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Insomnia
Enrico cerca senza successo di trovare una posizione che gli consenta di addormentarsi. Guarda l'orologio. Le tre e quaranta.
Anche stanotte non se ne parla di dormire. Leggere? No. Un film? Per carità.
I pallini della tenda sono seicentosettantadue anzi seicentosessantasei se si contano anche quelli che dovevano essere presenti nell'angolo strappato. Fa anche piuttosto caldo e il contatto fra il corpo e il lenzuolo è sgradevolmente umido. Prova a voltarsi sul fianco ma sente anche così un insopportabile prurito dove la pelle tocca il lenzuolo.
E con questa fanno sette! Sette notti insonni.
Anche il capo se n'è accorto. Per forza, ieri ha caricato sul camion diretto a Roma sei colli che dovevano andare a Milano! Chi se ne frega di quello stronzo, pensa, ma adesso basta, mi vesto e faccio due passi tanto stare qui a contare i pallini della tenda o girovagare in strada è la stessa cosa.
Anche ieri e come l'altro ieri era finita così, meglio uscire che fare il ballo di San Vito fra le lenzuola.
Enrico accende la luce e si alza, si volta e abbassa lo sguardo un'ampia chiazza di sudore segna il lenzuolo al centro del letto.
Appena giunto in strada si ferma incerto, guarda l'orologio e la sua perplessità si acuisce, c'è qualcosa che non va. A Pontassieve ci saranno nella via principale a passeggiare almeno dodici persone, il doppio di ieri e già erano troppe rispetto alla norma. Le osserva meglio. Non hanno l'aria di andare al lavoro, di avere una qualche urgenza o essere particolarmente indaffarate. Sembrano passeggiare come fosse domenica pomeriggio. Mentre si guarda intorno inciampa in qualcosa
rischiando di cadere. Ma quando si deciderà il Comune a far sistemare il marciapiede, pensa.
Arriva all'angolo e vede che il Bar Sport è aperto. Decide di entrare, magari per una tisana. Ma che ci fa Andrea aperto a quest'ora di notte? La luce dell'insegna è spenta ma la serranda è alzata, strano. Conosce Andrea da anni e sa bene che non alza il bancone prima delle sette e mezzo neanche se l'Italia vince la Coppa del Mondo. Il Bar Sport infatti è probabilmente l'unico esercizio d'Italia che, sebbene non proponga niente di speciale, riesce a fare la fila fuori alla mattina.
Enrico si affaccia circospetto alla porta del bar per chiamare il proprietario ma, come nei sogni, resta con la bocca aperta senza riuscire a pronunciare una parola, poi lo intravede armeggiare dietro al bancone. Allora avanza deciso per entrare a chiedere spiegazioni ma si arresta di colpo sentendo uno schianto metallico tremendo. Resta un attimo perplesso e capisce che ha colpito violentemente la testa sulla serranda non completamente aperta. Per fortuna non si è fatto niente.
- Quel rintronato di Andrea! Ma poteva alzarla per bene la serranda? O che s'apre così un bar? È un esercizio pubblico, maremma sudicia! - pensa imbestialito.
Allora si muove verso il bancone e con la coda dell'occhio, nella penombra scorge una figura che avanza alla sua destra. Si arresta spaventato e guarda meglio. È lui stesso nello specchio alla parete fra i giornali e le cartoline.
- Scemo - Pensa.
Però nota perplesso che è in pigiama, non se ne era accorto, non si è vestito uscendo.
Nonostante la semioscurità nota che ha qualcosa sulla testa, si avvicina allo specchio per vedere meglio. Una profonda ferita segna la sua fronte nel punto in cui ha battuto nella serranda. Si sofferma un momento per capire la gravità dell'accaduto quando percepisce un movimento sulla sinistra, davanti alla macchinetta del caffè.
Andrea è appoggiato al bancone e lo guarda, non pare sorpreso più di tanto, la sua ferita quindi deve essere lieve. Il barista ha in mano una bottiglia di Nocino, nell'altra un bicchierino da liquore e tenta senza successo di fare centro. Una pozza di liquido scuro si allarga sul bancone, crea un rivolo lungo il bordo e cade gocciolando in terra dal lato del cliente.
Enrico vorrebbe dire ad Andrea che sta versando tutto quell'imbecille e manco se ne accorge. Insonnia anche lui? Ma un rumore alle sue spalle lo spinge a voltarsi.
