racconti » Racconti del mistero » Supercortemaggiore (prima parte)
Supercortemaggiore (prima parte)
Accadde nel primo pomeriggio del quinto giorno, il secondo dopo il grande diluvio. Per le striminzite esperienze di noi bambini di strada una pioggia come quella che si era abbattuta sul paese era paragonabile solo a un diluvio. In effetti non avevamo mai visto piovere così tanto e con tanta intensità, una pioggia torrenziale che aveva oscurato il cielo per tre giorni ininterrotti. Eppure era iniziata come una normale pioggia, e nemmeno tanto scrosciante, goccioline fitte, a volte a raffica secondo la direzione del vento, poi in meno di un'ora era aumentata d'intensità fino a diventare "iradiddio". Era iniziata verso le undici del mattino cogliendoci lontano dalle nostre case e costringendoci ad un'affannosa corsa per raggiungerle e dove, peraltro, ci arrivammo inzuppati fradici. Rimettemmo il naso all'aria aperta solo tre giorni dopo, pressappoco alla stessa ora, e per settantadue ore restammo rintanati con il viso appiccicato ai vetri delle finestre a guardare la pioggia. Per strada si venne in breve a formare un torrente in piena che trasportava dai rioni alti sassi, melma e quant'altro trovasse sul suo cammino.
"Gesù, quanta ce n'è!" esclamò mio fratello maggiore con gli occhi sgranati dallo stupore.
"Madonna mia, che paura mi mette" disse la mamma facendosi ripetutamente il segno della croce.
"speriamo che non succeda nulla" sussurrò il babbo con lo sguardo fisso rivolto a chissà quale lontano e triste ricordo.
Infine fece capolino una specie di nebbia causata dalla violenza della pioggia che sollevava da terra degli spruzzi così intensi da farli sembrare tale. In alcuni momenti di maggiore visibilità pulivo accuratamente i vetri dal vapore del respiro e scrutavo le case circostanti nella speranza di scorgere i volti dei compagni che immaginavo come me incollati ai propri vetri. Riuscii solo a intravedere Acquasanta per alcuni minuti sull'altro lato della strada e fu un'esplosione di grida eccitate, ben presto sedate dai genitori. Poi, di conseguenza, fu un continuo e incomprensibile gesticolio e buffa mimica finché ricalò la densa nebbia.
Occhiostorto, Ziamatuzza, Pezzinculo e Spinterogeno abitavano più lontano e non mi fu possibile vederli ma riuscivo a immaginare le loro espressioni distorte dai vetri e il comune stupore per quella interminabile pioggia.
Il secondo giorno andò via la corrente elettrica e restammo senza per ventiquattro ore. Finché fu giorno non ci detti alcun peso ma la notte provai per la prima volta cosa fosse la paura con i lampi che precedevano terrificanti tuoni e lo scroscio snervante della pioggia, costante e minaccioso. Durante la notte mi svegliai di soprassalto non so quante volte e mi riaddormentavo solo dopo essermi rassicurato, restando con il fiato sospeso per lunghi secondi, della confortante presenza di mio fratello nel suo lettino a pochi metri dal mio. Con sollievo mi addormentai definitivamente per svegliarmi ai primi chiarori dell'alba con l'orecchio teso a captare il rumore della pioggia.
* * *
Odiavo il suono della sua voce, mellifluo e insistente, odiavo il gesticolio con cui accompagnava le parole che emetteva, ed odiavo l'accattivante espressione del volto languido e melenso; insomma odiavo tutto di quell'uomo. Mentalmente non passava un secondo che non lo mandassi a quel paese e, ingoiando il rospo, ogni secondo mi sforzavo di mostrare gentilezza e accondiscendenza; era pure l'arcivescovo della nostra diocesi.
"architetto, - mi diceva al telefono - il suo progetto della nuova chiesa è una vera opera d'arte, imponente come struttura e armoniosa nelle forme, e il campanile poi, a forma di spirale, sembra innalzarsi in cielo slanciando l'anima in alto e piroettandola verso il Paradiso. Sì architetto, il suo progetto è quanto di meglio avessimo potuto desiderare".
