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Radiografia
Era stata una giornata frenetica come sempre, iniziata con la solita indolenza, come sempre, che si stava concludendo lasciando Paolo senza più parole, senza più pensieri, in un luogo di nessuno in cui tutto perde senso e ragione.
Paolo era un uomo con più di cinquant'anni al suo carniere, che a causa di varie, sfortunate vicissitudini, aveva visto morire la propria piccola attività artigianale come molti altri, in quell'"annus horribilis" che era stato il 2009 in Italia. Dopo molte peregrinazioni, piuttosto che cedere alla tentazione di ricorrere ad uno strozzino per tentare un recupero impossibile della propria sufficienza economica, aveva deciso di arrendersi alle avversità coma fa un naufrago dopo giorni di tempesta in mare aperto: cedendo per sfinimento.
Da quel momento, come tanti disoccupati, aveva svolto saltuariamente umili lavori non certo remunerativi e dignitosi abbastanza per un uomo della sua età, che aveva anche una famiglia numerosa.
Era infatti sposato, da un tempo che gli pareva infinito, con una donna piccola e secca, anche lei sulla cinquantina, aspra e scostante, dal carattere tutt'altro che mansueto, che gli aveva dato quattro figli maschi, ormai grandi, dall'umore aspro e scostante, tale e quale la madre. Era una storia comune a molti meridionali, la sua: il percorso di un ragazzo che nel bel mezzo della propria gioventù, si ritrova interrotto per imprudenza e conoscenza a dir poco approssimativa della sessualità. Obbligato ad assolvere alla responsabilità di una paternità riparando con un matrimonio. Lei era carina, minuta, sensuale, ma certamente non era l'Amore e comunque non ciò che Paolo si aspettava dalla vita a ventitre anni e al quarto anno di scienze politiche. C'era la militanza, la musica, i libri, i viaggi e la sua naturale capacità di capire le donne, esclusa quella che aveva sposato. Era sensibile e delicato, sapeva far leva su ciò che il sesso femminile apprezza. Era timido quanto basta per suscitare tenerezza e simpatia e poi era sempre sorridente e sapeva ascoltare. Inoltre, nonostante il femminismo e il fatto che le donne rivendicassero parità a tutti i costi, lui continuava a rimanere un gentiluomo. Cedeva sempre il passo ad una ragazza, pagava sempre lui nei bar o nelle pizzerie e regalava fiori o piccoli oggetti inutili, solo perché consapevole del piacere che sapeva di leggere negli occhi di colei che, sorpresa, accettava il dono. Ed era proprio così: un piccolo presente, soprattutto se inaspettato, faceva breccia nel cuore di ogni donna. E tutto questo era naturale in lui, non era una costrizione o un piano studiato. Ma da quando era sposato, aveva deciso di essere fedele. Il tempo, trascorso, però, per tutto il resto, non ne aveva mutato le abitudini e trovava intollerabile che certa gente credesse fuori moda la buona educazione. Si ostinava a salutare quando entrava in un pubblico locale e quando ne usciva, sebbene si sentisse frustrato dal fatto che pochi, sempre meno, rispondessero al saluto. E al contrario delle maggior parte dei suoi incivili conterranei, non sporcava le strade con cartacce o cicche. Raccoglieva tutto nelle tasche che svuotava al rientro a casa,
Dopo un periodo di vaghi lavori, aveva trovato sistemazione in un distributore di benzina nel quale si occupava, insieme ad un altro paio di operai, dei rifornimenti di carburante. Era l'attività di un suo cugino più fortunato, che per non lasciarlo in strada, lo aveva accolto, assumendolo come benzinaio.
"Io vado", aveva detto alla moglie, quel giorno, mentre lei era ancora nel letto. Come sempre gli aveva farfugliato qualcosa di acuminato che lui aveva intuito dal tono e ringraziava di non aver capito nella sostanza, ed era uscito. Quello spiacevole, abituale arrivederci, non era che un'ombra passeggera. Eppure di tanto in tanto tornava in lui l'amarezza della vita mal riuscita, quando lei gli rinfacciava con violenza di essere un fallito. Allora gli saliva da dentro una rabbia impotente e il desiderio di scappare, di prendere il primo treno e andare via senza destinazione, lontano da tutto quel risentimento. Ma quella mattina era fermamente deciso a far scivolare ogni evento spiacevole della giornata che stava per cominciare. In macchina, "Io, chiara e lo scuro" lo distraeva dalla pena del lavoro che stava per affrontare ancora un giorno.
