racconti » Racconti del mistero » Supercortemaggiore (seconda parte)
Supercortemaggiore (seconda parte)
In pochi secondi ci arrampicammo in cima alle macerie, spostammo alcuni massi più grandi facendoli rotolare verso l'esterno finché ci apparve chiaro che la macchia scura intravista non era altro che il colore del vuoto dietro le macerie.
"Accidenti, è proprio una caverna!" esclamò eccitato Ziamatuzza.
"E quant'é grande" aggiunse Spinterogeno, e girandosi verso di me chiese:
"Che stai guardando Manodritta?" In effetti ero tutto intento a guardare l'ingresso di quella strana grotta. Erano sì pietre come quelle che componevano il muro esterno ma erano "diverse", sembravano più lisce, più ancora di quelle delle murature dei vecchi palazzi del centro storico. Il fatto che mi interessassi a quei particolari era dovuto a una naturale passione per il disegno, nel quale eccellevo tanto da meritare il nomignolo di Mandritta.
"Ehi, guardate queste pietre come sono lisce, sembra che siano state passate con la carta vetrata; e non si vedono nemmeno le fessure"
"Mandritta ha ragione! - disse Spinterogeno - non mi sembra nemmeno una caverna. È troppo... troppo... perfetta"
"Entriamoci!" esortò Pezzainculo dando seguito alle parole facendosi scivolare verso l'interno. Lo imitammo e strisciando il sedere sulla fanghiglia penetrammo nell'affranto. Ci stupì subito il posare i piedi su una pavimentazione solida e il rimbombare dei rumori che producevamo.
"Non è molto alto" constatò Ziamatuzza guardandomi in cerca di consenso. Anch'io stavo guardando verso l'alto e notai la strana volta ad arco acuto che ci sovrastava.
"Non è una caverna, e poi non si vede il fondo" disse Spinterogeno.
"È un cunicolo - affermai convinto, poi aggiunsi - chissà dove porta?"
"Lo so io!" esordì Acquasanta sorprendendoci. Infatti lo chiamavamo così per la scarsa loquacità aggiungendo poi che serviva messa come chierichetto ogni santo mattino. Lo guardammo tutti ad occhi spalancati aspettando che completasse l'informazione.
"Và dritto dritto sotto la vecchia chiesa abbandonata" completò lasciandoci di sasso.
"Può anche essere, ma tu come lo sai?" gli chiesi.
"L'ho letto da qualche parte in sagrestia. Sai, quando la vecchia chiesa fu abbandonata i preti di allora portarono tutti i... cosi... registri e stanno nella sagrestia dove vado a vestirmi e un giorno padre Giovanni me ne ha fatto vedere uno e c'era scritto che in questi paraggi doveva esserci un cunicolo attraverso il quale i preti di allora venivano alla sorgente a prendere l'acqua."
Lo guardammo affascinati anche perché in vita sua Acquasanta non aveva mai parlato tanto a lungo e poi il racconto che ci aveva fatto pareva verosimile.
"Allora se porta alla vecchia chiesa dovrebbe essere in salita, solo che non si vede niente di niente, è troppo buio - constatò Occhiostorto - ci vorrebbe una torcia" concluse poi.
"E chi ce la da, io ho una scatola di fiammiferi, possiamo farci luce con questi" disse Ziamatuzza.
"Non serviranno a molto ma almeno vediamo in che direzione andiamo" dissi movendo i primi passi.
"Io però non vengo, padre Giovanni disse che ci sono i fantasmi" affermò ritraendosi timoroso Acquasanta, subito imitato da Occhiostorto che già temevamo avesse seri problemi di vista.
"D'accordo, voi due restate pure qui, così se non dovessimo tornare andate a dare l'allarme" disse Spinterogeno mentre noi altri facevamo plateali scongiuri. Comunque nessun altro si ritrasse e preceduti da Ziamatuzza che aveva già acceso il primo fiammifero cautamente ci inoltrammo.
Effettivamente dopo pochi passi il camminamento prendeva a salire e noi procedevamo in fila indiana, anche perché non era largo più di un metro. Il percorso era articolato, per alcuni tratti era ripido per altri bisognava salire alcuni scalini e si dirigeva zigzagando proprio verso la vecchia chiesa. In breve l'aria divenne pesante e umida e facevamo fatica a respirare, allora ci fermavamo a riprendere fiato e stavamo lunghi secondi ansanti con le spalle poggiate alla parete. Lungo il percorso avevo sempre constatato che queste erano lisce e fredde e a tratti anche umide.
"Brrr, sembra una nevera" disse Ziamatuzza, la cui voce aveva uno strano rimbombo.
