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Fantasmi del passato - Parte prima
"Lei deve aiutarmi."
Mi guardai in giro. Poi tornai con lo sguardo sulla donna che aveva parlato.
"Sta dicendo a me?"
"Appena ha finito, la prego. Venga fuori, mi trova sul retro."
La seguii con lo sguardo lasciare l'edicola, e scossi il capo.
Presi il giornale, pagai ed uscii.
Stavo dirigendomi verso la mia auto quando udii la stessa voce di donna, parlare.
"Lo sapevo."
Mi voltai e la vidi in piedi a qualche metro più in là, con le mani dentro le tasche di un lungo impermeabile beige.
"Sapeva che cosa?", domandai distogliendo lo sguardo da lei. Aprii lo sportello lato passeggero, e vi accomodai sopra il giornale.
"Sapevo che non sarebbe venuta sul retro", continuò.
Chiusi lo sportello e la fissai: "Bene. Adesso se vuole scusarmi, ho parecchio da fare."
Feci qualche passo, ma la voce mi raggiunse nuovamente.
"Venire a comprare il giornale alle nove del mattino non è esattamente l'orario di una che ha un sacco di cose da fare."
Mi bloccai e la guardai. Sorrisi irritata.
"Io e lei non ci conosciamo. Quello che devo fare io non sono affari suoi."
"Se fosse venuta sul retro e mi avesse lasciato spiegare, ora saprebbe chi sono."
Assunsi un'espressione alquanto scazzata quando dissi: "Ok, può dirmelo qua. Chi è lei?"
"Magari potrei raccontarglielo davanti ad una tazza di tè."
"Non sono la persona adatta per scambiare quattro chiacchiere. Addio."
Ero appena salita in macchina quando la donna urlò: "Deve scoprire cos'hanno fatto a mia figlia!"
Quelle parole rimbombarono dentro la mia testa e costrinsero a bloccarmi.
Scesi dall'auto e lentamente mi avvicinai alla donna. Il suo viso era una maschera di dolore, e il freddo di quella gelida mattina di dicembre le si concentrò sul naso arrossato.
"Che cos'ha detto?", le domandai quasi scandalizzata e inclinando il capo.
"Mia figlia", continuò quasi piangendo. "Deve scoprire cos'hanno fatto a mia figlia."
"Perché lo sta chiedendo a me? Vada alla polizia, no?"
"Perché è lei la polizia."
Dei fastidiosi brividi mi percorsero la schiena, fino a raggiungere le gambe e le braccia, e avvertii una forte morsa allo stomaco.
"Temo per lei che si stia sbagliando. Io non sono della polizia."
"Lo so chi è lei."
Aggrottai la fronte.
"L'ho riconosciuta", continuò annuendo. "Lei è quella poliziotta che ha lasciato il commissariato di Ostia per..."
La interruppi immediatamente.
"Se lo sa, sa anche che io non appartengo più al corpo di polizia. Quindi mi faccia il favore di lasciarmi in pace."
"La prego, prenda il mio numero", disse porgendomi un bigliettino.
Lo schivai come se fosse fuoco, e le abbaiai addosso: "E non si azzardi mai più a cercarmi! Io non sono più un poliziotto, non posso aiutarla!"
Girai i tacchi e raggiunsi l'auto, misi in moto e partii. Infine guardai lo specchietto e vidi la donna ancora ferma immobile nel parcheggio farsi piccola, fino a scomparire del tutto.
Parcheggiai ed entrai in casa sbattendo la porta.
Ero infastidita da quello che era successo poco fa. Andai in bagno a lavarmi le mani e mi fissai il viso allo specchio.
Tutto quello che avevo vissuto prima dei due anni in cui mi ero trasferita lontano da Ostia, doveva restare parte del passato. E così era stato fino a stamattina; fino a quando quella donna non era venuta a cercarmi e a chiedermi aiuto.
Mi ero lasciata indietro il commissariato, e per nessun motivo al mondo avrei mai più voluto sentirne parlare.
