racconti » Racconti drammatici » FURIA D'AMORE
FURIA D'AMORE
Il Varese era più frequentato del solito, clienti occasionali, che non avevo mai visto, entravano ed uscivano con l’aria distratta di chi cerca di dimenticare i problemi quotidiani, gironzolando da un bar all’altro, alla ricerca di niente, La serata era calda, ma non eccessivamente, del resto indossavo i miei pantaloncini bianchi e la maglietta in stile caprese, che mettevano in risalto il mio fisico asciutto e muscoloso. Matteo, il ricciolino dei Barbuti, come gli amici lo chiamavano, sonnecchiava nella sua poltroncina, forse sognando la sua Rosemary e Livio, il bello di via Arce, con uno dei suoi completini da mercato rionale, discuteva animatamente con Flavio, il saracino di via Tasso. Giovanni, invece, ribattezzato il morto che parla, se ne stava in disparte, russando col bastone tra le mani. Erano circa le ventidue ed il traffico era più sostenuto che mai, del resto accadeva ogni sabato sera, quando arrivava gente dalla provincia ed le uniche due vie di accesso alla città si intasavano.
Ad un tratto, il “ricciolino” spalancò gli occhi e, poggiandosi ai braccioli della sedia, si sporse in avanti, guardando verso una cabriolet rossa, targata Firenze, e guidata da una bruna stupenda, una di quelle che solleticano le fantasie erotiche di noi maschietti, quando l’incontro con l’altro sesso costituisce ancora una necessità primaria. Il nostro sguardo si diresse automaticamente in quella direzione e la ragazza per un breve attimo mi guardò, mi strizzò l’occhio ed avanzò di un passo, per fermarsi, subito dopo, dietro una fiesta blu notte. Mi alzai dalla sedia e ricambiai l’occhietto, sperando in un miracolo. Girò leggermente il capo e con uno splendido sorriso mi fece cenno di salire in macchina, mentre gli amici mi fecero il coro.
Mi tremavano le gambe, ma tutto il resto si era allertato e proiettato verso conclusioni piccanti e fantasiose. Mi sembrava un sogno: ero lì, affianco a lei, e tutto mi sembrava più bello. Procedevamo verso piazza della concordia, tra i palazzi ed il lungomare affollato, il suo profumo m’inebriava, nel mentre che la guardavo guidare. Il viso era splendido ed i capelli, di un nero morbido, le cadevano sui seni ben fatti e generosamente scoperti. Una minigonna color fucsia ovvriva al mio sguardo turbato due gambe da favola, lunghissime, affusolate ed abbronzate. Pur desiderandola, non osavo toccarla. Fu lei a rompere gli indugi e, senza guardarmi, incominciò a carezzarmi la coscia sinistra.
Tolse un attimo la mano, per armeggiare col cambio, poi tornò a carezzarmi, con gesti lenti e misurati, come a valutare la qualità della scelta. All’altezza di piazza della Concordia, accostò un attimo e mi chiese di passare alla guida, ubbidii. Ripartimmo in direzione Mercatello, con Paola, così credo si chiamasse, tutta protesa verso di me. Con le dita abili, mi aprì la cintura e la patta dei pantaloni, dando inizio ad una pazza danza di carezze e mugolii, che mi travolsero in un vortice infernale di piacere. Il mare era una favola e la luna gli conferiva un pizzico di magia. Cercai disperatamente un posto dove potermi fermare, per un incontro ravvicinato del primo tipo, ma il traffico procedeva lentamente e la zona industriale era più avanti.
Ad un tratto, una folgorazione, vidi il parcheggio aperto della casa del vetro, misi la freccia e via, fino in fondo, oltre la siepe di oleandri. Ebbi appena il tempo di spegnere il motore, che il sedile si ribaltò ed io caddi all’indietro, senza che potessi dire o fare nulla. Paola era già a cavalcioni su di me, del resto, poco prima avevo visto le sue mutandine nel portaoggetti del cruscotto. Mancava poco alle undici ed io ero imprigionato sotto quella bellissima fanciulla, che già si muoveva ritmicamente facendomi impazzire. Ero in estasi. Le sue labbra carnose mi succhiavano il collo e, di tanto in tanto, mi mordeva fino a farmi male, ma non mi importava, ero completamente in suo potere.
Stavo per raggiungere un nuovo orgasmo ed io ero li, ad occhi chiusi, godendomi quel momento attimo per attimo, quando uno schiaffo in pieno viso mi spinse violentemente la testa verso il finestrino. Aprii gli occhi, annichilito e sbalordito, cercando di capire cosa stesse succedendo, quando un secondo schiaffo mi spinse la testa dall’altra parte. Sentii in bocca il sapore del mio sangue. Guardai stralunato la mia bambola e la vidi in pieno orgasmo, mentre con le unghie cercava di perforarmi le braccia, poco più su dei gomiti. Stavo per dire qualcosa, quando la sua lingua invase la mia bocca, togliendomi, con l’aria, il respiro. Allungai il braccio sinistro verso il gancio di apertura dello sportello e riuscii a tirare, ma la mia partner subito lo artigliò richiudendolo, mente un pugno tremendo sullo sterno bloccò ogni mia reazione. Certo, la sorpresa mi aveva disorientato, ma occorreva che trovassi rapidamente una strategia che mi togliesse da quella situazione. Improvvisamente un’idea mi folgorò : la guardai intensamente e le sussurrai: - Ora, il gioco cambia, piccola mia! ?" La spinsi sull’altro sedile e mi mossi, come si volessi ribaltare la situazione. La finzione risultò efficace e mentre, stravolta, gridava:- Si, si… prendimi... straziami…fammi male! ?", saltai fuori dalla macchina e scappai. Correvo
sul marciapiedi verso Salerno, quando sentii il rombo del suo motore alle mie spalle, mi raggiunse e grido:
- Fermati, figlio di puttana! Non mi lasciare così! Fermati!...-
Ovviamente, non mi fermai e cercai una via di scampo. Quando vidi aperto il bar dell’Agip, incominciai a respirare ed entrai senza fiato, aggrappandomi al bancone.
Il cameriere mi guardò preoccupato: la camicia era a brandelli, la cerniera dei pantaloni ancora aperta ed avevo graffi e morsi dappertutto.
- Dammi dell’acqua! - chiesi al barista che mi fissava sbigottito. Bevvi rapidamente e mi accasciai sfinito ai piedi del bancone, mentre la virago girava intorno alla pensilina delle pompe, strombazzando ed imballando il motore. L’arrivo improvviso di una pantera fece si che la dolce Paola scappasse via. Vidi scomparire i fanalini della sua auto e cominciai a riprendermi, mi tirai su e mi diressi verso la toilette. Furono i poliziotto ad accompagnarmi in Via Verzieri, dove era la mia casa, un bell’appartamento all’ultimo piano, subito dopo il cinema Apollo. Mi chiusi dentro a chiave e dormii fino alle dodici del giorno dopo, una splendida domenica di sole, con un’arietta che veniva dal mare, niente male. Squillò il telefono e sobbalzai, era Giovanni che voleva notizie della mia avventura:
- Che splendida donna!- esclamai, poi abbassai la cornetta, senza riuscire a dire più una sola parola. Il mare, in lontananza, era un tavola, i gabbiani disegnavano l’azzurro del cielo con i loro voli e tutto sembrava immenso, come l’animo umano, ma non altrettanto misterioso ed imperscrutabile.
Franco Pastore
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0