Sulla parete e sul bancone balena la luce di una torcia, è entrato qualcuno nel bar. Mentre si volta verso la porta sente un rumore lacerante e con la coda dell'occhio vede il barista scartare leggermente di lato. Sposta lo sguardo su di lui.
Sembra un videogame. La testa di Andrea è un ammasso informe di carne e sangue che scivola giù lungo la spalla, in parte adagiandosi sul banco e in parte cadendo a terra con un rumore solido e liquido al tempo stesso. Enrico non riesce a staccare gli occhi da quella massa ributtante che si mescola al liquore sul bancone d'acciaio.
Non sa proprio come reagire, c'è pericolo, sente che dovrebbe fare qualcosa ma è immobilizzato. Automaticamente muove si piano e con un passo all'indietro arriva con la schiena allo specchio sulla parete.
Chi ha fatto il suo ingresso nel bar ha ucciso Andrea.
Sente che ha poche frazioni di secondo per decidere cosa fare. La testa in fiamme per la nevralgia implora pietà ma deve sforzarsi di essere lucido.
Prima che riesca a pensare qualcosa di sensato la sua attenzione è catturata da un nuovo movimento sulla porta del locale.
Sotto la serranda semialzata, con una torcia da carroattrezzi in mano c'è la commessina del forno della Miranda, quella nuova bona da morire che tutti ci hanno provato senza successo, e accanto a lei il signor Giuseppe, l'orologiaio storico di Pontassieve, un ottantenne in tuta mimetica e scarponi che impugna un fucile da caccia con la canna fumante. Un ghigno satanico dipinto in volto.
È lui che ha sparato ad Andrea. Ma sono tutti impazziti! Che deve fare?
Enrico cerca di passare in rassegna le indicazioni più insolite raccolte nella vita. I film americani sulla gente che impazzisce, tipo un giorno di ordinaria follia, oppure quell'altro con quell'attore famoso di cui non rammenta il titolo.
Cerca di ricordare come si deve reagire. con i pazzi. Non vanno contraddetti,. Si questo se lo ricorda, ma cazzo non è facile non contraddire uno che ha fatto saltare in aria un momento prima la testa di Andrea!
Cerca comunque di mantenere la calma.
Anzi ora si accorge del fatto che incredibilmente non l'hanno visto! Fra lui e loro si frappone l'espositore di cartoline. Se resta fermo così forse non lo vedono, riflette, almeno guadagna qualche minuto per decidere che fare e intanto magari capisce meglio che cazzo sta succedendo.
L'orologiaio è chiaramente impazzito e adesso si sporge sulla porta del bar, esplode altri due colpi verso l'esterno, poi urla qualcosa alla ragazza mentre convulsamente ricarica l'arma. Imbraccia una vecchia doppietta per cinghiali e quindi ha a disposizione solo due colpi per volta. Un particolare di cui tenere conto.
La biondina invece, che per inciso indossa una lingerie da notte a roselline mozzafiato, ha l'aria schizzata e si guarda intorno come se avesse perso qualcosa.
In una mano ha la torcia e nell'altra una roncola, un falcetto per l'erba di quelli che stanno sui camini delle case di campagna per celebrare la civiltà contadina ormai scomparsa.
Enrico se la ricorda bene quella tipa anche se non ha mai saputo il suo nome. Quando andava a comprare il pane se la mangiava con gli occhi, si avvicinava al banco profumato di farina e pronunciava la parola magica "Un filone di toscano...". Allora lei svelava un sorriso luminoso, piegava maliziosamente l'angolo della bocca e chiedeva "Duro o morbido?".
Maremma! Duro, durissimo ciccina, pensava lui, però gli usciva solo un "cotto giusto, grazie".
Adesso la stronzetta era li, a un passo da lui, mezza nuda con un capezzolo cha fa ciao ciao dalla spallina e una roncola in mano. Certo, la roncola in mano allontanava un poco i pensieri più torbidi e lasciava spazio all'inquietudine ma tutto non si può avere. Aggiungiamo per dovere di cronaca che le gocce di sangue che cadevano giù dalla lama contribuivano a dare alla biondina un aspetto poco incoraggiante in particolare quando Enrico, osservando meglio, rettificò essere le delicate roselline che ornavano la lingerie, semplici e poco allegri schizzi di sangue.
