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L'elisse aurea
Nel mondo percepibile tutto è precisa armonia.
La teistica architettura del creato regola ogni complessità.
Il caos è solo un punto di vista scoretto dell'osservatore, è sufficente porsi alla giusta distanza e ciò che appare nebuloso e bislacco, o peggio, feroce, ritrova il suo ordine che irrefutabilmente non prevede alternativa.
La ricerca dell'Aurea Misura, per coloro che la perseguono, è sempre un'esperienza senza ritorno, senza un possibilità di ricredersi.
La luce abbacinante dell'evidenza, che alcuni chiamano Verità, ne fissa per sempre la conseguenza, la nuova coscienza:
"Il sorriso ineffabile di Dio"
Grosse mani.
Dita robuste di uomo trastullano, con mal celata voluttuà, un bruno chicco tostato di "coffea arabica", ne percorrono, con delicatezza, il piccolo solco e il dorso perfetto e compatto.
Un gesto scaramantico e nevrotico di chi è avezzo a lambicarsi il cervello e ha necessità di trovare un fulcro, un riferimento rassicurante.
Il chicco è stato salvato da una sambuca ed eletto a simulacro.
Quando non svolge questo ruolo dimora in una scatola porta-pastiglie argentata da tasca, allocata nel taschino del gilet.
I rimandi di sole di Luglio, tinti dei colori del mare, dardeggiano le lenti da vista, cinte d'oro, del Dott. Prof. Apollonio.
Le guardie regie in divisa caki fanno cappannello a pochi passi dal bagna-asciuga dell'arsa spiaggia di Pozzallo, a circa 100 metri dalla Torre Cabrera.
Le loro ombre s'affollano sulla. giovane siluette di donna, distesa prona, vestita di elegante mussola bianca e scarpine di fiordipelle di egual colore.
Il corpo è orrendamente spiccato della testa, ed oramai, si presenta asciutto e salato.
"Disdetta! Non ci voleva. A 40 giorni dalla fine di onorata carriera di regio medico legale!
No! Non ci voleva"
Il pensiero attraversa, brontolando, la mente del Dott. Prof. Oddo Apollonio e ne ferisce i meandri.
Fattosi forte, si fa avanti sulla rena, muovendosi, cangiante, nel completo panama ed il cappello di paglietta fine color beige.
Non ripone il chicco profumato.
Ha una figura magra, ma imponente, elegante nei modi e dissimula benissimo il disagio della calura nella tarda mattina.
Il suo volto sbarbato, ornato di baffi bigi quanto i capelli e sopraciglia, tradisce ogni stato d'animo che lo coinvolge.
"Povera figliola"
La vista del giovane corpo va oltre l'abitudine professionale.
Sul confine tra le case e la sabbia sta una piccola folla di gente semplice, coppole, bombette, fazzoletti di donne, i bambini scalzi e i cani al sicuro tra le gambe dei padroni.
"Signor Prefetto Sivieri! Eccelenza, come va? La trovo bene"
"Detto da lei, Professor Oddo, suona di conforto"
Il responsabile dell'ordine pubblico è rigorosamente vestito di nero.
Pesante nella figura come una statua di basalto.
Rende percepibile lo "Stato" con tutta la sua autorità.
Volto solido, baffetti alla piemontese, bombetta di ordinanza, colletto inamidato della camicia, il collo dritto e spalle erette alla militare.
Lo sguardo tagliente e solido come un gladio, bersaglia la scena con cipiglio.
"Come vede, carissimo professore, abbiamo il tipico grattacapo."
Tiene le braccia dietro la schiena, il polso sinistro nella mano destra, agita la mano libera con nervosismo.
La vittima, osserva tra se il professore, appartiene ad un ceto elevato e l'efferato crimine non è finalizzato alla rapina, dato che al polso della giovane fa mostra di se un prezioso bracciale d'oro con smeraldi.
Un nascosto nodo alla gola ricorda al Professore la propria figlia.