"Oggi parleremo del tradimento chiedendoci se è più giusto confessarlo al proprio partner o tacerlo e perché?", diceva con voce briosa la presentatrice del programma radiofonico. Poi, prima di aprire la discussione agli ascoltatori, lanciava il primo brano in scaletta. Aretha Franklin cantava con voce intensa e sabbiosa da nera: Respect, nella prima versione del sessantasette. E Paolo, ricordando con nostalgia le tensioni degli anni settanta, difficili per la nazione e forse anche per lui, giovane sovversivo, cantava a squarcia gola in duetto con Aretha, infinitamente più brava e intonata. La musica si spegneva sulla telefonata di un ascoltatore bolognese che iniziava il suo discorso confidenziale:
"Ho perso mia moglie da un anno e dopo la sua morte, attraverso le sue carte e il suo telefonino ho scoperto che aveva una storia parallela al nostro matrimonio, che durava da tempo, con un altro uomo. Non so chi sia e non intendo scoprirlo, ma so che questa delusione nei confronti di una donna che amavo ed amo, alla quale sono sempre stato fedele, mi ha distrutto e paradossalmente mi ha anche aiutato a superare il lutto, mostrandomi una doppia personalità che non conoscevo e non immaginavo in lei."
Paolo pensava a quella intima dichiarazione di uno sconosciuto e alla canzone che poco prima parlava di rispetto: chi fra lui e sua moglie mancava maggiormente di rispetto all'altro? Lei che lo detestava o lui che aveva ceduto da un po' di tempo al desiderio di essere amato?
A chi gli chiedeva come mai non divorziasse, rispondeva laconicamente con un proverbio dei tempi dell'università:
" So' tutti froci cor culo dell'artri!"
Aveva parcheggiato e preso un caffè nel bar vicino al lavoro mentre si preparava alla lunga giornata, col pensiero persistente di dover ritirare il risultato di certe analisi che gli aveva ordinato il medico curante, nello studio in cui aveva ritrovato una sua vecchia fiamma: una ragazza incontrata e conosciuta quando ancora studiava a Roma che, al contrario di Paolo, si era laureata con lode ed era un'affermata professionista biologa. Con lei aveva avuto una storia durata poco, il tempo di accorgersi che alcuni sbagli commessi per leggerezza, si pagano con un brusco cambio di rotta nella propria esistenza. Ma era stata molto bella e intensa, tanto che, a distanza di anni, non fu difficile riallacciare un rapporto, anche se solo di amicizia. E l'amicizia rinnovata era durata poco, il tempo di un paio di settimane. Poi, lasciandole un mazzetto di violette e un bigliettino di buongiorno sotto al tergicristalli dell'auto, erano tornati ad essere amanti. Lei era rimasta incantata dal fatto che a distanza di molto, lui ricordasse ancora che quei fiori piccoli e singolarmente profumati, erano i suoi preferiti; così lo aveva chiamato sul telefonino mentre andava al lavoro rileggendo il bigliettino che diceva:
"Porta pace al mio cuore che in attesa, conta gli attimi, come piccoli infiniti, fino a che tu mi fai luce"
Non ce l'aveva fatta a resistere ai suoi grandi occhiali che gli scivolavano in continuazione e che lui tirava su con un piccolo, deciso gesto dell'indice sul naso breve e un po' tozzo, alla sua mole da gigante, alla sua innata timidezza così spropositata in quel corpo grande e un po' sgraziato. Si erano abbracciati, nella macchina di lei, sotto al sole vigoroso di giugno, mentre Paolo non sapeva come reggere gli occhiali che ininterrottamente venivano giù insieme alle innumerevoli gocce di sudore. Lo avevano fatto senza parlarsi. Erano rimasti a lungo in quel modo, a dispetto del caldo intenso. Era come se stessero ritrovando il calore umano perduto in tutti quegli anni distanti, in cui le loro vite avevano imboccato percorsi diversi e in parte asimmetrici.
Così, non le analisi ma vedere lei, era il motivo della caparbietà nel tener lontano da quella giornata ogni disappunto.
Le ore erano trascorse lente ma dense e Paolo fu sul punto di farsi prendere dall'ira, quando uno dei clienti, presentandosi con una Porsche carrera 4S, distinto ma solo negli abiti, gli aveva detto con fare arrogante e ottuso:
"Oi co', fammicci cinquanta euri e movati, ca tiagnu a cchi ffà."
Non valeva la pena di rovinare tutto.
Alle sette e dieci di sera era già in macchina pronto a raggiungere il laboratorio. Dopo una breve ricerca per il parcheggio, si era avvicinato al portone, fischiettando ancora la canzone del mattino ascoltata in radio, pensando che una rampa di scale lo separava ormai da quella donna profumata e accogliente.
Giunto a destinazione, aveva varcato la soglia dell'imponente porta socchiusa, sulla quale brillava una elegante targhetta in ottone piena di titoli. Era entrato chiedendo sommessamente: "Permesso?"
e al banco di accoglienza aveva chiesto ad una distinta impiegata se ci fosse ancora la dottoressa.