"Chissà quanta strada avremmo fatta. È buio fitto e non si vede uno spiraglio di luce. Che facciamo, andiamo avanti?" chiese poco dopo.
"Dipende da quanti fiammiferi hai ancora" gli risposi.
"Ce ne sono in abbondanza, anche per tornare indietro!"
"Allora andiamo avanti"
* * *
"Però è davvero un peccato architetto, buttarla giù intendo. Ma dicono che è pericolosa..." commentò il capocantiere quando fummo entrati. Lo guardai sorpreso e incuriosito rivolgendogli una muta domanda. Ridacchiando mi rispose tra il serio e il faceto.
"Dicono che abbia circa settecento anni, eppure è ancora qui, sempre sul punto di crollare da un momento all'altro. Scommetto che è stata così sin dal primo giorno."
"Con quelle crepe laggiù e il tetto sfondato?"
"Eh eh! A ridurla cosi sono stati gli uomini, con qualche manutenzione durante tutti questi secoli..."
"Non mi dirà che lo considera un peccato doverla abbattere?"
"Forse. Me la immagino come doveva essere una volta con gli alberi intorno e il profumo di incenso. Sì architetto, in fondo si avverte ancora l'odore della fede"
"Lo faremo ritornare"
"Ma non sarà più come una volta, non ci sarà più quella atmosfera di genuina umiltà"
"I tempi cambiano e cambia pure lo stile architettonico"
"Ma la fede è sempre la stessa e non dovrebbe far caso agli stili architettonici. Sarebbe costato troppo farla identica a com'era?"
"Forse no. Ma il calcestruzzo mal si addice a queste forme. Ma dov'è l'accesso al locale sotterrano di cui parla il vescovo?"
"lo abbiamo trovato, è lì, dietro l'altare, però architetto io non scendo. Le do una torcia se vuole"
"Cos'è? Ha paura forse!"
"No, ma al pensiero che possano esserci degli scheletri... brrr!"
"Va bene, se proprio non vuole, scendo da solo"
"E non ha paura?" mi chiese con una punta di ammirazione.
"Amico mio, i morti non fanno paura a nessuno. Si guardi dai vivi piuttosto. Su, mi dia quella torcia".
* * *
Ziamatuzza accese un altro fiammifero e riprese il cammino. Io gli stavo alle spalle davanti a Pezzainculo, Spinterogeno chiudeva la fila. Avremmo fatto una ventina di passi quando il capofila si fermò di botto.
"Che c'è, perché ti sei fermato? Gli chiesi evitando per un pelo di finirgli addosso mentre Pezzainculo tamponato da Spinterogeno, si aggrappava alle mie spalle per non cadere.
"Qui c'è un gradino" disse Ziamatuzza.
"E allora?"
"È alto almeno mezzo metro, acc...!" terminò imprecando per essersi scottato, poi accese un altro fiammifero e piegandosi in avanti cercò di guardare oltre. "Più avanti le pareti sono crollate, c'è un mucchio di macerie. Non si può andare più, dobbiamo tornare indietro"
"Oh no!" esclamò deluso Pezzainculo.
"Che iella! Tutta questa fatica per niente" disse Spinterogeno.
"Sei sicuro che non ci sia modo di passare?" chiesi scoraggiato.
"Non mi pare. Guarda anche tu" disse Ziamatuzza appiattendosi di lato per consentirmi di passargli davanti. In effetti aveva ragione, davanti a noi c'era una specie di gradino in pietra e un metro più avanti si notava un mucchio di macerie.
"Dammi i fiammiferi. Voglio andarci più vicino" senza protestare mi passò la scatola e mi aiutò a salire l'alto gradino. Notai subito che la volta restava alla stessa altezza e lo comunicai agli altri.
"Allora questo doveva essere una specie di passaggio, forse finisce qui il cunicolo" commentò Ziamatuzza.
"Forse dietro quelle pietre c'è la stanza del tesoro" disse con un filo di speranza nella voce Spinterogeno. "Controlla bene se c'è un modo per passare" aggiunse poi.
"Accesi un altro fiammifero e mi accostai alle pietre osservandole bene. Infine notai sulla sommità una larga fessura. Mi arrampicai su alcune pietre e provai a spostare l'ultima in alto. Si muoveva! Allora lasciai cadere il fiammifero e al buio armeggiai finché non la sentii cedere. Spinsi finché riuscii a farla rotolare dall'altra parte. Ansante mi fermai e avvertii oltre al pulsare del mio cuore i pesanti respiri degli altri.