Medita assorto, si guarda intorno inseguendo un pensiero.
Esplora, distratto, le figure umane sulla scena assolata.
Viene attirato da un uomo anziano, un pescatore, indaffarato a ricomporre la rete, per nulla interessato all'evento che si sta consumando sulla spiaggia.
Seguendo l'istinto il professore da disposizioni per il ricovero del corpo a Ragusa, si accomiata dal Prefetto e rivolge i suoi passi verso l'uomo bianco-barbuto dedito ai suoi uffici di pesca.
La gente borbotta e commenta ma è come sul limitare di un confine invalicabile, del resto è morta una dei "Signuri" a loro, i "Cafoni", la cosa non riguarda, non deve.
Mentre si avvicina al vecchio questi solleva un sopraciglio per consetire ad un occhio di guardare, e
Il professor Oddo intravede un moto di fastidio nell'uomo seduto sull'arenile.
Inflessibile gli arriva vicino e con cattiveria sposta la sua ombra in modo che il sole offenda gli occhi del pescatore., che reagisce con un sordo ringhio.
Non si alza e continua le sue faccende.
"Che nome fate? Buon uomo!"
Il professore parla ricordandosi del suo desueto titolo di Barone, e l'ironia nel tono è volutamente provocatoria.
Il vecchio borbotta ermetico come l'Etna a primavera.
"Che dite? Non vi capisco! Buon uomo!" Rintuzza il Barone.
Il pescatore perde un poco le staffe, ma è saggio e non un michiùni.
Si sforza di usare la lingua dei fiorentini, in uno sfoggio d'orgoglio.
"Ehhh! Sti ricchi! Sti signori!"
Alza lo sguardo ironico sul Dottore.
"Sti bonianulla!"
Ridacchia.
"Sempre a le feste, in giro per il mare... "
Alza il tono
"... rompendo li gabbazizi a chi travaglia!"
Si gusta l'effetto delle parole sul Barone-Professore-Dottore, che trattiene a stento un sorriso.
"Che dite?"
L'uomo di mare precisa.
"Tutta la notte a calari li riti, e all'alba una navi bedda come na femmina, bianca come la schiuma..
... zac! zac! Mi disfò tutto il travaglio... fetusissima e bedda."
Sputa un residuo di tabacco.
"Altro non vidi, altro nu sacciu! Non un lume issavano, dei pirati sono!"
Al professor Apollonio si aggrotta la fronte mentre si accomiata dal pescatore con un:
"Statemi bene!" .
Raggiunge la FIAT 16-20 HP/1903 bianca, adorna di cromature luccicanti sotto il sole allo zenit, ferma in attesa sulla via lastricata di pietra e assediata da bambini curiosi ed invadenti come macachi.
Anno Regio, questo 1905, prodigioso, miracoloso, epico, misterioso.
La radio inventata dal Conte Marconi, gran genio italico, macchine volanti mirabili d'ingegno, navi meravigliose, edifici mai visti, armi spaventose.
Il mondo sembra sbucciarsi come un succoso arancio.
Che voglia improvvisa.
Il prof. Oddo non vede l'ora di arrivare a Ragusa, sosta obbligata al "caffè Roma" per una granitella.
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"Luisella!"
Tamburellare concitato di tacchi sulle palladiane.
"Luisella! Rispondi ti prego! Luisella..."
"Come dissi a vossia, illustrissima signora, la signorina non la trovai!"
L'autista in divisa cremisi si sforza di assecondare l'elegante padrona, ma l'ansia di questa è come una mareggiata che gli scombina le idee.
Accenna a toccarla per placarla in qualche modo e il solo tentativo determina uno scoppio di singhiozzi sotto la veletta candida.
Immediatamente il pianto diventa una pandemia che coinvolge la servitù femminile.
"Signorina Luisella dove siete?"
Fanno in coro a contrappunto.
Il bel palazzo risuona degli strepiti e ci mette del suo amplificandoli e diffondendoli per gli alti corridoi, i saloni, salotti e vestiboli.
