espettorazioni fumiganti; e lontano lontano un beccaccino?" nessuno avrebbe di certo potuto ravvisarvi una bestia diversa - ad ali mirabilmente spiegate smarriva nell’oblio dei contrasti cromatici il suo febbricitante e chimerico volo.
Campeggiava nondimeno in primo piano la venerata maschia figura dello zio del pittore, disaminata nell’atto di correre con una rete in mano dietro una grande farfalla che cercava salvezza tra gli alberi.
E poiché ?" com’è logico?" il cacciatore non poteva rivolgere al pubblico l’offesa di voltargli le spalle, e affinché il carissimo zio fosse in un attimo ri¬conosciuto, lo si vedeva voltare la testa proprio nell’istante in cui, tenendo alta la rete, avrebbe potuto azzeccar la farfalla.
Questa era una disdetta che operava un certo effettaccio.
La sagoma del Parrapicca, in quanto a veridico ritratto, era magnificamente eseguita, e addirittura preferibile all’originale sarebbe parsa, se si vuol trascurare una apparente sproporzione tra il corpo e la testa, un tantinello esagerata, a dire il vero, per grandezza rispetto al tronco e agli arti.
Ma era un minuscolo neo codesto, facilmente estirpabile aggiungendo massa al corpo o restringendo parecchio la testa meravigliosa, e alla fin dei conti bisogna perdonare al giovane ispirato, in considerazione del fatto che non può essere trascurato, per un coscienzioso e sereno giudizio complessivo, il sollecito affetto verso lo zio protettore.
Non vi è peraltro, nell’ambito della onesta valutazione di opere d’arte, esegeta degno di questo compito che non sappia tener conto della passione del loro autore, degli slanci del suo carattere, delle tendenze concentriche ed eccentriche del suo spirito commosso, degl’inalienabili impulsi comandati dal suo temperamento.
Qualche apatico commentatore trovò che gli occhi erano posizionati un po’ troppo in alto, e che uno, in particolare era quasi finito a rintanarsi nella crespa lanugine simboleggiante i capelli: eppure questa osservazione, insieme ad un’altra cavillosa e maligna che riguardava i pantaloni dello zio diligentemente abbottonati nell’effigie, come nella realtà non accadeva al Parrapicca - navigato ‘compagno di merende’ del Giustizia?" troppo spesso di avere, non meritavano di imbrattare il merito riconoscibile al premuroso nipote, poiché era da ritenersi che quegli innocenti svarioni non potevano costituire, di per sé, difetti fondamentali.
***
Il giorno in cui si poté finalmente gustare l’opera compiuta - ancora fresca delle generose traspirazioni del Gaetanino?" e cioè pochi giorni prima che venisse inviata alla commissione dell’Ateneo, Patonsio si recò a negoziare, per conto del fratello, in materia di concimi e fertilizzanti col Parrapicca zio. Ne nacque malauguratamente una controversia che minacciava di trasmodare in lite, dal momento che Patò riteneva di farsi garante di letami di fattura squisita, mentre il nocchiuto campagnolo stimava la partita inquadrandola nella categoria delle deiezioni generiche - o affini, tuttalpiù. E pareva che gli animi fossero lì lì per infiammarsi quando lo smaliziato coltivatore tirò fuori l’arma segreta, e cioè il vinello risolutore.
Trinca e pilucca e spizzica, ?" certo non facevano difetto al Parrapicca cambuse ben equipaggiate di salamelle, caciocavalli giovani e anziani, certe olivette disoneste da non poter dire: no, abbasta, grazie?" l’accordo non tardò oltre, e fu sancito con gagliarde strette di mano, pacche abbracci e baci?" non era vino per giovinette non sposate, come si ricorderà - e l’invito a visitare, in segno di pacificazione definitiva, la stanzona racchiudente l’ultima faticata artistica di Tanino ’u pitturi.
Patonsio vide la tela.
Alzò lo sguardo per leggerla nella sua interezza.
Si accese una sigaretta.
Concedette una grattatina distratta ai genitali.
Si arrese:
?" Certo che travagghiu non ne vole masticare, stu’ picciuottu… Ma che m…è sta’ cacata?
***
La commissione dell’Ateneo ritenne di sbrigarsi con questo quadro con una occhiataccia forse un po’ troppo superficiale, dimodoché l’opera del nipote di suo zio fu, senza soverchia indulgenza, confinata in una catasta detta “gli aborti”.
***
Sia detto per inciso, le trattative tra Patonsio e Parrapicca zio mai più conobbero un ricupero dal giorno della visita al noto simulacro.
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