Mi misi di spalle e scostai il maglione, rivelando così la grossa cicatrice sulla parte bassa della schiena che portavo con me e che stava lì per ricordarmi quanto ero stata fortunata a riuscire ad uscirne viva.
Una partner del mio team era stata rapita da un serial killer che collezionava donne. Era rimasta chiusa in uno sorta di scantinato, e torturata per tre giorni di seguito.
Quando grazie ad una ricostruzione, io i miei partner riuscimmo a scoprire il luogo del covo, per lei non c'era stato più nulla da fare.
"Massa e Ghioni andate a destra", continuai rivolgendomi al mio collega e amico. "Tu invece vieni con me."
Impugnammo l'arma e la torcia contemporaneamente. Il bastardo aveva fatto di un canale sotterraneo, una prigione segreta.
Controllammo tutte le celle senza trovare nulla fino a quando arrivammo all'ultima. Il corpo della nostra partner giaceva riverso sul letto, nudo.
Mi avvicinai lentamente e la fissai. Era completamente devastata: ferite di ogni tipo sulla pelle, e nei suoi occhi, il vuoto più vuoto che avessi mai visto in qualsiasi altra vittima.
Senza distogliere lo sguardo, dissi: "Prendete qualcosa per coprirla."
Infine mi allontanai.
"Dove vai?", chiese il mio partner.
Mi bloccai e lo fissai con ovvietà. "Non l'abbiamo ancora preso, o sbaglio?"
"Abbiamo cercato ovunque, qua non si trova."
"Cerchiamo ancora, allora!", gridai.
La mia voce fece eco in quel sotterraneo orribile e nauseabondo.
"NON MI PRENDERAI MAI!"
Tutti ci fissammo e uscimmo dalla cella, dritti nel corridoio. Ci dividemmo e perlustrammo quel lurido posto per giorni, settimane, e infine per mesi. Niente, nessun indizio che potesse aiutarci a trovare l'autore di quei delitti così efferati. Finché una notte mi alzai svegliata da un rumore.
"Sorpresa", udii come un sibilo.
Alzai ad altezza uomo l'arma d'ordinanza e la puntai verso dove sentivo provenire la voce. Feci qualche passo e tastai il muro. L'interruttore non si accendeva.
"Non crederai davvero che sia così stupido?"
Io non risposi, e lui continuò: "Ho dovuto tagliare i fili della luce. Mi piaci davvero un sacco, ma non posso permettere che tu veda il mio viso."
"Non ti comporti molto da uomo se tu sai dove sono io, ma io non so dove ti trovi tu."
"Sono molto più uomo di quello che credi."
"Sì, eh? Tanto che immobilizzi e torturi le tue vittime, vero?"
Fu un attimo: mi sentii afferrare da dietro e la pistola mi cadde. Mi dimenai e corsi verso la porta, ma lui mi afferrò da dietro e mi sbatté a terra. Mi tappò la bocca e in quel preciso istante sentii trafiggermi la schiena.
Gridai e il dolore lancinante mi fece mancare il respiro per qualche secondo.
Fu lì che l'uomo mi si avvicinò all'orecchio e mi sussurrò: "Non puoi farcela contro di me. Quindi accantona la rabbia che hai nei miei confronti per quello che ho fatto a quella troia della tua partner, e mettiti l'anima in pace."
Estrasse l'arma e sospirai alla ricerca di aria.
Stavo a terra cercando di resistere a quel dolore insopportabile, quando nel buio distinsi la sua sagoma.
Mi accarezzò il viso e tentai di scostare la testa.
Lui continuò. "Potrei farti qualsiasi cosa. Lo sai, vero? A te e alla tua bella sorellina che spesso ti viene a trovare."
Poi mi baciò sulla fronte.
Volevo prendergli la testa e sbattergliela contro il muro fino a maciullargliela, ma la ferita era profonda e continuava a perdere sangue, così dissi solo un lieve 'provaci', e poi persi i sensi.