Persino le figure degli affreschi e le statue sembrano partecipi.
Gli strazi giungono alle orecchie del Notaio Dott. Lorenzo Conte di Pietravecchia e del suo sudato maggiordomo, il sig. Franchi.
Si fanno verso l'origine dei pianti con sollecitudine.
Il Conte di Pietravecchia è stato distratto dai suoi uffici di professione dal maggiordomo che gli si è presentato paonazzo e trafelato in ufficio nel bel mezzo di una scrittura.
"Signor conte. Eccellenza! Vossia va a sapere di vostra figghia... vossia deve venire a palazzo!"
Il Notaro aveva realizzato l'urgenza della cosa.
Giunto al cospetto della moglie si industria per capire.
"Ditemi signora moglie!"
Poi intenerito dallo stato di sofferenza della bella consorte:
"Dimmi Stella! Dimmi ti prego"
Tra i singhiozzi, lei gli rivela che di ritorno dalla sarta a Catania, giunta a Siracusa, non ha più trovato la figlia Luisella e la servitù non ha la minima idea di dove possa essere.
Gli dice che le camere della figlia sono in ordine, come i spogliatoi del campo da tennis, la piscina.
Nulla! Della figlia più nulla, solo vaghi profumi e memorie d'ombre tra le palme e i sambuchi.
Il Conte di Pietravecchia non è tipo da tergivesare.
Raggiunto il telefono nello studiolo privato chiama direttamente il capo della Regia Polizia di Siracusa e denuncia la scomparsa della figlia.
Il ruolo del Conte non si limita alla professione di Notaio ma gli compete anche il ruolo politico di senatore onorario del Regno d'Italia, per ciò al funzionario di polizia non resta che la solerzia.
Il bel palazzo dei Pietravecchia viene invaso da una folla di divise, di occhiali, taquini.
Giunge anche Ustori, il capo della Polizia, scuro in volto con un foglio del telegrafo che gli brucia nella tasca della giacca.
Parla sommesso all'orecchio del Conte.
Il pallore si impossessa del viso del Notaio Regio, che senza accomiatarsi si allontana con l'autista sospimgendolo per un braccio.
L'Isotta e Fraschini verde-muschio dei Conti di Pietravecchia prende la via di Ragusa sotto la calura bianca e oro di Sicilia.
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Fresca penombra.
Il sole della fine del giorno entra, filtrato dai vetri smerigliati, nella sala chirurgica dell'Ospedale di Ragusa.
Come fosse solido, un cono di luce isolato illumina il tavolo operatorio.
Sdraiato supino, il corpo in mussola bianca, mostra tutta la sua fragilità sul freddo marmo.
Due suore ospedaliere si muovono con sicurezza, professionali, nel preparare gli strumenti per la dissezione, oggetti d'acciaio feroci e sterili su panni bianchi.
Il professor Oddo sorseggia il contenuto di sambuca fredda da un bicchierino da rosolio, tiene la bottiglia nell'intercapedine della ghiacciaia della cella per la conservazione dei cadaveri, è un suo antico segreto.
Quel sorso gli da vigore e offusca l'orrore lucido della sua professione.
Infila pesanti quanti di gomma rossa, protetto da un grembiule incerato e da caloche impermeabili.
Dopo un'analisi a vista del corpo della giovane, con la presenza, a testimone, della superiora; procede con lo spogliare il corpo di ragazza.
Fa scattare la chiusura del prezioso braccialetto che adorna il delicato polso, lo osserva e si rende conto che è un oggetto di indubbio pregio, forse di bottega napoletana, il verde delle pietre a contatto della luce concentrata rimanda bagliori vividi.
Colloca l'oggetto su un panno bianco.
Procede togliendo le raffinate calzature.
Si accorge di un po di sangue rappreso sulla calza di seta bianca, all'altezza del mignolo.
Entrambi i piedi liberati dalle scarpe evidenziano la medesima cosa.
Tutto a tempo debito.
