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Il ritorno della pazzia
Avevo cambiato casa da sei mesi circa, ed ero felice della scelta che avevo intrapreso. Avevo trovato un piccolo impiego come commessa presso una libreria.
La mia empatia c'era, non era cessata, ma d'altronde non ci speravo più di tanto. Sapevo che avrei dovuto imparare a conviverci e a dominarla.
Era il martedì di una mattina presto. Aprii gli occhi e allungai la mano per staccare la musica della sveglia. Dico musica perché ero stufa del solito bip e così avevo optato per una fra le tante canzoni che mi piacevano: "Solsbury hill" di Peter Gabriel.
Il display segnava le sei. Mi alzai, anche se controvoglia, e mi trascinai in bagno per una doccia.
Dopo andai in cucina e misi sul gas il pentolino col latte e la caffettiera col caffè. Tirai fuori dall'armadietto un pacco di biscotti, la tazza e recuperai un cucchiaino dal cassetto.
Accesi la TV e andai a prendere la posta sul mobiletto dell'ingresso mentre attendevo che il caffè uscisse. Poi tornai in cucina.
<<Ieri sera sono avvenuti nuovi scontri tra bande simpatizzanti di destra e di sinistra. Gli inquirenti hanno fatto sapere che ci sono stati feriti...>>
Mostrai la mia perplessità e commentai: "Finché ci saranno partiti razzisti al governo, cosa ci si può aspettare dalla cittadinanza?"
<<... ed ora passiamo ad una notizia di cronaca: è stato ritrovato nei pressi della zona di San Salvario, un corpo completamente bruciato...>>
Lentamente alzai la testa dalle bollette e la fissai sullo schermo. Mi avvicinai e alzai il volume.
<<... l'identità è ancora un'incognita, ma la Scientifica è già sul posto.>>
Sapevo che mi stava cercando. Diodeo mi stava cercando da sei mesi: da quando avevo fato fallire il suo diabolico piano.
Non sapevo quando si sarebbe fatto vivo, fino ad allora. Quel cadavere portava sicuramente la sua firma.
Ragionai, anche se non sapevo bene su cosa. Non sarebbe stato necessario andarlo a trovare: lui avrebbe mantenuto la sua promessa, mi avrebbe cercata e mi avrebbe trovata.
Ma una cosa me la imposi: non avrei permesso a nessuno di uccidermi. Sarei sopravvissuta.
Diodeo aveva carbonizzato quel corpo per farmi sapere che era tornato in circolazione.
Il piano era quello di comportarmi normalmente, non avrei deviato le mie abitudini per mostrarmi turbata o spaventata.
In quel momento squillò il telefono. Abbassai il volume, e presi il cordless.
"Pronto?"
"L'hai ricevuto il mio regalo?"
Esitai, e la mia bocca assunse la smorfia della ripugnanza.
Il suo sibilo lo ricordavo bene: Diodeo.
Mi avvicinai alla TV.
"Sì, proprio in questo momento."
"Allora, ti è piaciuto?"
"Sinceramente credevo in qualcosa di più grande, caro dottore. La pensavo molto più megalomane..."
Diodeo emise una risata finta, e commentò: "Tranquilla, lurida troia... Verrà il momento in cui toccherà anche a te, e allora potrai vedere di cosa sono capace."
"Ti aspetto."
Rise nuovamente e agganciò, io invece rimasi con l'apparecchio in mano ed attesi. Socchiusi gli occhi e serrai la mascella. Poi attaccai e scossi il capo. Ero spaventata a morte, ma non avevo altra scelta che affrontarlo.
Due idee mi balenavano in testa: avvertire la polizia, o aspettare Diodeo per gli affari miei.
A suo tempo non sapevo quando mi avrebbe cercato, adesso invece sì. Mi aveva telefonato, e mi aveva avvertito che sarebbe venuto a prendermi per uccidermi.
I requisiti per chiamare la polizia ce li avevo.
Dopo colazione, mi preparai e con l'auto scesi fino in paese; una volta lì mi recai alla stazione di polizia.
Varcai la porta arcata e mi rivolsi al primo agente di passaggio per domandargli dove si trovava la sezione denunce.
"Sempre in fondo e poi a sinistra. Chieda dell'ispettore Ghetti."
Annuii e ringraziai.
Bussai all'ufficio, e una voce mi disse di entrare.
"Scusi, lei è l'ispettore Ghetti?"
