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La calcara
,
Un GIORNO DEL 1924 Riccobelli Felice in Francia per lavoro,
dice al suo principale francese,.
Io torno in Italia e cerco di fare qualche cosa, che mi consenta di vivere
onestamente al mio paese...
Sul treno di ritorno pensa, che la calce, per le costruzioni è
sempre stata nel suo comune prodotta e poi usata,
e con i vicini comuni forse anche commerciata.
Infatti nei boschi vi sono, qua e la parecchie tracce di calchere,
che per le nostre esigenze erano sicuramente troppe, anche se nei
cortili di ogni casa, vi era una buca della calcina, che come un giro di
ruota, la si prendeva e poi metteva, e mai doveva restare vuota
Quindi giunto a casa si procura picco, pala, e due lunghi pali per il piano
inclinato e così come un guerriero armato va nel suo non lontano
podere, con, entusiasmo e lunghi passi,
dove sa che vi è poca terra, ma in compenso molti e svariati sassi.
La lena di scavar di certo non gli manca, e dopo 60 giorni circa, la calchera
a forma di botte è pronta.
Lui di sicuro, nulla sapeva di Siracusa l'Archimede e, del suo punto di
appoggio per sollevare il mondo, ma da solo riuscì a spostare ogni pesante
masso, di forma sia quadrata oppure tutto tondo.
Nella costruzione della fornace vi è di sicuro dell'ingegno, perché vedi
ancora i sassi originali, ben fatti e sagomati, nonché come il posator voleva,
tutti bene allineati.
Se tu sosti davanti alla calchera ed osservi l'architrave
lo vedi grosso e pesante, ma posato dritto al posto giusto, così come si deve.
Lui le fatiche fatte le ha mai considerate, come mai nessuno, pur usando
Il manufatto, gli hanno nel giusto le giornate mai pagate.
Noi non sappiamo se alla prima accensione vi fecero festa, ma quel
che possiam pensare è che bevettero di sicuro del vino "clinto,, che anche a
Bione lo producevano quasi tutti, però se tu lo assaggiavi oppur fiutavi, non
restavi arcicontento
ma dall'odore e dal sapore, ne prendevi tu spavento.
I sassi da cuocere dovevano essere di calcarea natura,
e se possibile di uguale pezzatura.
Gli stessi venivano sistemati a volta ed a secco e, tutto il
posizionamento, per evitare il crollo, doveva esser perfetto.
Qui a Bione, in quel tempo, solo una persona sapeva far quel tipo
di sistemazione,
aveva si carattere un po' scontroso, serioso e duro,
però la sua arte, per i bionesi valeva un piccolo tesoro.
E per distinguerlo da altri picca-pietre, che non eran tanti,
"calcarot" lo chiamavan tutti quanti.
Lui, però che era stato registrato Pietro,
quel nomignolo professionale, non gli garbava proprio e, se
così qualcuno lo chiamava,
quel che aveva in mano di certo glielo tirava.
E fattosi così giustizia, senza giudice od avvocato, riprendeva il suo
lavoro, rosso in viso ed appagato.
Nel mentre si disponeva al grande evento la fornace,
altri uomini preparavano le fascine, che portate ed accatastate, in
un punto ben preciso della via,
venivano poi tutte bruciate, per e produrre la necessaria caloria.
La legna occorrente era alquanto tanta e, doveva esser, non meno, di
Quintali 250.
Poiché come mezzi di trasporto non avevano, motori né tanto meno buoi,
cavalli, muli, oppur somari,
perciò il tutto, in lor sostituzione, se lo caricavano sulle spalle, e con le
gambe leste e buona vista, per evitar gli intoppi,
scendevano, con passi corti e svelti, parecchie volte al giorno, e con la luna
piena non perdevan certo le notti.
Per la cottura delle pietre, vi erano tre uomini operanti:
uno prendeva la fascina dalla catasta, l'altro la posava vicino all'infornatore,
che a turno, per tre giorni e stesse notti,
la infilava nel braciere, fino a che i sassi erano ben cotti.
Quindi se tu passavi li vicino, scorgevi di sicuro una persona, che con
la faccia arrossata e la pelle quasi cotta, a turno, inforcava una fascina
e la infilava nel gran fuoco, e così con il braccio, , andava
avanti ed indietro per tre giorni e poche ore,
da sembrare uno stantuffo della macchina a vapore
Dopo spento il fuoco e tutto raffreddato, il contenuto della calchera
trasformato in calce viva, aspettava i compratori che prendessero
il prodotto, per la riparazione della casa della stalla e del fienile
, e per riempire la buca che avevan nel cortile.
Per quanto prima detto il buon Felice, che era l'artefice di tutto. veniva sì
Riempito di soddisfazioni morali
ma anche purtroppo di un modestissimo compenso materiale.
Però quale sognatore, poco di più gli sarebbe bastato e, come
Lui diceva sperava ottener qualche marengo in più(perché cosi
chiamava la pecunia).
Inoltre quale sua ricchezza desiderava essere padrone di 4 quarte
di galline bianche
per poterle controllare anche quando era un po' distante.
(4 quarte = a 4 mani cioè 20 dita.)
Oltre a ciò gli sarebbe piaciuto avere una mucca ed una
scrofa, che gli producessero del letame per concimare
il campo e partorito un vitello e dei porcellini,
che cresciuti veloci ed in salute, come lui diceva: "
gli animali con me stanno bene fino a che li tengo"
e poi venderli al mercato e, intascar qualche untile marengo.
Però lui non sapeva che il monarca signor
DESTINO
Riunito in assemblea con i suoi nulla facenti consiglieri,
avevano ormai deciso che nelle tasche dell'onesto e vero
signor di spirito FELIHE, non transitasse alcun quattrino.
Infatti non ebbe né mucca né scrofa coi porcelli, riuscì ad avere
solo poche capre ed, i suoi sogni restsrono gli unici e sempre quelli.
Per quanto alle galline, ne ha tenute quattro o cinque, e
non sembra neppur vero, ma fra la volpe ed il falcone ogni
tanto restava a zero.
Però quale uomo saggio sapeva trarre forza dalle cose che
osservava da vicino, dalla coltivazione dell'orto e del campo,
che se anche ripetitiva, era per lui una soddisfazione
e malgrado le ristrettezze economiche, non soffrì mai
di depressione.
Rgazzi erano i suoi migliori amici, che con le sue storielle,
raccontate a ritroso, sino al nonno di suo nonno, si era
accattivato il loro affetto e, da questi dimostrato quando
a 88 anni è, passato a migliore vita, ed i giovani della contrada
ubbidendo ala loro coscienza lo hanno vegliato per i suoi ultimi
giorni, con rispetto riconoscenza.
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