Passa ora analizzare ciò che rimane del collo, fatica non poco a non rigettare.
Il taglio appare brutale ma perfetto, netto e bruciato sulla superfice.
"Cauterizzato con una lama rovente, ... ma chi?"
Riflette il professore mentre aiutato dalla suora gira il corpo per poter slacciare le vesti.
La gran pena è fronteggiata dalla curiosità indagatrice.
La veste di mussola non rivela nulla di particolare salvo rametti di corallo-matto imprigionati nella trama e un esanime cavalluccio marino.
Anche la sottoveste di seta color perla non ha segni rilevanti, salvo l'etichetta di sartoria che sarà oggetto di attenzione più tardi.
La suora si incarica di togliere le lunghe calze alla moda con il nastrino di tulle.
Sfilata la prima calza, la mente del Prof. Oddo prende uno schiaffo di adrenalina che lo esaspera nell'attenzione.
Al mignolo un anello d'oro circonda il dito e un perno di egual metallo lo trapassa in modo crudele.
Anche l'altro piede presenta la stesso trattamento.
Rimossi i perni e sfilati gli anelli alcuni simboli incisi attirano l'attenzione dell'uomo di cultura che alberga in Oddo Apollonio.
Procede comunque l'opera di repertazione.
Viene sfilata la sottoveste: la schiena appare priva di segni e ferite a parte due vecchi segni simili a scudisciate, appena visibili.
Il petto appare pulito, i seni piccoli quasi da bambina e lo sviluppo del tronco fanno stimare in 16 gli anni della vittima.
Un lampo di stizza coinvolge il Professore, ma l'ansia primeggia allor che si appresta ad abbassare le raffinate culotte e si avvede del sangue ormai brunito, che copioso, ammorba l'indumento.
Con l'aiuto della Superiora divarica le gambe ora nude della ragazza.
Entrambe, suora e professore, anno un moto d'orrore.
Apollonio si avvicina al pube del povero corpo, con cautela tenta di sfilare ciò che offende le grandi e piccole labbra della vagina.
Un gioiello d'oro forgiato a forma di croce uncinata, con le estremità degli uncini, affilate e appuntite, più lunghe del corpo della croce, in grado per cui di cucire, o sigillare, quel gentile orifizio trapassandone i tessuti.
Al termine dell'ingrato compito di rimuovere l'orribile oggetto il professore vede cadergli in mano un grosso cristallo di quarzo fuoriuscito dall'organo sessuale della povera,... povera vittima.
"Mustri fetusi e bastardi"
Sfugge al professore.
"Il segno del Maligno! Dio ci protegga"
Profferisce la superiora, segnandosi due volte.
Continuano l'indagine con il rabarbaro in bocca.
Noi che scriviamo e voi che leggete non indugiamo oltre nello strazio di ciò che è stato vivo, diciamo solo che oltre al descritto emerge lo stato dei nervi della morta.
Appaiono contratti ed induriti, similmente a chi avesse ricevuto un lampo di fulmine.
Ad opera finita il prof. Apollonio redige il verbale, nel quale può indicare, tra l'altro, l'indirizzo di Napoli della sartoria della sottoveste, l'indirizzo di un calzolaio di Salerno.
Ormai sul far dell'alba lo stanco prof. Oddo si rimette in vesti civili.
Convocato il fotografo fa eseguire foto dei reperti preziosi e ne attende le stampe.
Confeziona così un faldone con tutti i dati, esce dall'ospedale e si reca da don Peppino o'barbiere e successivamente al solito Caffè Roma per ristorarsi, dove con suo grande piacere, si gode un ambiente curato, i due camerieri sempre impeccabili, donna Checca cuoca sopraffina e i giornali ben infustati e stirati.
Il giorno è ancora clemente con il caldo e i due passi che lo portano dal Prefetto non gli pesano affatto.
"Saluti a vossia eccellenza!"
Un coro a rimando per le vie di tufo.
