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Incontro ravvicinato 2
Giovedì, ventisei giugno. È da quando mi sono svegliato stamattina che questa data continua a torturarmi la mente, mi dice qualcosa ma che sia dannato se ricordo cosa. Spero che non sia qualche appuntamento di lavoro, non vorrei fare magre figure.
È mentre apro la porta dello studio che un improvviso squarcio nella mente mi fa ricordare che devo andare alla azienda di Giuliani per il controllo semestrale della porcilaia, un'operazione che viene fatta due volte l'anno quando, svuotata dai maiali cresciuti, questa va prima ripulita e poi disinfettata in attesa di essere riempita con i maialini per il secondo ciclo. Giuliani è proprietario della più grande azienda agricola di Montepiano e i suoi interessi spaziano dalla semplice agricoltura alla produzione e imbottigliamento di olio d'olivo e vino Aglianico. Possiede inoltre un allevamento di oltre cento mucche, un altro di circa duemila ovini e un altro ancora di milleduecento maiali, tutti convenzionati con la nostra regione e, per questo motivo, è sotto il mio diretto controllo in quanto veterinario provinciale.
L'azienda è ovviamente sparpagliata su circa un migliaio di ettari e i vari allevamenti sono distanti l'uno dall'altro. Il più lontano è proprio quello dei maiali, a circa otto chilometri dal paese e per arrivarci c'è una sola strada in terra battuta che m'impone di usare il mio vecchio Samurai, leggero e inarrestabile.
Mi godo il viaggio tra il vento che mi scompiglia i capelli, prima di partire l'ho scappottato, e proseguo distraendomi ad osservare la natura in pieno rigoglio che mi circonda. Ad un tratto mi fermo, sul ciglio della strada vedo un gelso rosso con i frutti maturi di cui molti già disseminati per terra. Mi viene voglia di raccoglierli ma desisto perché non sono attrezzato per farlo e non intendo affatto sporcarmi i vestiti con il succo rosso vermiglio, difficile poi da togliersi. Ma nulla mi impedisce di osservare bramoso la pianta. Lo sguardo oltrepassa l'albero per cadere su una stupenda distesa gialla sottostante, e un campo di grano maturo pronto per la mietitura. Occupa per intero un piccolo pianoro di una trentina di ettari e le spighe belle alte mosse dal vento lo fanno somigliare al movimento delle onde del mare. Uno spettacolo stupendo, "che bella la natura!" mi sorprendo a pensare, decido di fermarmi al ritorno, tra un ora circa, non rinuncio per nulla ai gelsi.
Giuliani mi accoglie gioioso e sollevato, per un po' ha temuto che mi fossi dimenticato, quando dopo le nove non mi ha visto arrivare il suo timore stava per diventare certezza, poi ha visto da lontano il mio vecchio trabiccolo e si è rasserenato. Non arrivando ancora, dal gelso mancano solo due chilometri, ha pensato che fossi rimasto in panne. Lo rassicuro raccontandogli del gelso e lui mi promette che provvederà in qualche modo.
Espletiamo velocemente la routine, in fondo si tratta di ispezionare i tre ampi locali con le corvee esterne e controllare che i canali di distribuzione di cibo e acqua siano funzionali e puliti, poi compilare alcuni modelli, firmarli e sottoscriverli, rilasciarne un paio di copie all'allevatore, di cui una da esibire al funzionario che provvederà a portare i maialini dal centro di svezzamento. Tutto qui, tempo impiegato mezz'ora circa, anche perché l'azienda Giuliani è una delle più serie e meticolose che conosca.