In ogni modo la tipa, eseguendo le indicazioni urlatele dall'orologiaio impazzito si precipita a tirare giù la serranda del bar dove cala immediatamente un buio pesto. Appena le pupille si sono abituate all'oscurità risulta una leggera visibilità. La poca luce rimasta filtra dalla porta aperta del bagno, dove una piccola parete in vetrocemento distribuisce i riverberi della luce di un lampione in strada. Le sagome dei due pazzi si muovono rapidissime nel negozio, bisbigliano qualcosa fra loro ma Enrico non riesce a captare cosa si dicono.
Potrebbe chiamare aiuto ma non ha cellulare, riflette, poi guarda verso il bancone dove dovrebbe esserci il telefono del bar. Nel buio intravede una sagoma chiara. Si! Pensa, deve essere quello. Era un Sirio della Telecom se ricorda bene e quindi dovrebbe essere bianco o grigio ma comunque chiaro.
Di nuovo una lama lancinante di dolore bianco gli trapassa la testa. La mancanza di sonno gli sta procurando un mal di testa micidiale. -Appena esco da questa situazione di merda - pensa - mi sparo tre bustine di Aulin.-
Adesso però deve raggiungere il telefono e chiamare aiuto. Certo, pensa, è il colmo. Nell'era dei cellulari per chiamare aiuto gli tocca aggrapparsi a un fisso, come nei film horror di serie B, quella merda che guardano i rintronati come suo fratello.
Enrico si sposta lentamente verso il telefono, dall'altro lato del bancone.
I due assassini sono entrambi voltati, occupatissimi a spostare scaffali e frigoriferi. Sembra che cerchino qualcosa che hanno perso. Lei ogni tanto caccia qualche gridolino isterico. L'uomo le intima il silenzio.
Enrico intanto ha quasi raggiunto il telefono. Sta pensando a come fare per non farsi scoprire mentre chiede aiuto quando lei, spostando un mobile e indietreggiando si avvicina arrivando ad appena un passo dall'uomo.
Quella schiena seminuda, liscia e palpitante è proprio sotto di lui. Sente il suo profumo e il calore della pelle, sa che è pericolosa ma la tentazione è troppo forte. Si avvicina silenzioso a quel collo profumato, è attratto irresistibilmente. Ha sotto di se una spallina calata macchiata di sangue, è terrorizzato ma non gliene importa nulla, la sensazione è fortissima. Sa che la pazza potrebbe in un attimo voltarsi e colpirlo con la roncola.
L'uomo abbassa le labbra fino alla sua spalla, apre la bocca d'istinto e morde quella tenera carne. Un sapore inebriante, un sapore di vita lo conquista. È come un orgasmo. La ragazza urla e si scosta ma lui non la sente.
Pensa solo a stringerla ancora per ritrovare quel contatto quando avverte un sibilo rapido e cade sul bancone.
Ha lo sguardo rivolto verso la donna, ma il suo angolo di visuale è innaturalmente spostato e scorge dietro la ragazza l'orologiaio che urla parole incomprensibili.
Adesso c'è una terza persona nel bar, forse era dietro di lui e non l'aveva vista. Si muove a passi lenti verso i due che hanno fatto qualche passo indietro. La ragazza urla con una mano stretta sulla spalla.
Enrico cerca di alzare la testa per vedere mettendosi dritto ma non ce la fa. La sua guancia è immersa in una poltiglia schifosa, frammenti di cervello del barista sguazzano nel liquore versato sul banco.
Il nuovo arrivato si muove lentamente verso i due pazzi. L'orologiaio alza la doppietta per esplodere un colpo al suo indirizzo ma lo manca perché il corpo si stava già afflosciando verso il pavimento. Solo adesso Enrico si rende conto con orrore che è privo di testa.
Quindi l'orologiaio avanza qualche passo. Adesso è proprio di fronte a lui e sta alzando la canna del fucile.
Anche la ragazza gli si avvicina, si tiene la spalla sanguinante, bestemmia e gli dà del porco schifoso. Adesso le canne della doppietta sono proprio davanti ai suoi occhi e un attimo prima che risuoni il boato e sia il nulla, riesce a sentire le ultime parole urlate dall'orologiaio.
"Questo cazzo di zombi cerca di mordere pure se ha solo la testa! Crepa bastardo!"
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