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La caliggine si addocisce ai sentori della sera, tutto chiama all'oblio ozioso, al piacere misurato pur di qual si voglia natura.
I due uomini, uno in bianco e uno in nero, nell'ombroso ufficio della Regia Prefettura, stanno tirando somme sul fatto di Pozzallo.
La stanchezza mina ormai i ragionamenti e l'idea di aggiornarsi al domani fa capolino nel discorso, quando un gran trambusto gutturale, in avvicinamento, proveniente dal corridoio rinfocola le menti.
"Cos'è!? Per Giove! Appuntato!"
La voce del Prefetto rimbomba nell'aria come scoppio.
Un bussare nervoso e poi la figura di un milite si fa sulla porta col volto imporporito.
"Vossia Eccellenza! Vi stà qui un'altra Eccellenza!"
Non ha il tempo di andare oltre che un temporale con le sembianze del Conte di Pietravecchia, corazzato da Onorevole del Regno, irrompe nella quiete scura di noce calabro e palissandro.
"Prefetto Sivieri! Mi esponga testè! Del fatto della giovine di Pozzallo!"
Poi con disperazione:
" Lo chiedo da padre" Inghiotte "Abbia cuore!" Tenta di controllarsi. "Mia figlia Luisella è scomparsa l'altra notte!"
Al Prefetto la faccenda che un'Onorevole lo chieda conta assai.
Invita a sedere il rappresentante del governo e, con l'ausilio del sorpreso Professor Oddo, lo rende partecipe dei risultati dell'inchiesta emersi al momento.
Il Conte di Pietravecchia segue tutto senza battere ciglio ma al momento di guardare le fotografie del cadavere e dei reperti i suoi sentimenti vengono trasformati in voragine.
Dall'orrore allo sconforto passa ad una collera incontenibile, infine, alla vista dei gioielli, ad una calma quasi felice.
"Non è mia figlia Luisella! Non è lei"
L'Onorevole appare rinfrancato, anche se la scomparsa della figlia lo adombra.
Nelle sue riflessioni non si avvede dello sguardo attentissimo del Professore Apollonio che lo fissa armeggiando un chicco di caffè.
"Signor Conte! Quanti anni somma la sua figliola?"
La voce del Professore è precisa.
"Non so che c'entri! Comunque porta 16 anni. Perchè me lo chiede signor Barone?"
In quel "signor Barone" c'è tutto lo scherno dovuto ad un'ex.
"Mah! Signor ConteNotaioOnorevole la questione è che coincide l'età!"
La fronte di Apollonio sembra il paesaggio delle colline di Noto, lo sguardo è serio e pensoso.
" I tempi, poi, sono troppo stretti e le distanze, il mare! No certo che non è la sua Luisella."
L'Onorevole inghiotte, poi dissimula, infine si alza nel modo più "ufficiale" possibile.
"Signori confido nel vostro senso d'Onore e di dedizione allo Stato, in nome di Sua Maestà vi esorto a derimere i "casi" in questione!"
Si erge più che può.
"Saluto in voi i responsabili delle indagini" Con cipiglio"Signori buon giorno!"
Pone sulla scura scrivania del Regio Prefetto una foto della figlia adorata ed un foglio con le note, poi si gira sui tacchi ed esce di scena.
Se ne va con quell'espressione del Professore conficcata in testa come una lisca di pesce in gola.
Al Prefetto Sivieri si può imputare di tutto, ma non la disonestà culturale, non è un manicheo, capisce il valore delle persone ed è fiero della sua capacità di giudizio, stima molto il Professor Oddo, pur definendolo un personaggio "inconsueto" o "tipico" nel senso dell'unicità.
Sono motivi forti quelli che lo spingono a responsabilizzare l'ex Barone sulle indagini. È certo che si tratta di faccende molto complesse e ci vuole una rete a maglie fini per non lasciarsi fuggire il più piccolo degli indizzi.
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"A casa! Apollonio, a casa. Diavolo è tempo!"
