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È un non vivere, questo
È un non vivere questo, pensava.
Da tre mesi come morto dentro. Senza di lei.
Perso nei meandri dei pensieri, dei sogni, dei ragionamenti e delle congetture d'ogni tipo che gli solcavano la mente, arandola per lei.
Preparando un terreno che non verrà mai fecondato.
Il treno fischiava lontano, si avvicinava, ma era ancora perso nell'orizzonte.
In quello spazio sconfinato ai suoi pensieri ed ai suoi desideri.
Non riusciva a non pensarla, lo sguardo sempre lontano, verso est.
Verso quel grigio così triste circondato d'erba, con i contorni sfumati, quei due binari che si perdevano verso l'infinito.
Verso tutto ciò che desiderava.
E in quei momenti spiegare a sè stesso il fiume di sentimenti e pensieri che lo attraversavano, era impossibile.
Lui per primo si stupiva dell'intensità, dello spessore del suo Amore.
Giacchè altro non poteva essere, se non Amore.
"Le convinzioni, più delle menzogne, sono nemiche pericolose della verità".
Nietzsche, gli risuonava sempre nella mente.
Riportando continuamente a galla tutti gli errori che aveva commesso con Giselle.
La gelosia, la mancanza di fiducia, il rancore per tutti gli errori sbattutigli in faccia, seppur commessi a fin di bene.
Il cercare a tutti i costi di riaverla. Com'era.
Un sogno diventato umano dunque. E con le sue fattezze. Ed impossibile.
Aveva fatto e detto tutto, ed il contrario di tutto, pur di non perderla.
Ma era più forte di lui.
Quando gli sembrava di averla riconquistata, il suo carattere riusciva a farla scappare nuovamente.
Porgendole inconsapevole la sua verità, quella che lei gli sputava in faccia per ritornare a volare..
Così tante volte.
Ed ora sentiva che non sarebbe mai più tornata.
Aveva tentato con tutte le sue forze di dimenticarla, di comprimere, di ridurre con uno sforzo supremo tutto questo sogno, a niente.
Ma non gli era riuscito, non riusciva a cancellare quei suoi occhi neri. Profondi.
Non poteva lasciare quella dolcezza infinita che lei gli aveva donato, come in un gioco.
La sua pelle era seta, il corpo un letto caldo, la voce un desiderio senza fine, quando lievemente gli sussurrava gemiti e parole dolci, come miele.
No', non riusciva e non poteva cancellare tutto ciò.
Il treno era già più vicino, e noncurante s'avvicinava, sparendo per riapparire come sempre dopo il dosso.
Lui aveva deciso prima che arrivasse, di tornare indietro.
Di stare ancora un minuto in quel piccolo spazio.
Sotto era la strada, ed al di là un giardino, quello del custode della stazione.
Piccolo, ma ben curato. Profumava di bucato fresco.
Sulla cancellata i piccoli rami secchi delle rose, ed i lucchetti che i militari lasciavano come pegno del loro amore, eterno.
11- 08-94' Carlo e Rosa x sempre.
Sì, era bello stare lì, anche se dentro si sentiva mancare.
In quel piccolo fazzoletto di terra c'era la sua anima, dispersa negli atomi di mille baci e carezze, tutte quelle che lei gli aveva lasciato.
E non poteva non vederle, esse erano lì. Che lo guardavano felici.
Era bello vedere quella luce ingrandirsi.
A volte da lontano la confondeva con i lampi delle automobili che passavano sulla superstrada.
Ma questa volta non era stato così. L'aveva riconosciuta subito.
Essa era l'anima di quel convoglio, e le sue vibrazioni i battiti di tutti quei cuori che trasportava. Pensieri, idee, delusioni e passioni che insieme andavano su quella strada di ferro.
Uniti senza saperlo, silenziosi, lasciavano che fossero le loro anime a parlare, in un linguaggio che noi uomini non possiamo percepire. Essi si limitavano soltanto ad alimentare quei pensieri, pompando l'energia che crea la loro essenza.
