... Io camminavo lungo il corridoio del piano superiore del nostro istituto. Ossia, lungo una galleria, poiché su una parete c'erano delle finestre enormi, che davano sulla strada, mentre sull'altro lato si trovavano le classi di studio. Non ricordo dove mi stessi dirigendo e neanche il perché mi trovassi lì. Inoltre, quel corridoio era completamente deserto il ché mi fa discernere che le lezioni in quel momento stavano andando a tutta marcia. Soltanto all'altra estremità del corridoio stavano conversando due insegnanti, e ad una certa distanza da me, proprio davanti, andava a passo accelerato una ragazza.
Mai l'avrei memorizzato! Non aveva nulla di speciale, nulla di non usuale! Che c'era di strano se una persona si affrettava? Che c'era d'eccezionale se stava facendo tardi per qualche appuntamento?
Così, sbirciavo lo spazio del corridoio molto pigramente, quasi assentandomi con la mente. Poi la visione periferica notò come la ragazza si fermò, circa a metà della galleria, come bruscamente curvò verso la finestra, come l'aprì e lanciò uno sguardo verso il basso, come poi si arrampicò sul davanzale e saltò giù. Dopo io udii un colpo attutito e bagnato emesso dall'asfalto del marciapiede, e tutto si zitti.
Mi occorsero lunghi secondi per apprendere quello che accadde sotto i miei occhi. Il corpo non si muoveva, diventato una statua, mentre il cervello urlava freneticamente nel tentativo di sbloccare la ragione. E soltanto quando i miei occhi videro come entrambi gli insegnanti si lanciarono verso la finestra aperta, oramai vuota, avevo afferrato tutto...
No, non volevo avvicinarmi alla finestra. Mi ribellavo con tutte le mie forze. Diventai sorda e cieca per lo sforzo impiegato a non farlo. Ma i miei piedi inarrestabilmente si dirigevano verso la bocca spalancata, che aveva appena inghiottito una vita. E mi ci avvicinai prima che quei due uomini si fossero ripresi abbastanza per impedirmelo. Mai potrò scancellare dalla memoria questa vittoria della morte: il rosso sgargiante del sangue versatosi sul nero e bianco, a macchie, dell'asfalto, forse dovute all'orrore, forse alla neve. Era tutto qui, quel che era rimasto da una speranza sconosciuta...
Quando mi allontanai dalla finestra, intorno a me c'era già radunata una folla di gente. No, non una folla di gente, bensì di ombre, poiché aprivano le bocche ma senza emettere suoni. Inoltre, non avevano corpi, perché sono sicura di esserci passata attraverso, ma lentamente, molto lentamente. Mi ricordo bene lo squillare negli orecchi e il vuoto nella testa. Non avevo neanche un pensiero. E soltanto dopo essere uscita sulla strada, mi raggiunse il colpo sfrenato della paura e dell'orrore per quel che vidi.