Aprii gli occhi e scossi il capo nel tentativo di scacciare quel dolore e quella voce sibilante.
Poi uscii dal bagno e andai in cucina. Recuperai il pentolino del latte dal frigo e lo misi sul gas. Infine accesi la TV.
Mi accomodai al tavolo quando un giornalista del notiziario del mattino, annunciò: <<Un'altra bambina sui sette anni è stata rapita nei pressi della zona di San Salvario. La madre sconvolta ha sporto denuncia contro ignoti, ma l'opinione pubblica non esclude che questo concatenarsi di rapimenti e morti possa essere attribuito all'introvabile killer delle donne.>>
Sentii gelarmi il sangue, e un groppo mi si fermò dritto in gola. Era ancora libero e lo sapevo.
Cercai di fare mente locale: perché da Roma era arrivato fino a Torino? Non dava più caccia alle donne, adesso prendeva di mira le bambine.
Ricordai il viso della donna che avevo incontrato la mattina dal giornalaio, e scossi il capo. Sapevo che inoltrarmi di nuovo in un caso del genere avrebbe fatto riemergere quello che avevo tentato di seppellire una volta allontanatami dalla polizia, ma sapevo anche che non avrei potuto essere così egoista e lasciare quella bambina nelle mani di quel maniaco pervertito.
Forse non potevo salvarla direttamente, ma dopo aver studiato il caso del killer delle donne per anni, conoscevo le sue mosse meglio di chiunque altro.
Socchiusi gli occhi, e ricordai.
"Si può?"
Vidi spuntare sulla porta il mio partner nonché migliore amico.
Sorrisi appena.
Lui ricambiò il sorriso. "I medici dicono che sei fuori pericolo. La lama non ha toccato organi vitali."
Annuii piano. "Lo so."
Si avvicinò e prese posto su una sedia lì vicino.
"Ci vorrà qualche mese ma tornerai a star bene, fidati."
Non riuscivo a parlare come avrei voluto, ma una lacrima mi scese lungo la guancia e feci intendere il mio stato d'animo.
Il suo sorriso andò affievolendosi e fissandomi, disse: "Ehi... guarda che non devi preoccuparti, sei fuori pericolo."
Io scossi il capo, e poco dopo dissi.
"Lascio la polizia."
Era qualcosa che non avrei mai creduto di poter pronunciare, non almeno fino alla pensione. Amavo troppo quel mestiere, ma in qualche modo la piega che aveva preso quel caso mi aveva fatto riflettere su ciò che facevo giorno dopo giorno, e forse adesso era il momento di smetterla.
Lui chinò il capo, s'inumidì le labbra e tornò a fissarmi.
"Melania..."
Mossi le dita delle mani per zittirlo. Lui capì al volo ed io dissi: "Quello che è successo non doveva succedere. Ne porterò per sempre il peso."
"Ma..."
"E non dirmi che poteva succedere a tutti perché non è una giustificazione. È successo a me, anzi a lei."
Avevo visto tanti cadaveri, e non riuscivo a capire perché vedere quello di Susanna mi aveva suscitato così tanta paura.
O forse lo sapevo, lo sapevo fin troppo bene. Aver visto morto qualcuno che conoscevo, e in questo caso com'era morta lei, aveva fatto sì che guardassi la morte sotto un'altra prospettiva.
Ma non era solo questo. Il fatto di non essere riuscita a difendermi come avrei dovuto e come avrei voluto, mi faceva una paura tremenda: avevo paura.
"Non si poteva prevedere", mi disse.
"Non è questo il punto."
"Non puoi incolparti per qualcosa che non dipendeva da te."
"E da chi altri se no? Quello era il nostro caso."
Feci una pausa e poi ripresi dicendo: "Appena mi dimettono, lascio il commissariato."
Contrasse la mandibola. Sapeva che c'era dell'altro.
"E lascio Ostia", continuai io.
Seguirono alcuni minuti di silenzio, ed io riconobbi in quello il suo modo per trattenere ciò che invece voleva dire a tutti i costi. Infine mi fissò intensamente e mi strinse la mano.
