racconti » Racconti brevi » Amici per la pelle
Amici per la pelle
Il mio nome è Nunzio e sono il figlio maggiore dell'ex farmacista di un piccolo paesino.
Oggi è mio fratello Vittorio ad aver preso il posto del babbo nella conduzione della farmacia, e forse in futuro lo sostituirà suo figlio Alessandro, ma è presto per dirlo, ha appena dieci anni
Immagino vi domanderete perché non sia toccato a me, il maggiore dei figli, assumere l'onere di proseguire nella professione di famiglia? (mio nonno fu il primo farmacista).
Semplicemente perché invece della facoltà di farmacia ho scelto di essere un sacerdote, e converrete con me che non sono più i tempi in cui sacerdoti e fratonzoli trafficavano con alambicchi, polverine e pomate per i geloni.
Non chiedetemi come o perché il figlio più indisciplinato di una famiglia medio borghese abbia potuto fare una simile scelta.
Di solito, quando me lo chiedono, non so cosa rispondere, a volte invece, mi limito a raccontare un episodio della mia vita, di quando avevo dodici anni, perché credo che tutto sia nato in quell'inizio di Giugno di tanti anni fa...
«... come vi ho già detto a quell'età ero un discolo con pochissima attitudine allo studio, ma che bene o male frequentava la seconda media e che un giorno, uscendo dalla scuola, vide un ragazzo della sua classe che stava tornando a casa portando sulle braccia tutti i suoi libri.
Osservandolo mi domandai «È proprio un tipo strano, chissà perché uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri, venti giorni prima della chiusura dell'anno scolastico? »
«Quel ragazzo non era mio amico, in classe era uno dei più taciturni, e per la verità non ero particolarmente attratto dal quel suo carattere schivo e riservato.
Come per tutti i sabati e le domeniche anche quella volta avevo pianificato ogni mia ora, tra l'altro quel sabato era il compleanno della mamma, però rimasi talmente scosso dall'espressione seria che notai sul suo volto, che indugiai più del normale osservandolo piuttosto a lungo, poi, com'era mia abitudine, scrollai le spalle e m'incamminai verso casa.
Persi qualche minuto per salutare alcuni amici con i quali mi sarei visto nel pomeriggio sul campo di calcio, e poi m'incamminai verso casa scoprendo di seguirlo ad un centinaio di metri.
Dopo un po' il pensiero di quel ragazzo fu sostituito da altri assilli, ma mentre camminavo vidi un gruppo di ragazzi che correvano inseguendosi e urlando come forsennati, senz'altro non l'avevano con lui, però improvvisamente gli furono addosso urtandolo e facendolo finire in terra assieme a tutti i libri che aveva tra le braccia.
I suoi libri volarono in tutte le direzioni, ne vidi qualcuno cadere nell'erba di un prato a qualche metro di distanza. Lui guardò disperato verso il prato e invece dovette vedere me.
Nei suoi occhi notai una terribile rassegnata tristezza, e incredibilmente quello sguardo mi rapì il cuore.
Senza pensarci su lo raggiunsi, e quando mi chinai per aiutarlo a raccoglier i libri vidi brillare alcune lacrime nei suoi occhi.
«Dai non prendertela» dissi «Quei ragazzi sicuramente stavano giocando. Ad ogni modo sarebbero da prendere a calci. »
«No... » rispose lui «è colpa mia, dovevo fare più attenzione... Grazie dell'aiuto! »
Quando ci alzammo osservai che sul suo viso ora c'era un grosso sorriso, uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine.
«Dove abiti? » chiesi,
«Un paio di isolati oltre casa tua» rispose lui tentando di bilanciare la pila di libri che aveva tra le braccia
«Danne un po' a me, ti do una mano» dissi spontaneamente
Parlammo per tutta la strada, e passo dopo passo lo accompagnai fin sotto la sua abitazione.
Quei pochi minuti che trascorremmo fianco a fianco, cambiarono totalmente il mio giudizio su di lui.
All'inizio mi sembrò un po' frenato, titubante all'apertura, ma poi si sbloccò mostrando d'essere un ragazzo molto simpatico. Prima di lasciarci gli chiesi se quel pomeriggio gli avesse fatto piacere fare una partita a pallone con i miei amici, e lui, dopo qualche attimo d'esitazione accettò.
«Si, mi farebbe piacere»
Incredibilmente trascorremmo assieme tutto il sabato pomeriggio. Lo invitai alla festicciola che avevamo preparato per il compleanno della mamma ed egli accolse l'invito senza farsi pregare.
In casa ebbi modo di conoscerlo meglio, ma poi mi fece sentire colpevole per averlo intenzionalmente ignorato per tutto l'anno scolastico. Seppi così che l'anno precedente aveva perso la mamma in un incidente stradale e che suo padre aveva preferito trasferirsi in campagna sperando che fosse meno arduo, per entrambi, superare il trauma della perdita.