Prima di ripartire chiedo se può darmi un sacchetto per le immondizie, uno di quelli grandi di color nero che sono anche i più robusti. Mi chiede perplesso a cosa mi serva, "qualcosa di utile" gli rispondo sornione poi, quando me ne procura un paio, osserva come, con una forbice spuntata dal mio coltello multiuso, ritagliando tre semplici buchi lo trasformo in una specie di saio, quindi mi tolgo giacca e camicia e lo indosso, mi calza quasi a pennello. Divertito mi chiede cosa diavolo ho in mente di fare così trasformato, gli spiego che intendo fare incetta di gelsi sulla collina, ride di gusto scuotendo la testa poi mi consegna un grosso cesto di vimini e mi dice che se non voglio disturbarmi me ne farà pervenire una cassa intera. Declino l'offerta, non c'è gusto, farlo mi farà tornare ragazzino. Prima di partire, comunque, mi dona una cassetta colma di alcuni genuini prodotti della sua azienda. Gli dico che non occorre ma lui insiste, afferma che lo fa per rispetto e amicizia. Accetto, qualche salame, una dozzina di uova e un vacchino non ritengo siano una corruzione. Ci salutiamo cordialmente e mi rimetto in viaggio.
Due chilometri dopo, puntuale, mi fermo sul ciglio della strada a poca distanza dal gelso. Scendo dalla macchina e mi assesto il mio saio improvvisato, poi prendo il cesto e mi avvicino alla pianta, i gelsi sono davvero splendidi, pregustando quella leccornia allungo il braccio e con la mano sto per afferrare il primo frutto quando... Resto inebetito a guardare la visione che appare ai miei occhi, laggiù a un centinaio di metri, nel bel mezzo del campo di grano vi è disegnata un'immensa spirale circondata da quattro piccoli cerchi disposti come a delimitare un ideale quadrato. L'intero disegno occupa almeno uno spazio di cinque ettari dell'intero campo. Con il braccio sollevato resto folgorato a fissare quello che mi appare come un quadro della natura.
"Dio mio!, quando l'hanno fatto? Un'ora fa non c'era!!" anzi meno di un'ora e... per fare una cosa del genere, ammesso che sia possibile, non so quanto tempo ci voglia ma è da escludere un tempo così limitato. Ma chi poi ha potuto farlo, e come abbia fatto, o meglio abbiano perché non penso affatto sia opera di una sola persona. Dimentico i gelsi, osservo con attenzione quel disegno, è semplicemente perfetto, non vedo sbavature, straordinario! Con la coda degli occhi noto qualcosa alla mia sinistra, a circa venti metri da dove mi trovo, leggermente più in basso, su una prominenza rocciosa del pendio della collina c'è un persona, sta immobile rivolta verso il disegno, sembra in totale contemplazione.
Non faccio nulla per attirarne l'attenzione poi, dopo alcuni secondi cautamente, per non incespicare, mi dirigo verso di lui. Mentre mi avvicino noto nella sua sagoma un qualcosa di familiare, mi pare di aver già visto quella figura da qualche parte, non è alto e, più che robusto, mi sembra piuttosto grassoccio, come il corpo di un adolescente, il vento gli scompiglia i capelli, ed è l'unico segno di vita apparente che mostra. A un paio di metri da lui mi fermo e gli rivolgo la parola:
"Ehi, ragazzo, è da parecchio che stai qui, hai visto come l'hanno fatto?"
Nessuna risposta poi, lentamente si volta verso di me. Ho un gesto di stupore, lo riconosco, è passato solo un mese dal nostro incontro serale ma ora che rivedo il suo volto sorridente come allora, mi accorgo che sembra non sia passato nemmeno un istante.
"Ciao" mi dice semplicemente. "Ciao" gli rispondo serenamente. Non dico altro, come se la sua apparizione mi abbia svuotato di ogni energia. Mi riprendo, indico con la mano il campo come a chiedergli se ne sa qualcosa, lui accentua il sorriso, pare divertirsi, accenna di si con il capo. Con la sua afferra la mia mano attirandomi verso di sé, lo raggiungo e, come al nostro primo incontro, mi abbraccia. La sua testa mi sfiora appena il mento, mi chiedo quanti anni abbia, non è facile intuire l'età di un down. Mi sorride felice di avermi rincontrato, lo guardo teneramente e gli sfioro la guancia paffutella con le dita. Allora si discosta e mi guarda dall'alto in basso, il mio abbigliamento lo diverte e lo mostra con una risata spontanea. Rido anch'io, poi facendomi serio gli indico più esplicitamente il campo di grano. Senza scomporsi mi fa cenno di sedermi, lo faccio seguito da lui, ora siamo più o meno alla stessa altezza. Mi prende la mano e l'avvolge, come una perla nella conchiglia, tra le sue. Osservo le sue movenze con semplice curiosità poi, improvvisamente, qualcosa mi squarcia la mente.