"Mi mancherai molto."
Io annuii cercando di trattenere il pianto. "Anche tu."
Aprii gli occhi e ricordai di quando mi venne riferito dai medici che il killer delle donne non aveva esercitato violenza sessuale su di me, quando avevo perso i sensi. In quel momento mi era sembrato di rinascere, e pensai a cosa invece doveva aver vissuto Susanna, e con lei tutte le altre donne.
Infine fissai lo schermo della TV.
"Che io sia dannata", mi rimproverai.
Qualche minuto dopo stavo già dirigendomi verso il più vicino commissariato.
Entrai e parlai con un agente semplice che mi condusse nell'ufficio di un ispettore che non avevo mai sentito nominare. Era un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati.
Mi presentai dicendogli chi ero e chi ero stata quando ancora lavoravo al commissariato di Ostia. Infine gli raccontai del perché fossi lì.
"Ricordo quel caso", disse annuendo.
"Il killer è ancora libero."
"Seguii il caso a suo tempo, tramite voci e notizie al telegiornale."
"Le bambine rapite, ispettore."
Lui mi fissò cercando di capire dove volessi arrivare, ed io continuai: "Ho validi motivi per credere che il rapitore sia il killer delle donne, e da quanto ho sentito anche molta altra gente non lo esclude."
"Lasciando da parte la gente, cos'è che rende lei così sicura?"
"Le bambine rapite precedentemente sono state ritrovate uccise."
"Mi dica qualcosa che non so."
"Sa tutto, non c'è nulla di nuovo."
L'ispettore Salina attese il continuo, ed io proseguii. "Al momento dell'autopsia, il medico legale ha riscontrato che tutte le vittime hanno subito violenza sessuale post mortem."
Fece spallucce. "E con questo?"
"È lo stesso modus operandi del killer delle donne. Lui ammazzava esattamente così."
"E chi le dice che non potrebbe trattarsi di un imitatore?"
Scossi il capo.
"No, non si tratta di nessun imitatore. Le dico che è lui."
Appoggiò i gomiti sul tavolo e unì le mani.
"Quando è entrata da quella porta mi ha detto che aveva dei motivi validi per credere che il rapitore fosse il killer delle donne."
"Infatti."
"Quelli che lei mi ha appena elencato non sono validi motivi per crederlo, e non c'è di certo bisogno che glielo ricordi io. Ricordo come seguì il caso. Lei è stato un ottimo poliziotto a suo tempo, e credo che le regole base le rammenti ancora."
Mi sporsi di poco in avanti e risposi: "Due miseri anni non mi hanno aiutato a dimenticare quello che ho passato quando davo la caccia a quel killer", continuai scuotendo il capo. "Non ho scordato la procedura delle indagini, ispettore."
"È quello che penso anche io. Quindi sarà d'accordo con me quando dico che non ci sono elementi sufficienti per riaprire quel caso."
"Io non le sto chiedendo di riaprire quel caso. Quel caso non è mai stato chiuso. Vi sto solo consigliando di tenerlo in considerazione nelle indagini sui rapimenti delle bambine. Io posso aiutarvi."
Lui sorrise appena, ed io capii con immediatezza cosa aveva voluto capire.
"Mi ascolti", fece una pausa. "Io la posso capire. Un mio partner è stato ferito gravemente qualche anno fa, e ha rischiato brutto. So cosa significa non riuscire a concludere un caso."
Lo fissai irritata, ma con calma lucida, spiegai: "Non per sminuire la sua situazione, ispettore, ma quando ho lasciato la polizia un membro del mio gruppo era appena stata torturata, uccisa e infine stuprata."
Salina mi fissò con la mente corrugata.
"Poi una notte il killer delle donne è venuto da me. Mi ha lasciata una notte intera a dissanguarmi. Tra i lamenti e il dolore credevo d'impazzire. Poi sono svenuta."