"Allora?" chiese ansioso qualcuno di loro. Accesi un fiammifero e senza rispondere ispezionai il largo pertugio che avevo fatto. Era piccolo rispetto alla massa di macerie ma abbastanza largo perché un bambino magro ci passasse. Pensai agli altri, ed io ero il più magro di tutti. Ancor più lo era Acquasanta, ma era rimasto fuori.
"Forse posso anche farcela a passare, ma non so cosa può esserci dall'altra parte." Dissi agli altri indicando il foro. Il primo a rispondere fu Ziamatuzza:
"Prendi la scatola dei fiammiferi, ma lasciane qualcuno a noi"
"Allora devo proprio andarci?" domandai senza convinzione perché avevo già deciso inconsciamente di farlo.
"Si certo ma se poi riesci ad allargare quel buco fai venire anche noi, intesi?" disse Spinterogeno.
Tolsi una manciata di fiammiferi dalla scatola e afferrandola tra i denti, al buio, mi infilai nel buco. Per mia fortuna lo spessore delle macerie era esiguo e mi trovai subito il vuoto davanti. Nel tentativo di non perdere l'equilibrio, affrontando la discesa a testa in giù mi lasciai sfuggire di bocca la scatola dei fiammiferi. Imprecai ad alta voce e sentii gli altri che facevano apprensive domande. Cercai di rispondere ma la mia voce risuonava cupa come in una stanza vuota. Era così distorta che stentavo a riconoscerla. Anche le loro voci mi arrivavano distorte quasi come un sarcastico sogghigno. Quando infine riuscii a mettermi in piedi tentai invano di ritrovare la scatola dei fiammiferi. Ero ormai immerso nel buio più profondo. Decisi quindi, movendomi con la massima cautela, di trovare una parete dove addossarmi. La trovai quasi subito non prima però d'inciampare un paio di volte nei calcinacci. Con sollievo mi ci addossai tastandola con il palmo aperto. Era umida e freddissima. Pensai che dovesse essere la dispensa della sagrestia e il pensiero mi indusse a esplorarla. Se era la dispensa doveva pur esserci un entrata da qualche parte oltre al camminamento. Con circospezione presi a muovermi lungo la parete, non avvertendo nessun cambiamento. Mentalmente contai sedici passi fin quando arrivai all'angolo, dove mi fermai in attesa. Nel frattempo Ziamatuzza avvicinatosi al buco aveva acceso un fiammifero. Una fioca luce donava ora un misero chiarore. Stringendo gli occhi potei constatare che la parete che mi attendeva era leggermente più corta di quella già esplorata e non mi parve di scorgere nessun ostacolo che mi potesse intralciare. Forte di quella constatazione mi mossi più spedito, feci forse tre o quattro passi e dovetti fermarmi: il fiammifero di Ziamatuzza si era spento. In attesa che ne accendesse un altro mi appoggiai alla parete.
Con un grido strozzato e un brivido di terrore feci un salto in avanti discostandomi da essa. Era scottante! Sentii improvvisamente le ginocchia piegarsi, mentre il respiro timoroso, di farsi sentire, mi si fermò per lunghi istanti. Furono attimi che mi parvero un eternità ma riuscii infine a calmarmi e a recuperare il coraggio. Allora allungai le braccia all'indietro e a tentoni cercai la parete con la punta delle dita. La ritrovai subito e con un secondo brivido mi accorsi che era effettivamente caldissima. Pur impaurito la tastai più volte ma il calore che avvertivo non mutava. In quel momento Ziamatuzza accese il fiammifero e chissà perché solo allora mi sentii addosso la paura. Di conseguenza abbandonai il posto e mi lanciai verso quel faro luminoso, vera ancora di salvezza. Inciampando tra macerie e chissà che altro raggiunsi il cumulo che ostruiva il camminamento e incurante delle ferite che potevo produrmi mi arrampicai verso il buco. Appena riuscii a portare la testa dall'altra parte sentii le mani di Ziamatuzza afferrarmi e letteralmente tirarmi fuori. Ero così tremante da contagiare gli altri con la mia paura.
"Scappiamo via di qua" riuscii a farfugliare. Dapprima rimasero tutti a bocca aperta, poi, quando si avverti il crollo di altre macerie che ostruirono totalmente l'angusto passaggio, colmi di paura e incuranti di essere rimasti di nuovo al buio, ci precipitammo verso l'uscita.