Un uomo dai capelli brizzolati alzò il viso e sorrise.
"Sono io, si accomodi pure."
Così feci.
"Dunque... in cosa posso esserle utile?"
Gli raccontai di quello che era successo nei mesi addietro con Diodeo, senza tralasciare la storia della mia empatia. Quando finii il discorso, mi fissò perplesso.
"Cosa c'è che non la convince?"
L'ispettore si massaggiò il mento, e si appoggiò allo schienale.
"Non ho mai sentito parlare di questo Diodeo..."
"Non è di queste parti."
"Beh, ma una storia del genere non conosce confini. Si figuri se i giornali e le TV non hanno divulgato la notizia..."
"Forse non c'erano abbastanza prove."
"È quello che penso anche io."
Lo fissai contrariata.
"Quindi mi sta dicendo che non è disposto ad aiutarmi?"
"Non per il momento. In assenza di prove non ho nessuno da perseguire, e non sono autorizzato a metterle a disposizione un agente come scorta..."
Mi alzai e mi misi la borsa in spalle.
"Sinceramente se tutti gli agenti sono come lei, preferisco non averla una scorta. Me la cavo da sola..."
Feci per andarmene, ma lui riparlò: "Cerchi di capirmi, signorina. Non è mancanza di volontà la mia, ma semplice prassi."
Mi voltai. "Certo, devo imparare ad inventarmi una scusa banale. Per quello la polizia corre sempre."
Uscii dalla stanza senza dargli la possibilità di controbattere.
Poi mi diressi a lavoro.
Tornai a casa verso le otto, e il cielo cominciò a tuonare. Dopo qualche minuto, un diluvio stava già scendendo dal cielo.
Lasciai le serrande chiuse, e dopo cena me ne andai in salotto a leggere un libro.
Aggiunsi della legna al fuoco e tesi le mani per riscaldarmele. Fu in quel momento che udii un rumore.
Recuperai l'attrezzo da camino e mi mossi verso l'ingresso. Tastai l'interruttore e fu in quel momento che un tuono irruppe nella casa e la luce sparì di botto.
Mi misi spalle alla parete e sospirai.
"Merda."
Cercando di mantenere la calma, ritornai nel salotto. La pioggia veniva giù violenta, quando udii un secondo rumore. Sembrava che qualcosa battesse contro la serranda.
Non ci pensai su due volte: raggiunsi il cordless e composi il numero della polizia. Non appena mi portai l'apparecchio all'orecchio, notai che era muto. Non era funzionante e in quel momento capii che non si trattava di una serie di coincidenze: non era stato il temporale a far staccare la luce, tanto meno a far saltare la linea. Fuori c'era Diodeo e stava tentando di entrare in casa mia.
Quando sentii un ulteriore rumore, corsi in velocità su per le scale, nel tentativo di recuperare il mio cellulare, quando mi sentii afferrare per la maglia. Qualcuno mi spinse contro il muro, e mi afferrò per il collo.
"Adesso farai come dico io, sono stato chiaro?"
In quelle parole riconobbi la voce di Diodeo.
La presa era forte, non assomigliava affatto a quella di un uomo anziano, ma la pazzia la raddoppiava.
"Scordatelo!"
Mi mancava il respiro, e convinta a non voler soccombere, sollevai l'attizzatoio e colpii Diodeo prima sul braccio per mollarmi il collo, e in seguito sul viso e allo stomaco.
Lui cadde a terra tenendosi il ventre. Io, se pur trascinandomi, tentai di raggiungere la camera e così il cellulare, ma mi tirò per una caviglia e anche io caddi sul pavimento.
Mi rialzai e corsi in camera chiudendo la porta a chiave.
Una volta lì, mi precipitai al comodino, poi al comò, e infine guardai in borsa: il cellulare non c'era.
In quel preciso istante, sentii bussare.
"Cercavi il tuo cellulare, forse?"
Poi la sua risata.
Doveva avermelo sottratto prima di imbattersi in me. Quello schifoso era riuscito ad entrare in casa mia nonostante le mie solite attenzioni.
Mi venne da piangere, non sapevo cosa fare e come comportarmi. Poi pensai ad una cosa.
Non avrei potuto restare lì dentro per sempre, la polizia non era stata avvertita e non avevo modo di farlo. In più Diodeo non se ne sarebbe andato via, non prima di avermi uccisa.