Se Monsignore avesse invece potuto vedere l'espressione annoiata e scocciata che avevo in quel momento quanto meno sarebbe stato colto da seri dubbi circa la sacralità di quel momento. Anch'io nutrivo fondate perplessità che l'euforia trasmessami via cavo fosse realmente genuina e la accattivante omelia che mi stava propinando la diceva lunga sui veri scopi di quella telefonata. Prima o poi saremmo arrivati al nocciolo del discorso ovvero quando avremmo cominciato a parlare di parcelle e compensi. Nessuno mi avrebbe tolto dalla testa il pensiero che tutto quello spreco di aggettivi avrebbe di lì a poco portato dritto dritto a una precisa richiesta: applicare una notevole riduzione sulla parcella da esibire alla Curia Vescovile. Ne ero arcisicuro perché avevo già avuto modo di assicurarmi della totale ignoranza dell'arcivescovo in materia di architettura e/o anche di semplice edilizia. In quanto all'arte non riusciva a distinguere un Michelangelo da un Ricasso, figuriamoci poi...
Quella volta invece mi sbagliai, l'obbiettivo di Sua Eminenza non era economico ma di ben altra natura e quando lo rivelò mi lasciò di stucco.
"vede, caro architetto, per noi uomini di chiesa il mantenimento di questa usanza è lo sprono ai nostri confratelli servi di Dio a servire il Signore con totale dedizione. Riuscire a ottenere il riposo eterno nella sacralità del tempio che con amore e abnegazione si è servito per una vita intera rafforzerà l'impegno di donarci totalmente a nostro Signore."
"ma Eminenza, mi state chiedendo di destinare una parte della chiesa a sepolcro per i sacerdoti?"
"no, no, architetto, solo per i meritevoli di tanto onore, affinché siano di esempio per tutti gli altri e di eterno ricordo per i fedeli."
"ma questo significa, Eminenza, aumentare le spese previste, in pratica si dovrebbe, almeno in forma ridotta, rifinire un livello sotterraneo e, poi, mi sembra una.. una.. formalità ormai fuori dal tempo questa vostra richiesta."
"no, no, caro architetto, si sbaglia!, questa usanza è consueta tra le nostre parrocchie e se ne renderà conto quando effettuerà il sopralluogo alla vecchia chiesa, prima dell'abbattimento"
"cioè, cosa mi devo aspettare di vedere?"
"eh! eh! eh! Vedrà, vedrà, lei finora è stato agevolato dal fatto che la sua opera prenderà il posto della vecchia chiesa perciò non le è stato necessario dover ispezionare a fondo il sito, ma deve sapere che sottostante il tabernacolo vi è un piccolo sepolcro."
Quella poi! È pur vero che l'arcivescovo aveva ragione, in pratica il mio progetto prevedeva la demolizione della quattrocentesca chiesa, ormai fatiscente e pericolante e la costruzione di una moderna struttura sullo stesso sito e, pertanto, mi era stata risparmiata la fase di studio tipicamente topografica e anche le analisi del terreno di sedime erano state effettuate con campioni prelevati nelle immediate vicinanze. In sintesi non avevo ritenuto necessario effettuare un approfondito sopralluogo alla struttura da abbattere. Lo avrei fatto in seguito con l'impresa appaltatrice per adottare le necessarie precauzioni circa l'abbattimento. Questo ufficialmente, ma in tutta sincerità nella speranza di recuperare qualcosa di prezioso...
Accontentai il prelato non prima di essermi assicurato la copertura finanziaria per i lavori in più da eseguire e, cosa per me ancor più importante, che la parcella non subisse ritocchi. In effetti quel tasto era stato toccato nel colloquio telefonico ma ero riuscito a superare indenne l'ostacolo promettendo che non avrei redatto alcuna variante suppletiva al progetto originario; come si dice "il gioco valeva la candela".
Ciò che mi impensieriva era il fatto che probabilmente la situazione che avrei trovato mi avrebbe impegnato a rivedere i calcoli relativi alla fondazione sebbene, questo, fosse una prassi comune per tutti gli studi tecnici. Le sorprese nel nostro mestiere non mancano mai.
* * *
Ritrovarci all'aperto fu una festa, abbracci e grida gioiose si sprecavano. Ognuno voleva il sopravvento verbale per raccontare agli altri le proprie impressioni sulla pioggia appena smessa. Poi ci ponemmo il problema di come avremmo impegnato il pomeriggio. Non vi era alcun timore che la pioggia ritornasse perché il sole, dapprima timidamente, poi con esuberante convinzione aveva fugato ogni timore in proposito, perciò la giornata volgeva al bello. Il vero problema era il terreno inzuppato fradicio che non ci permetteva alcun gioco, anche quello di andarci a rintanare nel nostro fortino.