Dopo una breve pausa mi domandò: "Perché ha lasciato la polizia?"
"Perché non sono riuscita a salvarla", feci una breve pausa. "E perché non ero riuscita a salvare me stessa."
Lui rimase a fissarmi pensoso, come se riuscisse a comprendere il dolore nelle parole che pronunciavo.
Uscii dal commissariato e mi diressi all'auto. Salii a bordo e misi la sicura. Poi aprii la borsa, recuperai il cellulare e un biglietto di carta con la scrittura di Salina.
Composi il numero e attesi.
"Pronto?"
Riconobbi la voce della donna che mi aveva cercata all'edicola.
"Pronto?", ripeté.
Poi mi decisi. Mi identificai e la informai che avevo parlato con la polizia locale perché tenesse in considerazione l'implicazione del killer delle donne nella sparizione della figlioletta, ma che non avrei potuto fare nient altro.
Non smise di ringraziarmi, ma io tagliai corto e agganciai.
Infine guardai la struttura oltre il vetro.
Salina mi fissò comprensivo. Dopo qualche minuto, esordì: "D'accordo. Prenderò in considerazione questa ipotesi."
Io non dissi nulla.
"Però", riprese lui. "Niente iniziative da parte sua. Lei non dovrà in nessun modo e per nessun motivo prendere iniziative, chiaro?"
Io annuii. In questo non avevo nulla in contrario.
"Mi scriva un numero al quale potrò raggiungerla."
Dopo aver cercato tra le carte della denuncia e avermi riferito il numero della donna che mi aveva cercato quella stessa mattina, lo ringraziai. Mi alzai e feci per uscire quando mi richiamò. Mi voltai, e lui mi disse: "So che quel maniaco ce l'aveva con lei."
Non risposi, e lo lasciai continuare.
"Se è come dice lei, e quindi si trattasse realmente del killer delle donne, potrebbe non essersi mai dimenticato di lei. Faccia attenzione."
Annuii.
Infine uscii.
Un tuono distolse il mio ricordo. Misi la prima e girai la chiave. Il temporale era in arrivo.
Ero tornata a casa e avevo da poco finito di fare una doccia quando squillò il telefono.
Guardai l'orologio: erano da poco passate le nove di sera.
Infine recuperai il cordless. "Pronto?"
"Sapevo che prima o poi ci saresti ricascata."
Aggrottai la fronte.
"Chi parla?"
"Il tuo ammiratore segreto, il tuo angelo custode. Decidi tu."
Capii all'istante di chi si trattava.
Stavo per aprire bocca quando udii una risata. Poi riattaccò.
Rimasi col cordless affiancato all'orecchio e chiusi gli occhi. Rividi tutto quello che legava me a quel killer.
Li riaprii e attaccai anche io.
Ora sapevo con certezza che i rapimenti e le morti di quelle bambine erano legate alle uccisioni delle donne di Roma di due anni fa, e che automaticamente legava il tutto col killer delle donne.
Salina pensava potesse trattarsi di un imitatore, ma quella telefonata, quelle parole e quella voce non fecero altro che confermare la mia certezza su quello che invece lui sosteneva essere semplici supposizioni. Infine scossi il capo. È lui pensai, è lui.
Mi preparai e mi recai da Salina. Il commissariato era mezzo deserto in confronto alla mattina.
Dal momento che non avevo avvertito del mio arrivo, sperai di trovarlo lì.
Raggiunsi il suo ufficio e lo trovai intento a scrivere qualcosa su dei fogli.
Mi fermai sulla soglia, e lui alzò il capo, sorpreso.
"Cosa ci fa qui a quest'ora? Sentiva già mancanza di questo posto?"
"Mi ha chiamato."
Il suo viso si corrugò ed espresse confusione, ed io continuai: "Il killer delle donne mi ha chiamato."
"Cosa?"
Mi avvicinai alla scrivania e presi posto dinanzi a lui.
"Si spieghi meglio. Cos'è successo esattamente?"