Visioni di un mondo sconosciuto mi scorrono in rapida successione davanti agli occhi. Mi trovo tra migliaia di altre persone, indaffarate in normali attività diurne e, incredibile sono tutte down come lui, si muovono con estrema naturalezza, non faccio in tempo a fissare quelle immagini che già altre prendono il loro posto. Come un registratore che ritorna indietro così velocemente la storia scorre davanti ai miei occhi, infine si posa senza alcun assestamento su un quadretto di vita a me molto familiare. Vedo un uomo, alto e magro, con i capelli lunghi, vestito con un specie di saio simile al mio ma non di plastica, forse è lana, è seduto su un mucchio di pietre, parte di un muro a secco diroccato, ha le braccia larghe, in segno di invito. E numerose figure umane si dirigono verso di lui.
Un altro squarcio nella mente, la scena la riconosco, la vediamo dappertutto in migliaia di effigi. Nella mente si formula una frase "Fate che essi vengano a me". Mio Dio, non era ai bambini che Egli si rivolgeva ma a Loro! Li rivedo, tutti uguali, tutti somiglianti, tutti felici. Non me ne accorgo ma le lacrime scorrono sulle mie guance. Vedo un'altra scena, è ancora Lui, questa volta sembra ammonire:
"Beati gli ultimi che saranno i primi". Ed è ancora a Loro che si riferisce, quando parla dei deboli di spirito. La scoperta mi travolge i sentimenti, mi accorgo di tremare, ritorno al presente e sono solo. Egli non c'è più, sono anima solitaria su quello sperone di roccia.
"Dottore ma non doveva fare incetta di gelsi?" la voce di Giuliani mi scuote, come risvegliandomi da un profondo torpore mi guardo intorno, l'allevatore sta ritto vicino al gelso e perplesso mi guarda, teme che mi sia sentito male, me ne accorgo dal modo come mi guarda. Mi scuoto del tutto, alzandomi in piedi e gli dico di star bene.
"Piuttosto..." sto per chiedergli spiegazioni su quel disegno nel campo di grano e, sorpreso, mi blocco con le parole in gola. Nel campo sottostante non vi è nulla, solo il grano rigoglioso pronto per essere mietuto, dei disegni nessuna traccia. Ripiombo nella confusione mentale ma non oso dire nulla per non passare per pazzo. Borbotto qualcosa d'incomprensibile, anche a me stesso, raggiungo Giuliani e con le dita che battono sull'orologio gli dico che si è fatto tardi e la raccolta dei gelsi sarà per un'altra volta.
Egli mi guarda sorpreso e quasi con sospetto. Indicandomi il cesto mi dice: "E quelli chi li ha raccolti?"
Ecco, se avevo avuto un minimo dubbio di essermi sognato tutto, quel cesto, ricolmo di grossi gelsi, mi fa ricredere. Confuso non so come spiegarmi e, per fortuna, la sua dedizione mi viene incontro.
"Ah, dottore siete proprio un tipo imprevedibile, ma un gran simpaticone, vada, vada pure, le farò pervenire una cassetta intera di gelsi". Ridendo si allontana, "Ah questi giovani!" mormora, come se io a quarantacinque anni sia un giovanotto. Beh lui ne ha quasi settanta e può benissimo permetterselo.
Rimasto solo, risalgo in macchina e metto in moto pur avendo impresso nella mente quanto mi è misteriosamente successo. Mi avvio mentre una vocina nella mente mi sussurra: "Ci rivedremo!"
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