Abitavamo in periferia ma a poca distanza dalla vecchia e pericolante chiesa. Non molto lontano, in aperta campagna vi era una strana roccia a forma di testa d'aquila, che sembrava stesse in eterno bilico. Probabilmente quella era la parte che sporgeva mentre il corpo principale era ben interrato. Comunque proprio in quella che appariva come la gola dell'aquila vi era una piccola rientranza che noi avevamo accuratamente ripulito da frasche, erbacce e rovi, e assestandoci intorno pietre raccolte qua e là ne avevamo fatto una specie di fortino. Di giorno era il nostro rifugio ma di notte...
Calcolammo che per un paio di giorni il rifugio sarebbe stato inservibile per via del fango che lo circondava e non ci restò che rispolverare qualche vecchio gioco nei dintorni del lavatoio pubblico di acqua sorgiva che in pratica faceva da fulcro al rione. Intorno ad esso vi era uno spazio notevole racchiuso da una muratura in pietrame a secco che faceva anche da contenimento al terreno soprastante. Più in alto, a circa un centinaio di metri di distanza, vi era la vecchia chiesa abbandonata raggiungibile solo tramite un sentiero irto e tortuoso.
Dopo un lungo conciliabolo Ziamatuzza propose di tirar fuori la nostra raccolta di figurine e giocarcele a "staccia" dietro il lavatoio e stavamo già per metterlo in pratica quando fummo richiamati a gran voce per il pranzo. Pezzainculo e Spinterogeno, che erano sempre i primi a finire di mangiare si impegnarono a farci trovare le pietre larghe e piatte a forma discoidale (le cosiddette stacce) che avremmo usato per i lanci, poi di corsa a casa per non sentire i rimproveri che puntualmente ci attendevano e ci annoiavano.
* * *
Lavorai fino a tarda sera sulla struttura di fondazione rifacendone al computer i calcoli in previsione di una maggiore profondità. Al termine del lavoro una strana sensazione mi costrinse a rimanere nello studio. Ma non ero ne agitato ne preoccupato. Fui preso dal desiderio di rivedere tutti i grafici, in particolare, l'ultima tavola, quella della prospettiva generale. Sua eminenza aveva ragione, era un progetto splendido. La nuova chiesa occupava un'area di circa duemila metri quadri e il campanile, alto quasi venti metri, spiccava per quella sua forma insolita a spirale. Vedendolo, poi, sotto una certa ottica sembrava un gigantesco cavatappi. Architettonicamente era un progetto insolito ma attraente, un bel progetto insomma. Se almeno fosse stata una struttura più imponente allora sì che sarebbe passata alla storia! Sospirando fantasticai parecchio ad immaginare un tempio di quelle dimensioni e di quella forma in una grande metropoli; poi, con malcelata delusione misi a posto i grafici e spensi la luce. Peccato, mi sarei dovuto accontentare di una chiesetta!
* * *
Pezzainculo e Spinterogeno avevano fatto un superbo lavoro trovando una dozzina di stacce grandi abbastanza da essere maneggiate. Scegliere il posto idoneo per poter giocare fu semplicissimo, avevamo tutto lo spazio che volevamo, più difficile fu trovare il "sercolo", ovvero il mattoncino che andava messo in piedi da riparo alle figurine.
In pratica il gioco era simile a quello delle biglie, il sercolo fungeva da pallino e le figurine la posta in gioco. Consisteva infatti nella sistemazione del sercolo a protezione delle figurine e noi altri a una ventina di passi di distanza a lanciare a turno le stacce contro il sercolo. Vinceva le figurine chi, dopo i due lanci previsti, si fosse avvicinato di più al sercolo. Era un gioco che si poteva fare singoli e a squadre. Essendo in sei lo facevamo sempre a squadre la cui composizione si effettuava a sorteggio. Bestemmiavano sempre coloro che capitavano con Occhiostorto il cui soprannome gli era stato appioppato proprio in una simile circostanza. Di solito era il primo a tirare e poi andasse come doveva andare. In pratica con lui in squadra si giocava zoppi, ovvero tre contro due, ma avrebbe comunque giocato lo stesso. Ci piazzavamo di spalle al muro in pietra per avere più spazio a disposizione e annullando il rischio di lanciare le stacce contro di esso. Il gioco diventava più interessante e divertente quando avevamo spazio illimitato per i lanci.
