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82, Washington Road (Episodio 1)
Pensavo fosse il mio giorno fortunato, ero certo che nulla potesse andare storto. Mi sbagliavo, evidentemente.
Sono qui che corro tra le macerie, cercando senza successo di evitare buche, spuntoni di ferro arrugginito e chiodi che pare qualcuno abbia sistemato apposta per fare dei miei piedi una poltiglia martoriata. Un cavo elettrico senza vita mi allaccia una caviglia e incespicando offro un polpaccio ad un'aguzza punta d'acciaio; me ne libero senza badare al sangue che sprizza dalla ferita e alle grida mandate dall'osso che viene grattato. Continuo a correre e, sebbene zoppichi, tengo ancora testa ai miei inseguitori, avendo avuto forse molto vantaggio in partenza, essendo giovane ed allenato, o semplicemente perché non c'è via di scampo. Non è importante.
Sono qui che corro, senza udire il vento che mi fischia nelle orecchie, senza sentire dolore per le ferite che si aggiungono ad altre ogni istante, senza provare rabbia, disperazione o qualsiasi straccio di sentimento per aver perso Laila. Sono qui che corro appena di fianco a me, giudico con cinico distacco l'andatura goffa che presto mi condannerà, osservo la scia salina lasciata su una guancia da lacrime asciutte e, di tanto in tanto, mi prendo il gusto di gettare uno sguardo alla torma inferocita che mi insegue senza trovare alcun impedimento nelle macerie, un'onda di piena che non conosce ostacoli.
Non so cosa stia accadendo, non mi spiego perché posso vedere me stesso da una posizione di favore, per così dire, appena un po' più in la del pericolo, oltre il bordo del dolore e della paura. Forse è la benevolenza del signore, un atto di carità nei confronti di un condannato. Come un autista estratto da un veicolo in fiamme ed in procinto di esplodere, sono stato portato fuori dal mio corpo e posso assistere alla sua distruzione, da spettatore privilegiato mi godo lo spettacolo della mia morte.
Man mano che essi si avvicinano il tempo pare rallentare, i miei movimenti si fanno lenti, quasi che stessi correndo sul fondo dell'oceano, ed il sole viene sostituito da un'uniforme luminescenza scura, una luce buia, una brillante oscurità. Devo aver tolto il coperchio all'inferno, per generare una cosa simile, o quantomeno ho scomodato qualche divinità ancestrale. Maledirei quella chiave che ho raccolto, se solo mi importasse qualcosa, e di certo non rimetterei piede qui. Ormai, però, niente più conta, io sono morto, lei è morta, e presto potrebbe toccare a tutti gli altri. Non ho più una mente per trovare una spiegazione, non un cuore per rammaricarmi, sono soltanto un punto di vista in movimento, un'inquadratura sul protagonista che si limita a vedere con freddo sguardo di vetro.
Arranco lungo il fianco di una collinetta di sabbia, cado e mi rialzo, raggiungo la vetta e cado ancora, verso il basso, rotolando e spezzandomi un braccio. Gli inseguitori non badano all'ostacolo, non vi passano sopra né lo attraversano, piuttosto è come se davanti a loro non esistesse affatto. Vedo la rete di recinzione davanti a me e produco un ulteriore sforzo per raggiungerla, anche se non credo che sarò capace di arrampicarmi con i piedi in quelle condizioni ed un braccio penzolante. Poco male, perché essi mi sono addosso e lanciano ululati di trionfo.
Ho idea che non proverei dolore neanche se mi trovassi ancora nel mio corpo, perché la loro furia è tale che finisce tutto molto in fretta pur nella lentezza di questa strana dimensione. Rumore di tela strappata anticipa l'ascesa di artistici schizzi di sangue, eleganti formazioni di corallo che mandano bagliori nel buio, poi scoppi come di nodi nel fuoco d'un camino testimoniano delle ossa che si spezzano una dopo l'altra.
Dura poco eppure vedo tutto, vedo e tuttavia non sento. Per un istante penso che prenderanno anche me, me in questa forma incorporea, intendo, poiché uno di essi si volta e mi fissa e ringhia. Non accade, l'oscurità si intensifica e poi si spegne, un breve flash mi mostra a ritroso ciò che già ho vissuto e visto, torno a fissare me stesso, in piedi davanti allo specchio del bagno, solo che non mi trovo di fronte allo specchio, bensì di lato. Devo proprio aver scoperchiato l'inferno, ne sono sempre più convinto, perché mi accingo a rivivere il giorno della mia morte ancora una volta, e una volta e una volta.
L'inferno è ripetizione, diceva un tale. Non posso proprio dargli torto.
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0 recensioni:
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- Lo so che sai chi è il tale, Robi, e a quel tale fischiano le orecchie ogni volta che scrivo qualcosa, perché adoro citarlo per il mio gusto e quello di chi, come te, coglie certe citazioni. Grazie mille di aver letto anche questo racconto e lieto che ti sia piaciuto. Farò in modo che l'attesa non sia vana!!
- "L'inferno è ripetizione, diceva un tale" ed io me lo ricordo, il tale.
Scritto bene, senza dubbio.
Attenderemo che la tua pioggia di impegni si plachi affinchè tu riesca a scrivere il seguito, e noi a leggerlo.
Ciao ciao ciao!
- Grazie, Stefano, il tuo giudizio ha un certo peso, come sai, e quindi è apprezzatissimo. Temo, ahimé, che il resto dovrà aspettare un bel pezzo, una pioggia di impegni mi sta martellando, ma l'attesa rende le cose migliori... almeno spero!!
- Ho visto solo ora questo tuo racconto!!! Prima parte davvero coinvolgente, scorrevole ed incredibilmente precisa nei particolari... attendo la seconda.
Hai ragione, la fine è solo l'inizio oppure, (mi viene in mente questa citazione), "la morte è soltanto il principio".
- La fine, a volte, è solo l'inizio, Guido, e l'inferno è ripetizione... Grazie, a presto per il seguito!!
- di per sè questo racconto può definirsi autoconclusivo, ma il titolo parla chiaro e mi incuriosisce davvero tanto. Bravo Vincenzo, atmosfere cupe, una corsa frenetica e forse qualche descrizione un po' troppo artistica, ma va bene lo stesso. Non vedo l'ora di leggere la seconda parte. piaciuta!
Guido
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