* * *
Il capo cantiere aveva fatto un eccelso lavoro, oltre a ritrovare la botola che apriva sul sotterraneo aveva provveduto a calarci una scala in legno e non ebbi alcuna difficoltà ad affrontare la discesa. Era un locale di circa cinquanta metri quadri, rettangolare, e la botola permetteva l'accesso centrale. Non era molto alto, poco più di tre metri, ed era pressoché vuoto. Ruotando il fascio luminoso della torcia a trecentosessanta gradi illuminai tutti le pareti. Non vidi alcuna traccia di scheletri ne di casse da morto, solo pareti di marmo con delle incisioni. Allora capii, le salme erano state murate. In un angolo del locale vi era un mucchio di macerie e poco distante un oggetto che attrasse la mia attenzione, una scatola di fiammiferi.
"Mio Dio! Ero qui allora!" esclamai incredulo ed eccitato. Per avere le mani libere poggiai la torcia su uno dei gradini della scala in legno, orientando il fascio di luce sul cumulo di macerie verso il quale mi diressi con l'intento di raccattare la scatola e ispezionare i dintorni. Compii solo tre passi quando la torcia cadde rumorosamente per terra spegnendosi.
"Accidenti!" mormorai ad alta voce, poi pensai "proprio come allora...". Rimasto al buio fui incerto su come muovermi preoccupato di non inciampare nella torcia o di sbattere contro la scala. Cominciai ad indietreggiare lentamente verso la parete che mi era parsa più vicina finché con il tacco della scarpa riuscii a toccarla. Con un sospiro di sollievo allungai la mano in cerca di un appoggio. La ritrassi immediatamente mentre il cuore ebbe un sobbalzo tale da arrivarmi in gola. La parete scottava! In un attimo quel particolare mi tornò in mente; anche allora era successa la stessa cosa. Esattamente come tanti anni prima la stessa sensazione, la medesima paura scaturita da un avvenimento totalmente irrazionale.
Attesi qualche secondo finché il cuore si placò poi, con la mente paralizzata, incapace di alcun pensiero, con gli occhi serrati per non "sentire" il buio che mi attorniava, riallungai il braccio all'indietro e con le dita protese ricercai il contatto. Avvertii subito qualcosa di diverso da ciò che mi attendevo, qualcosa di ruvido e morbido al contempo, qualcosa che pareva stoffa. Meravigliato e confuso premetti il palmo rendendomi conto di toccare qualcosa di vivo. Allora serrai le mani e mi accorsi di stringere il risvolto di una giacca. Al colmo della sorpresa mi girai di scatto e fui sommerso dallo stupore perché mi ritrovai davanti il volto di un essere umano. Con un grido strozzato balzai all'indietro, ritraendo di scatto la mano portandola al petto forse a fermare i battiti forsennati del cuore.
"Ben tornato architetto! Era ora!" disse l'uomo con voce melensa.
"Chi... chi... chi... è lei?" balbettai con la gola secca.
"Fapes" disse fermamente l'uomo senza aggiungere altro.
"Fa.. Fapes??" chiesi confuso e costernato.
"Si, Fapes, signore delle tenebre e principe dei demoni. In paziente attesa del suo ritorno, illustre architetto" affermò con una nota di sarcasmo in un tono pastoso simile a quello di un ubriaco.
Benché sgomento dalla circostanza surreale trovai la forza di osservare quello strano interlocutore in ogni suo particolare. Mi stupì subito l'abbigliamento in stile ottocentesco: palandrana e cappello a cilindro, camicia bianca inamidata con le punte del colletto all'insù; sulle spalle un'ampia mantellina nera con la fodera bianca che ricadeva fino a toccar terra. Rialzai lo sguardo riportandolo sul volto dell'uomo rotondo e paffuto, aveva lunghi favoriti ricci con baffetti lisci e sottili, gli occhi grandi e rotondi attorniati da folte e irsute sopracciglia, le guance erano colorite e rosse e quel poco che si vedeva della fronte pareva solcato da una profonda ruga orizzontale. Infine notai con stupore la strana luce rossastra che attorniava l'intera figura.
Con un lampo divertito negli occhi, quello che si presentava come Fapes ecc. ecc., sollevò un braccio e come dal nulla comparve una mano guantata bianca che impugnava a metà l'asta di un liscio bastone da passeggio dal pomo in madre perla con cui spinse indietro il cappello a cilindro scoprendo ciò che rimaneva dell'ampia fronte, in tal modo mise in risalto quello che mi parve il volto di un beone. In altre circostanze avrei riso divertito, ma in quello strano ambiente l'idea non mi sfiorò nemmeno lontanamente. Continuava a colpirmi il pensiero di come vi fosse giunto senza alcun rumore, come apparso dal nulla. Che poi fosse davvero un demone venuto dritto dritto dall'inferno non mi atterriva ancora, anzi mi lasciava del tutto indifferente. Chiunque fosse, per il momento non aveva intenzioni bellicose, e tanto bastava a tranquillizzarmi.
* * *
123456
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0