Fuori dal portone stavo fermo ad ascoltare il silenzio. In una maniera quasi innaturale, una leggera brezza estiva mi sfiorava delicatamente senza emettere alcun rumore, quasi che la natura, come una mamma sentitasi trascurata, mi stesse invitando di nuovo nel suo grembo. Una luce alla fine del viottolo si accendeva e spegnava, come un faro che indica nella notte la rotta alle navi erranti. Volevo seguirla, ma allo stesso tempo non illuminava sufficientemente lo spazio circostante e ciò mi faceva stare in uno stato di angoscia. Decisi infine di lasciare la ragione in un angolo, di fianco al portone, oltre il quale c'era un mondo fatto di tivù, radio e rapporti interpersonali, e passai oltre la luce intermittente. Mi trovai così al centro di un altro vicolo, circondato da vecchie case in pietra semidiroccate, provai ad entrare in una e mi sedetti su un vecchissimo tavolo che probabilmente un tempo faceva parte della cucina, l'unico segno di una vita passata presente nella casa. D'improvviso tutto tornò come nuovo nella mia immaginazione, vidi davanti a me una vecchia signora di paese intenta a preparare la solita zuppa del giorno, una cucina umile ma ben curata, il tavolo con una tovaglia e alcuni mobili lavorati a mano. In un lato della stanza vi era un giovane che cercava di alzare il volume di una radio antiquata, mentre la vecchia signora emetteva strani suoni di lamento contro quell'aggeggio a suo avviso diabolico. Il giovane si alza, guarda diritto negli occhi la vecchia signora e gli dice che vuole vivere, vuole conoscere il mondo, vuole diventare qualcuno. La vecchia in lacrime cerca di trattenerlo ma lui va, e ad un tratto, come una pellicola di un film velocizzata, la stanza prima in perfette condizioni si deteriora velocemente, volgo il mio sguardo fuori dalla porta e vedo che la stessa sorte tocca a tutto il rione circostante, vede tanti giovani che escono dalle case in cerca del mondo, vede i tetti che prima erano formati da solide tegole e da una cappa fumante, crollare sotto i colpi di una violenta tempesta, le finestre, prima incorniciate da tende finemente ricamate a mano, deturpate da gatti e cani rognosi e i vetri sciolti sotto un sole cocente. Poi d'improvviso una figura di tratti indecifrabili avvolta nell'oscurità compare dietro un macigno, alza la mano e mi fa segno di seguirlo. Assieme scendiamo lungo una vallata, lui mi indica la strada. Arrivati vicino ad un albero si ferma e si siede accanto ad esso e ad un' altra figura umana intenta a guardare il cielo stellato. Appena quest'ultima figura nota la presenza degli altri due indica su in cielo, il luogo della sua attenzione e mi siedo, anche io a scrutare quello spettacolo. Ciò che notai guardando quelle stelle, non fu quanto di per se stesse esse erano brillanti, ma per la prima volta mi chiesi quanto doveva essere difficile per loro uscire dal nero anonimato del cielo notturno, così grande, così avvolgente e così onnipotente. Mi voltai per vedere se anche la prima figura aveva notato quello che avevo notato io, ma tutto ciò che vidi era un anima prigioniera dell'ombra, che si era abbandonata alla pigra oscurità del sonno. Capiì allora che le persone grandi non sono quelle che ti indicano un percorso, o una strada, ma sono quelle che ti fermano e ti fanno notare una bellezza nel mondo che ti sta attorno, che prima non vedevi, grazie alla forza dell'immaginazione.