Ci vedemmo anche la domenica mattina e nel pomeriggio venne da noi ad assistere alla partita in TV della nazionale, facendo più baccano di me, e vi assicuro che non era poco. Finì che più lo conoscevo più mi piaceva, così, come aveva saputo conquistare i miei amici e la mia famiglia, scoprii di avere un amico.
Arrivò il lunedì mattina, ed eccolo che torna a scuola con tutta la pila dei libri tra le braccia. Lo fermai e gli dissi:
«Amico mio finirai per farti dei muscoli da lottatore se continuerai a trasportate questa pila di libri ogni giorno! »
Lui rise e mi passo la metà dei libri.
Nei successivi quattro anni diventammo amici per la pelle.
Il tempo passò molto in fretta, ma la sua vicinanza corresse in modo determinante quei miei atteggiamenti da scavezzacollo e quando raggiungemmo l'adolescenza io ero quello più riflessivo e lui il più secchione.
Fu pressappoco a quell'età che cominciammo a pensare seriamente al dopo.
Lui scelse di frequentare l'accademia militare ed io invece, inspiegabilmente, sorprendendo tutti, ma non me, scelsi di proseguire gli studi in seminario.
Sapevamo che saremmo sempre rimasti amici e che la distanza non sarebbe stata un problema. Lui avrebbe avuto davanti a se una dura vita di studio e una prestigiosa carriera, mentre io, poco incline allo studio, mi sarei occupato di anime.
Durante il periodo di studi assieme lui era stato il secchione della classe e per questo l'avevo sempre preso in giro battezzandolo, in pubblico, la mia parte studiosa.
Non ci perdemmo mai di vista, passarono gli anni, io presi i voti sacerdotali e l'anno successivo lui si diplomò.
Un giorno suo padre mi chiese se avessi avuto piacere di andare con lui a Modena, alla cerimonia di consegna dei diplomi del suo corso.
Naturalmente accettai e andammo assieme a festeggiare con lui l'avvenimento.
Quella mattina osservai attentamente il mio amico, aveva un ottimo aspetto sebbene sembrasse un po' preoccupato e per fargli coraggio gli detti una pacca sulle spalle dicendo:
«Ehi, sta tranquillo, te la caverai alla grande! »
«Mi è stato assegnato l'incarico di salutare le famiglie, e sinceramente non so cosa dire»
«L'ispirazione ti verrà quando sarai sul palco, abbi fiducia» lo rincuorai con un sorriso
Lui mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) e sorrise mentre mi disse
«Grazie amico! Senza di te non so se ce l'avrei mai fatta»
Era un po' dimagrito, ma in quella sua divisa faceva un figurone. I suoi amici mi raccontarono che aveva qualcosa in più, e che le ragazze se ne erano accorte e allora pensai che sia lui che io eravamo nel gruppo dei pochi fortunati che avevano trovato le loro strade durante gli anni di studio.
Quando toccò a lui fare il suo saluto dal palco, iniziò il discorso schiarendosi la voce:
«In questo giorno si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a tenere duro in tutti questi anni di duro lavoro. I genitori, gli insegnanti, gli allenatori, ma più di tutti i nostri amici. Ebbene oggi sono qui per dire a tutti voi che avere un amico è il più bel regalo che un uomo possa farsi. »
Ci fu un'ovazione che dovette dargli il coraggio e lo spunto per continuare.
«Permettetemi di raccontarvi del mio amico... »
Lo guardai incredulo e in quell'istante sentii la mano di suo padre poggiarsi sulla mia spalla, e non appena cominciò a raccontare del giorno del nostro incontro il silenzio pervase la sala...
«... quel sabato, quando c'incontrammo, avevo pianificato di farla finita con il mio dolore... Non ero riuscito a superare lo stato di sofferenza fisica in cui mi aveva sprofondato la morte di mia madre... Avevo ripulito il mio armadietto a scuola, così che mio padre non avesse dovuto farlo dopo, e stavo portando a casa tutte le mie cose... »
Lui mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso, mentre io, sorpreso, me ne stavo li a guardarlo a bocca aperta.
«... credo che dovrò ringraziare per tutta la vita quel sacerdote seduto in sala nelle ultime file, perché è lui l'uomo di cui sto raccontandovi, il mio più caro amico. Lo conobbi a dodici anni e fu lui che mi salvò dal fare quel terribile gesto... Forse senza neppure saperlo, ma lui si sostituì al mio angelo... In fondo cosa sono gli amici se non gli angeli che ci sollevano in piedi quando le nostre ali hanno problemi nel ricordare come si vola. »
Mi tornò all'istante il ricordo di quel giorno e non ascoltai più nulla. A quelle rivelazioni udii soltanto il brusio della gente in sala. Il ragazzo più popolare dell'accademia aveva appena raccontato il suo momento di debolezza.
Mi volsi verso suo padre e lui mi guardava e mi sorrideva con lo stesso sorriso pieno di gratitudine.
Fino a quel momento non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso, fu allora che compresi, finalmente, che non si deve mai sottovalutate il potere delle nostre azioni, perché per qualche strana ragione, un piccolo gesto può cambiare la vita di una persona.
1234
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0