Avevo terribilmente paura, ma pensavo anche a quanta fiducia possedessi in me stessa. Andai all'armadio e aprii le ante.
In quel momento Diodeo parlò.
"Ti lascio ancora qualche minuto, ragazza. Poi entrerò a modo mio", continuò e rise. "Intendiamoci, non che questo gioco non sia divertente... il gioco del gatto e il topo fatto con te è molto più divertente che con chiunque altro."
Mentre continuavo a cercare le mie forbici da difesa, ogni tanto davo uno sguardo alla porta.
Diodeo riprese a dire: "Sei una delle poche prede che hanno tentato di difendersi... e devo ammettere che sei un topolino proprio niente male. È un peccato doverti uccidere."
In quel momento recuperai l'arma, lo riposi nella tasca della tuta, e mi mossi verso la porta.
Poi mi decisi ad aprirla.
Diodeo se ne stava immobile sulla soglia con un sorriso da folle.
"Mi sorprendi, ragazza."
Piegò il capo come fanno i cani.
"Credevo avresti resistito di più."
"Ah sì?"
"Eh sì. Non so, magari... mentre affondo la lama nel tuo ventre, ti dimeni, mentre ti taglio via i seni, m'implori di non farlo, oppure mentre ti brucio, gridi che vuoi ancora vivere."
Lo fissai con quanta più rabbia avessi in corpo e decisa a voler restare viva, commentai.
"Tu sembri sempre così certo di quello che dici."
"Lo sono, dolcezza. Non c'è niente che tu possa fare per vivere, perché io ho già deciso."
Io annuii.
"Sai cosa però?"
"Sentiamo... voglio gustarmi la tua ultima dichiarazione prima di ucciderti come si deve."
Sentivo la sudorazione aumentare, e mentre tremavo, sorrisi: "Credo che tu sia uno di quegli uomini che deve uccidere una donna per farselo diventare duro."
Mi fissò rabbioso, e il sorriso gli scomparve dalla faccia.
"Che cos'hai detto?", domandò digrignando i denti.
"Le tue vittime sono tutte donne, scommetto. Cos'è, la mamma ti picchiava e abusava di te quando eri piccolo? O forse è colpa delle tue fidanzate se sei diventato così?"
Diodeo non smise di fissarmi, ed io continuai.
"Cos'è, non soddisfacevi le loro aspettative?"
"Sta zitta! Devi stare zitta!"
Ma io insistetti.
"Perché uccidevi le tue pazienti donne all'istituto d'igiene mentale?", continuai digrignando i denti. "Che cosa ti facevano di così terribile?"
Lui mi fissò. Sembrava essersi calmato.
Fece spallucce e rispose. "Niente... ma erano donne. Le donne ci hanno sempre fatto del male."
"Ci?"
"A me e a mio padre. Lui l'amava davvero, e lei non l'ha mai capito."
"Parli di tua madre?"
"Lei non ha mai capito quanto fosse importante per mio padre. Lui si è sacrificato per tutta la famiglia, e lei l'ha ferito. Doveva pagare...", sorrise e disse annuendo: "Ha fatto bene a bruciarla. Doveva purificarla dai suoi peccati."
Sputò a terra e gridò: "Sgualdrina maledetta!"
Poi mi fissò come se si fosse accorto solo in quel momento della mia presenza.
"Sei di nuovo uscita col tuo amichetto del bar, eh?"
Lo guardai senza capire. "Cosa?"
Cominciò ad avanzare con uno sguardo che sembrava indemoniato, quando mi disse: "Non te lo ripeterò una seconda volta. Comincia pure a dirigerti verso il termosifone."
Indietreggiai lentamente fino ad arrivare al limite delle scale. Ci fermammo entrambi. A quel punto lui sorrise, il mio cuore batteva sempre più in maniera anormale.
"Dammi retta, Ilaria, e non ti punirò più del dovuto."
Mi aveva chiamata Ilaria ed ero quasi sicura di poter affermare che stava impersonando la figura di suo padre, ed io quella di sua madre.
"Ascoltami..."
Ma lui fece cenno di fare silenzio.
"Non devi parlare!"
"Sono tua mamma e tuo papà? Li vedevi litigare?"
Diodeo distolse lo sguardo, e disse: "Mi nascondevo sempre in camera, certo. Quella volta però non ho fatto in tempo."
"Che cos'hai visto?"
"La picchiava: sberle, calci, pugni, fuoco. Vedo del fumo dalla finestra."