" Certamente, signor Filice. La riceverà non appena avrà finito con il signore che sta ancora parlandole nel suo studio. La prego, si accomodi nell'anticamera"
"La ringrazio molto signora"
Si era avviato nell'anticamera cosparsa di delicati punti luce, perfettamente pulita, ornata da piante rigogliose e comodi divani in pelle bianca.
La ricchezza era quasi respirabile in quell'elegante, enorme appartamento. Paolo si sentiva a disagio nella sua vecchia divisa da benzinaio, un po' consunta e sporca. Si sentiva inappropriato a quell'ambiente, come un elefante in un negozio di cristalli. Non aveva osato sedersi e poco dopo la aveva vista arrivare con un sorriso a metà, scusandosi per averlo fatto attendere. Era vestita in maniera sobria e raffinata, anche se lui pensava da sempre che qualsiasi cosa, anche uno straccio, poteva diventare un capo d'alta moda addosso a lei che era di una grazia e di un'eleganza innata.
Lo aveva fatto accomodare nel suo studio pieno di carte, più sontuoso che l'anticamera e gli aveva porto, senza una parola, le analisi. Poi, mentre lui la ammirava sorridendo, lei aveva detto con voce piatta, neutra:
"Le abbiamo ripetute tre volte, ma il risultato è stato sempre lo stesso. Mi dispiace."
Improvvisamente era scoppiata a piangere.
Lui l'aveva guardata inebetito, poi aveva osservato i risultati. Finalmente aveva capito.
Si era alzato. Si era diretto alla porta. Senza parlare. Era sceso in strada. Pioveva. Era andato a sedersi su una vicina panchina incurante dell'acqua che scendeva scrosciando.
Avrebbe forse dovuto riflettere sulla sua vita piatta e ignorante, pensare che non era stata poi così male fino a quel punto, mentre tutto quell'umano frastuono e quella frenesia non erano interessati minimamente al suo ottundimento e alla sua monolitica impotenza. Invece rimaneva seduto su una panchina, senza protezione alcuna, esposto alla pioggia. Immobile. I capelli gocciolanti e gli occhiali opachi di acqua che deformavano ogni visione. La tuta da benzinaio lisa e timidamente sporca. In mezzo ai passanti che da sotto ai loro ombrelli colorati neppure lo vedevano. A ripetere una frase monocromatica e martellante, una frase letta qualche giorno prima su un giornale anonimo che lo aveva molto divertito, perduta tra i molti pensieri e apparentemente dimenticata nei suoi giorni uguali e distratti:
"La sua radiografia è pessima ma la possiamo ritoccare."
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0 recensioni:
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- Una narrazione ben stilata dalla lettura scorrevole.. bravo...
- grazie Domenico, anche per l'amicizia, e buona giornata. maria
- Bellissimo stile narrativo, degno di un vero scrittore: scorrevole e coinvolgente, senza essere per nulla banale. È proprio lo stile che amo leggere! Complimentissimi!
Anonimo il 14/08/2010 21:05
Bel racconto, Maria; di nuovo la tua abilità nel raccontare e nella costruzione del personaggio... Ci hai accompagnati nel suo vissuto, immerso in un ambiente che gli è alieno poi... inizia a Vivere e, quasi contemporaneamente, incontra la Fine.
È difficile liberarsi dal senso di angoscia che trasmette l'amaro finale.
- Il racconto mi è piaciuto molto. Attuale in ogni sequenza, in questo periodo di crisi di valori, di lavoro. Proprio una radiografia della società.
Anonimo il 06/06/2010 14:35
Eccomi, in ritardo per una lunga assenza... bel racconto, Maria, scritto molto bene, come sempre, ma in questo caso con una vicenda che commuove, almeno a me ha fatto quell'effetto. Il verismo che ti contraddistingue qui lascia spazio anche all'introspezione ed all'analisi... sarebbe interessante per uno come me che scrive solo racconti autobiografici sapere come nasce un racconto con questo finale, crudele ma realista. Nel senso che mi incuriosisce sapere se è completamente inventato o è una storia vera, almeno in parte. Ciao e... complimenti. Bravissima.
Anonimo il 31/05/2010 20:01
Concordo con Guido.
Ottimo lavoro. Finale a sorpresa 5 stelle
- Bravissima Maria, scrivi molto bene, senza perderti in fronzoli. La storia che hai raccontato è molto bene, il protagonista da modo di pensare al lettore. Ci sono molti spunti su cui riflettere, l'amore, il tradimento, la crisi, i rapporti di coppia, la passione e infine la sorpresa (in parte svelata dal titolo ) finale. Complimenti Maria.
Guido
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