Esauriti tutti i lanci ci eravamo avvicinati a controllare le distanze che separavano le stacce dal sercolo e ci stavamo apprestando alla solita discussione sul filo dei centimetri quando un improvviso boato alle nostre spalle ci fece voltare di scatto e con nostra immensa meraviglia vedemmo una parte del muro in pietra crollata sotto il peso del soprastante terreno inzuppato. Una sfilza di esclamazioni accompagnò quell'evento mentre eccitati guardavamo increduli la piccola frana. Il pensiero che pochi secondi prima il crollo fossimo proprio in quel punto non ci sfiorò nemmeno. Dimentichi del gioco stavamo inconsciamente avvicinandoci alle rovine quando da chissà dove e chissà come da esse sbucò uno strano animaletto tutto nero e irsuto che fatti pochi passi di corsa crollò al suolo stecchito. Incapaci di articolare qualche parola circondammo quello strano essere nauseati dalla visione che ci appariva. Aveva le dimensioni di un cane di piccola taglia, le orecchie erano proprio quelle di un cane, il muso, occhi e coda da gatto ed aveva sei zampe. Ci guardammo l'un l'altro increduli e stupefatti incapaci di avvicinarci oltre. Il più lesto a reagire fu Spinterogeno che si mise a scrutare i dintorni alla ricerca di qualcosa, poi si lanciò a raccogliere un ramoscello e brandendolo si avvicinò alla carogna, con la punta cominciò a punzecchiarlo e non riscontrando alcuna reazione sentenziò: "è proprio morto stecchito!"
"Ehi, sembra il cane della Supercortemaggiore!" esclamò convulso Ziamatuzza che era il saggio del "gruppo".
"È vero -disse Occhiostorto piegando il capo da un lato per osservarlo meglio- è proprio lui".
"forse è scappato dalla benzina" osservai stralunato.
"ma va la, come faceva a liberarsi" obiettò Spinterogeno con estrema profondità di pensiero.
"faccio una corsa a controllare" affermò Pezzainculo, e senza attendere risposta si lanciò in una pazza corsa verso il lontano distributore.
"aspettiamo che torna" concluse Ziamatuzza accovacciandosi per terra e subito imitato da tutti. Pochi minuti dopo Pezzinculo ritornò di corsa e trafelato disse: "quello è ancora lì al suo posto".
"allora questo dev'essere il fratello" suggerii convinto.
"sì ma da dove è uscito fuori?" disse Ziamatuzza come al solito riflessivo. Ci guardammo sconsolati di non trovare alcuna risposta finchè Spinterogeno disse accigliato: "io l'ho visto uscire fuori dalle macerie - poi, colpito da una brillante riflessione continuò - e se ce ne fossero degli altri lì sotto?"
"è vero, hai ragione ce ne potrebbero essere degli altri" aggiunsi.
"allora diamoci da fare" ordinò Ziamatuzza dirigendosi verso il mucchio di rovine coperte di fango.
Come pazzi forsennati cominciammo a smuovere fango e pietre nella certezza di dover disseppellire altri strani animaletti, sicuramente parenti prossimi di Supecortemaggiore.
Improvvisamente una seconda frana ci fece balzare all'indietro, per nostra fortuna erano solo le pietre del mucchio che rotolavano verso il basso ma tanto bastò a consigliarci la prudenza. Dopo l'assestamento il mucchio di macerie si era abbassato notevolmente e questo ci permise di intravedere oltre le stesse una macchia scura che ci incuriosì molto.
"che sarà mai?" si domandò a voce alta Pezzainculo e non ottenendo risposta aggiunse "sembra che dietro ci sia una grotta" ci guardò tutti a turno e leggendo forse nei nostri sguardi ciò che si aspettava, con un lampo negli occhi scandì: "io vado a vedere, chi ha fegato mi segue".
* * *
"Vede architetto, l'unico pericolo esterno è quello delle macerie che possono rotolare giù verso il mercato coperto, credo sia opportuno che per qualche giorno il sindaco lo faccia chiudere, almeno fin quando non avremo abbattuto il campanile, non trova?". Il capo cantiere aveva ragione, il pendio era troppo ripido e benché il mercato coperto fosse protetto da un muro in cemento armato non mi pareva che questo fosse abbastanza alto da fermare eventuali massi che fossero sfuggiti al controllo. Approvai il consiglio del saggio capo-cantiere e rimasi a guardare verso il basso.
"Non viene architetto?" mi chiese il brav'uomo guardandomi curioso.
"Si, un attimo" risposi a bassa voce.
"Qualcosa che non va?" chiese preoccupato.
"No, nulla, solo ricordi. Sa, da ragazzino abitavo lì, in quella casa all'angolo e laggiù dove adesso c'è il mercato coperto una volta c'era un lavatoio e al posto del muro in cemento armato ve ne era uno in pietra... chissà dov'è finito?!" terminai in un filo di voce
"Come ha detto, scusi?"
"Niente... niente"
"Vogliamo passare all'interno?"
"Si certo" convenni senza distogliere lo sguardo dai ricordi.
* * *
123456
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0