È l'unico suono comprensibile nella mente del professor Oddo, mentre la Fiat si fa strada su un tratturo dal fondo di ghiaia di tufo giallo e pietra.
Poche curve e dietro un agave enorme apparirà il muro di cinta de "La Gazza", l'antica masseria degli ex baroni Oddo.
Giusto alla penultima curva, quella dell'ulivo del gobbo, un'ombra spicca nitida, scavalcando un muretto a secco.
L'ombra di un uomo a cavallo.
All'origine gli zoccoli di un baio robusto.
"Bacio le mani a vossia, signor Barone!"
La voce da maschio dominante sovrasta il rumore dell'automobile.
"Scassaminchia!" È il nuovo suono nella mente del professore.
Ferma la vettura con malavoglia.
"Oh! Don Rizzio, a che devo?"
L'uomo lugubre, che impugnerebbe bene una falce fenaia, non smonta dall'arcione.
Gli si intuisce un sorriso nel volto al buio della coppola.
"Signor Barone, sono tempi oscuri e bizzarri"
Il cavallo scarta di lato nervoso ed è con energia che il cavaliere lo richiama all'ubbidienza.
"Cose cattive e straniere ci turbano, signor Barone"
Si drizza sulla sella con fierezza come a mostrare la sua determinazione.
"Ma sappiate che amici veri vegliano e vi guardano da li mali, a voi e i vostri. Saluto a vui eccellenza!"
Il professor Oddo non ha il tempo per replicare che la figura è già persa, lontana, nel primo imbrunire.
"Hiii! Menagramo scassaminchia."
Ma nella mente quella "visita" incomprensibile lo lascia dubbioso, con un sentimento d'ansia insidioso come un corvo.
La testa di Oddo Apollonio è come una piazza sacra al gioco dove gli eventi, in sembianze umane, si relazionano sotto lo sguardo del sommo giocatore.
A volte la piazza si fa scacchiera, a volte si fa commedia, in un angolo si gioca a zecchinedda o alla morra, il sommo giocatore osserva tutto e gli capita di accorgersi di un pedone degli scacchi che gioca a tresette con l'uomo della morra.
Il tepore all'anima gli sovviene ogni qualvolta vede il muro calcinato e ornato di licheni che cinge la sua amata residenza.
Sin da bimbo monello e guerriero quel muro era stato la sua fortezza, mai violata da nessuno dei tumultuosi eserciti che la sua fantasia creava.
Persino quando la Storia reale si era affacciata a quegli spalti bianchi vestita del rosso dei garibaldini, non aveva temuto.
E ora caro professore?
Ora che attraversi il robusto portone delle carrozze, certo della quiete sicura della tua corte e ti avvedi dell'estranea presenza che insidia il tuo selciato, il tuo luogo sereno non lo è più.
"Oh! Tardi facisti signiurinu"
Il vecchio servitore Antonino, detto "o bastune" per la nodosa magrezza, non ha mai smesso di vezzeggiarlo e a volergli bene come sanno fare le persone semplici e saggie.
"Visite teniamo"
Piega la testa ammiccando
" Nel salone delle carte fuma 'na bedda femmina"
Fa il "verso" mimando l'atto del fumare al femminile.
"Una franciosa!"
Mulina la grande mano come a dire "e capirai!"
"Amica della signurina Margherita, e tanto basta"
Il professore, grazie agli occhiali, mette a fuoco la Dufaux Racer celeste parcheggiata nello spazio degli ospiti noiosi, proprio sotto la grande ficaia abitata da una moltitudine di merli.
Diavolo di un Antonio.
L'esausto Apollonio raccatta tutto il suo spirito e ci si imbottisce il torace.
Con passo sicuro e misurato incede tra le conosciute mura, attraversa il vestibolo, dove si libera del cappello lanciandolo con precisione su un canterano istoriato, rimane vestito da giorno e si avvia in biblioteca prendendola alla lunga con un passaggio dalle cucine a fare un dispettuccio alla Rosalia e a vedere le pentole in bollore.