Quella sera sapeva che il suo non si sarebbe unito a quel coro meraviglioso.
Mentre aspettava il cellulare gli suonò.
Piccola ma intensa sensazione. Lascio che la vibrazione gli risuonasse per un po' nelle mani, fin quando non ebbe il coraggio di guardare chi fosse.
Che stupido uomo era.
Persino nella certezza del suo rifiuto, era ancora capace di nutrire il seme della speranza. E questo seme cresceva di continuo.
Soltanto quegli sms che lei gli mandava riuscivano per un po' a fermarlo.
A fermare i suoi battiti.
Almeno fino a quando un sorriso d'una bambina, la carezza distratta d'un anziano riconoscente, il sorriso del sole che veniva casualmente a scaldarlo, lo facevano di nuovo sperare, e quel magico congegno ripartiva.
Che sciocco uomo era.
Capace d'innamorarsi d'una donna che aveva rinunciato al suo cuore.
No', non era lei.
Ecco, anche quel gattino che era solito stazionare vicino ai gradoni che sovrastano i binari, si stava pigramente spostando.
Cominciava a tratti a percepire quel magico suono di ferraglia.
Un impasto di odore d'acciaio e magia.
Quella magia che prende tutti coloro che salgono su un treno.
Una sensazione che non si può spiegare a coloro che non hanno provato a vivere sui convogli.
Dormire, mangiare, sperare e sognare. Sperare che un giorno sia diverso.
Anche se sai che non sarà così.
Mentre l'altoparlante gracchiava il suo arrivo e le fermate, Enzo decise di non tornare indietro. L'avrebbe aspettato lì il treno.
Quale luogo migliore per farlo.
Cominciava a soffiare il vento.
Esso portava quell'aria carica di neve, e solo Dio sapeva quanto l'avesse amata la neve quell'inverno.
Quando la teneva stretta e vedeva i suoi capelli riempirsi di quei soffici pezzetti di gelo.
Oddio, quanto gli piaceva vedere il contrasto tra i suoi occhi neri e tutto quel bianco che li circondava.
Il cielo gli aveva preparato un mantello degno d'un re, per far camminare la sua regina quel giorno senza sole.
Lui, che un re non era.
Scacciò quel ricordo. Non era il momento.
E seppur a malincuore, si concentrò sulla Luce.
Mentre passava vibrava anche il terreno. Era arrivato finalmente.
Sempre in ritardo, mai in anticipo.
Ma quel cassone di ferro, quella sera era invece stranamente in orario.
Le porte si aprirono cigolando e sbuffando di aria compressa.
Tanti scesero di fretta, altri ancora dormivano quasi, non realizzando che il viaggio era finito.
Allora gridarono al pensiero che prendesse nuovamente il sopravvento sui loro sogni, dimenticandoli.
Lasciando che il corpo si risvegliasse, di colpo.
Quel signore distinto aspettava.
Aspettava che lui come ogni sera gli desse il suo saluto salendo.
Ma non lo vedeva.
E seppur sapesse che non sempre aveva il turno serale, rimase male.
Quella sera desiderava come non mai, vedere il suo sorriso di uomo gentile.
Gli mancava.
Così scese, e si diresse lentamente verso il bar. Aveva bisogno di fumare.
Appena l'altoparlante terminò il suo solito discorso, ubbidiente il convoglio ripartì.
Era come leggero.
I freni non fischiarono minimamente, rimasero quasi silenziosi, rispettosi.
Non un lamento, un rumore forte. Nulla
Mentre le luci rosse posteriori erano già lontane, tristi e tremolanti come al solito, il venticello calmo che segue sempre un convoglio, portò lasciando rotolare davanti ai miei occhi, un quaderno color sughero.
Il mio sguardo si posò su di esso, e piangendo capii.
Era il quaderno degli appunti di Enzo. Il suo cuore messo a nudo.
Pieno di pensieri e desideri, sull'ultima pagina vi era scritto:
Non potrei vivere senza di te, senza il tuo Amore.
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