"Dove?"
"Nel retro di casa, la casa di campagna, isolata, ideale per ucciderla."
Sembrava essersi perso in quel racconto; ma non appena lo terminò riprese a fissarmi, e come tornato alla realtà, disse: "È per questo che devi morire, Melinda."
"In pratica non c'è un perché", affermai io.
"Dipende dai punti di vista."
"Anche io ho un punto di vista", dissi.
Lui sogghignò e mi chiese: "E quale sarebbe?"
"Che non ho intenzione di morire, stasera."
Lui estrasse lentamente il coltello. Fissò ora la lama, ora me. Infine disse: "Peccato per te non poterti accontentare."
Lo guardai, e lui ricambiò lo sguardo. Poi mi corse incontro con l'arma tesa verso il mio corpo. Nel momento in cui lo vidi avanzare verso di me, provai una paura fottuta.
Gli afferrai il polso, ma riuscii comunque a farmi un taglio sull'avambraccio.
Mi si avvicinò al viso e l'odore acre che emanava mi si insediò fastidiosamente nelle narici. Poi sussurrò: "Ti ricordi quando ti dissi che ti avrei trovata? Bene, l'ho fatto. E il seguito? Ti ricordi del seguito? Ti ho promesso che ti avrei bruciata. E così farò."
Lo spinsi contro il muro e gli colpii più volte la mano nel tentativo di fargli mollare la presa del coltello.
D'improvviso mi sferrò un pugno, e mi diede un calcio al ventre che mi fece arretrare e quasi mancare il respiro. Persi l'equilibrio e caddi a terra.
"Sei sicura di voler continuare? Sei esausta, guardati..."
Mi toccai il labbro tagliato e constatai che perdevo sangue. Lo sputai e lo fissai.
Poi mi alzai decisa a non dargliela vinta. Lui sorrise.
"Come vuoi."
Quando mi venne incontro correndo, mi accorsi di essere proprio davanti la tromba delle scale, e se mi avesse spinto, mi avrebbe portato giù con lui.
Attesi la sua vicinanza il più possibile, e non appena lo vidi a poco da me, mi scansai. Diodeo rotolò giù dalle scale.
Lo fissai dall'alto: non si muoveva, ma non sarei andata a constatare se respirava ancora o meno.
In velocità raggiunsi la cornetta in camera da letto, ma una volta alzata, il segnale mi ricordò che con molta probabilità Diodeo aveva manomesso i fili della linea.
"Il cellulare!"
Rammentai però che il mio cellulare me l'aveva sequestrato lui, e io per nessun motivo al mondo mi sarei avvicinata a lui.
Uscii dalla camera e raggiunsi le scale. Lui giaceva ancora a terra: forse era morto, o forse aveva perso i sensi. L'unica alternativa che avevo era raggiungere le chiavi della macchina, andare alla polizia e far arrestare Diodeo.
Il solo pensiero di dover scendere quelle scale mi fece venire gli occhi lucidi, ma quella era l'unica strada a poter essere intrapresa che mi avrebbe valso la vittoria su quel folle.
Annuii a me stessa, e rasente il muro cominciai a scendere i gradini. Ero quasi alla fine quando notai una cosa che mi sparò il cuore in gola.
Il coltello non era più vicino a lui. Dov'era? Dove diavolo era finito il coltello?
In quel frangente mi passò tutto davanti, e in un attimo vidi Diodeo alzarsi ed estrarre dalla giacca, il coltello ancora sporco del mio stesso sangue, poi impugnarlo con due mani verso il mio corpo.
Il suo petto era libero, non aveva ostruzioni a fargli da barriera, così impugnai anche io le forbici che mi ero portata dietro, e senza pensarci due volte gliele piantai dritte nel cuore.
Mi fissò incredulo e rimase per qualche istante immobile. Gli uscì una lacrima dall'occhio sinistro e cadde a terra, quasi vicino a me.
Poi mi appoggiai al muro e piansi.
Era trascorsa una settimana dalla morte di Diodeo, ed ero ancora indecisa se restare in quella casa, o cambiare nuovamente domicilio.
Personalmente pensavo che cambiare posto non sempre aiutava a dimenticare. Se non c'era volontà, niente avrebbe cambiato le cose, neanche il tempo.
Così decisi di restare e continuare lì la mia vita, o almeno fino a quando la mia empatia non mi avrebbe presentato, per così dire, un nuovo caso da risolvere.
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