La biblioteca, o come la chiama Antonio "la sala delle carte", è il luogo più bello della magione.
Ha le dimensioni di un salone dei balli, l'arredamento è una vera Architettura di edifici-scaffali di foggia tardobarocca, lavorati con il legno di noce appena brunito dalla ceratura; i ripiani ospitano volumi ammirevoli, ghiotti bocconi per cultori delle arti liberali, un assieme generato dalla passione per il sapere nel bello.
Le teche sono protette da vetrine di lastre soffiate, ad eccezzione di una che ospita libri vissuti e si sviluppa al di sopra di una vasta bocca di un camino rivestito a maioliche.
Tutto comunica un chè di vivo.
Le uniche icone nella sala sono l'emblema azzurro, con leone e coppa, simbolo della baronia degli Oddo, che adorna il soffitto tra due lampadari veneziani a foggia di fuochi di calla, e un San Sebastiano di scuola veneta del seicento, appeso tra le due grandi porte-finestre che arieggiano l'ambiente. Il conforto è garantito da due grandi divani rivestiti con un fresco tessuto di seta compatta azzurra, e da quattro poltrone austriache di pelle fiore color tabacco chiaro, una di queste ha l'aspetto più "usato" ed è, ovviamente, la preferita dal padrone di casa che con sorpresa e fastidio, la scopre occupata.
Vi ci siede comodamente una donna dalle vesti moderne, atte alla guida di un'auto, ha i tratti del volto falsamente infantili ma dallo sguardo intelligente e penetrante.
Sugge lente boccate di fumo da una sigaretta russa infissa su di un bocchino d'avorio e bacchilite.
L'infastidito ex barone prima di palesarsi con l'ospite cerca il caro volto della figlia.
"Margherita! Fiore mio."
Il piacere nel vedere la figlia è segno di puro ristoro per l'animo del professore.
Certo! La somiglianza con l'amatissima moglie Angela, morta di tetano due anni prima, vuoi la fresca bellezza dei sedici anni, o i comandamenti della natura di padre, tutto, comunque, fa si che l'affetto che lo lega alla figlia sia simile a un sole splendente che nulla sa oscurare.
Con signorile indifferenza il professore occupa una delle linde poltrone e si dispone, con un po di artificio, a dialogare con l'ospite aliena.
Sfoggiando il più minaccioso sorriso di convenevole:
" Non ho inteso il suo nome madamosielle?"
La "franciosa" apre un sorriso da predatore e con un'armonia inusitata, risponde all'ex barone.
"Monsieur le baron, voi non me lo avete chiesto"
Sorride tra le volute azzurrine del fumo.
"Signor babbo, ti presento la signorina Elena Balkanova, la mia insegnate di arte ginnica del liceo"
L'innocente figlia Margherita, con tenero disagio, prosegue e spiega all'interessato genitore che al Liceo Convitto M. Cutelli di Catania, istituto dove le figlie della Sicilia bene acquisiscono la necessaria mondanità, la modernità era entrata, grazie a persone illuminate come la signorina Balkanova.
Con entusiasmo descrive gli sport, le letture e i pensieri vitalizzanti ben diversi dalla tradizionale educazione di una volta.
Mentre l'ascolta altri orizzonti di pensiero si aprono nella mente del professore.
Osserva le due persone che ha di fronte, l'una, la figlia, manifesta quel passaggio, caro ai poeti, dove l'essere bambina inizia a cedere alla natura di femmina e nasconde, con crescente fatica, i fuochi dell'amore e della sessualità; l'altra, la signorina "esotica", forse di ventotto anni di età, appare ormai avvezza alle battaglie amorose e qualcosa di oscuro in lei fa sospettare una inclinazione alla lussuria, nel senso che nel "deforme" alberghi il piacere.
Per "deforme" Apollonio intende quella condizione di spirito che anela solo al "Male" perchè portatore di energia, come a dire che il "Bello" è non-vita, pura contemplazione.
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