"Dovete farvi arrivare i tabulati telefonici del mio telefono di casa. Se non ha usato una rete protetta o qualcosa di simile, potreste rintracciare il numero dal quale ha chiamato risalendo così ad un indirizzo. Il killer delle donne mi ha chiamato stasera."
"Perché?"
"Per farmi sapere che è lui."
"A che scopo?"
"Gli piace giocare."
Mi fissò poco convinto, e dopo poco allargò le braccia.
"Mi dispiace, ma io non ci riesco."
"A fare cosa?", domandai io.
"A credere che questo caso sia collegato al killer delle donne. Non mi sembra molto intelligente da quello che dice. In questo modo rischia solo di farsi scoprire."
"Gliel'ho detto. A lui piace giocare."
"Ok, gli piace giocare. Ma fino a che punto? Se fosse come dice lei, e cioè che potremmo rintracciare la chiamata, lui verrebbe arrestato", continuò facendo spallucce. "A che scopo?"
"Se la chiamata è rintracciabile non significa che lui si farà trovare lì."
"E allora a cosa servirebbe?"
"Potrebbe essere comunque un passo avanti. Potrebbe lasciare indizi."
"O forse vuole solo che noi facciamo il suo gioco."
Espirai stanca, e lui chinò il capo.
Poi annuì lentamente.
"Chiamo i tecnici, venga con me."
Non accennai a sorrisi, né tanto meno lo ringraziai. Attesi Salina nel corridoio per un'ora certa.
Mi ero appisolata sul divanetto d'entrata quando udii dei passi.
Aprii gli occhi e lo vidi venirmi in contro.
Controllai l'ora: era mezzanotte passata.
"Allora?", domandai io non appena fu vicino.
"La chiamata è stata effettuata da una linea non protetta. Siamo risaliti all'indirizzo, e una pattuglia è già di strada."
Sentii il cuore a mille, e pensai che forse dopo tanti anni avrebbe pagato anche lui.
"Io sto andando sul luogo. Se vuole può venire anche lei."
"Sì", annuii anche io. "Ci vengo."
Sentii nuovamente i brividi sulla pelle, ma sapevo di doverlo fare.
Il viaggio fu tranquillo, qualche parola appena. Ognuno con i propri pensieri: complice, il silenzio della notte. Entrambi fissavamo il buio oltre il finestrino e riflettevamo. Non so esattamente a cosa stesse pensando Salina, ma sapevo a cosa stavo pensando io: quell'uomo era terribilmente disumano, e si poteva evincere dal modo che aveva di togliere la vita alle sue vittime, dal modo in cui le torturava, e soprattutto come infieriva su di loro una volta morte.
Quando arrivammo, scendemmo e ci incamminammo.
"Se qualcuno le chiede, faccia parlare me."
Non dissi nulla, ma dentro di me avrei voluto esprimere il mio disaccordo. Salina era indubbiamente un bravo poliziotto ed era soprattutto una brava persona, ma detestavo non poter esprimere le mie opinioni.
In ogni caso non accennai a niente di tutto ciò, e lui lo prese come un ok.
L'agente alla porta della vecchia palazzina fu l'unico a chiedere di me.
Quando salimmo però lui non c'era. L'appartamento era praticamente deserto, tranne che per qualche poliziotto. A parte un tavolino, una sedia e un telefono, lì dentro non c'era altro. Anzi, qualcos'altro c'era.
Sulla superficie di legno del piccolo tavolino era stato trovato un biglietto che diceva solo: <<Piccole e grandi mani unite. Che dici, sarà meglio?>>
Leggere quelle parole fu un pugno allo stomaco. Sapevo bene a cosa si riferiva: adesso mirava alle bambine.
Salina stava per interpellarmi quando nella stanza irruppe un uomo in impermeabile. Era di altezza media e abbastanza massiccio, calvo e dall'aria terribilmente irritata. Dietro di lui, due agenti in divisa.
"Vicequestore, che ci fa qua?", domandò Salina.
Merda, pensai io.
"Ispettore Salina, vuole spiegarmi che cosa ci fa questa donna qui?"
"È l'ex ispettore Darma del commissariato Ostia Lido di Roma. Sta tenendo una consulenza."
"Una consulenza? Le ricordo che fino a prova contraria sono io che decido chi può o no collaborare col nostro commissariato."
"Lo so, ma ho pensato che l'ispettore avrebbe potuto aiutarci. È stata lei ad occuparsi a suo tempo degli omicidi del killer delle donne."
"Killer delle donne?", domandò con tono da presa in giro, il vicequestore. "Quello che esprime l'opinione pubblica non conta."
"Però conta che il killer delle donne sia l'autore di questi rapimenti e omicidi", intervenni io.
Il vicequestore si voltò verso di me, e con un sorriso ironico stampato in viso mi chiese: "Se voleva giocare a fare il poliziotto poteva restare ad Ostia. Qua non abbiamo bisogno di altri pareri."
Si voltò verso Salina, ma io mi piazzai davanti a lui. "Il fatto di non avere più un distintivo non mi esclude dall'aiutare i colleghi."
"Ex colleghi."
"Ma sono pur sempre stata un ispettore di polizia che metteva l'anima in quello che faceva. Il fatto che le possa dare una mano a risolvere il caso non conta?"
"Non è suo compito."
"È anche mio compito."
La stanza calò nel silenzio, ed io continuai. "Visto che ha avuto il tempo d'informarsi su di me, saprà anche del caso irrisolto. Questa indagine riguarda anche me, e se il mio aiuto può significare salvare quella bambina, io non posso tirarmi indietro."
Il vicequestore calvo attese qualche secondo e annuì. Poi disse: "Non è lei che si tira indietro, sono io a frenarla. Poteva risolvere il caso a suo tempo, signorina Darma", continuò sottolineando il fatto che io non fossi più una di loro. "Lei qua adesso non c'entra niente."
Poi si rivolse a Salina e indicandomi, disse: "Non la voglio più vedere in commissariato". Torna sulla tua strada e lascia da parte la teoria del killer delle donne, o sarò costretto ad allontanare anche te."
Gli si avvicinò e con aria di sfida, disse: "E sai che lo farei."
Stava uscendo quando parlai, costringendolo a bloccarsi sulla porta. "Spero che lei abbia ragione, e che quando sarà finita, se finirà mai, riesca a dormire sogni tranquilli."
Si voltò e con quel sorriso da stronzo, disse: "Sogni tranquillissimi."
Infine sparì.
Salina mi fissò ed io fissai lui. Poi scossi il capo. Infine scesi in strada.
Ero in macchina a fissare lo spiazzale e a pensare a quello che era appena successo, quando in lontananza vidi un'insegna famigliare.
Piegai il capo come fanno i cani per cercare di metterla a fuoco. La scritta diceva "Dall'Angelo Custode".
Nell'istante in cui stavo facendo mente locale, Salina entrò in auto, chiuse la portiera e mi fissò.
"Mi dispiace."
Capii all'istante cosa aveva voluto dire. Tornai con lo sguardo sul parabrezza e dissi: "Non c'è motivo di dispiacersi. Aiutando me non concluderebbe poi tanto. Lei sarà molto più utile al caso se rimarrà all'interno del commissariato."
"Ora le credo, davvero. Ma non posso rischiare di perdere il posto e i casi che sto seguendo."
"Non gliel'ho chiesto infatti", feci una pausa e lo fissai. "Ha fatto la scelta giusta. Probabilmente avrei fatto lo stesso. Spero davvero che riusciate a prenderlo."
Lui annuì.
"Ora se non le dispiace vorrei tornare a casa", ripresi.
Mise in moto e partì. Sarei tornata a casa, avrei recuperato la mia arma d'ordinanza, e sarei andata al magazzino. Tutto senza che Salina lo sapesse. Non volevo che rischiasse il posto per me, non sarebbe stato giusto.
Arrivai a casa alle due di notte. Salutai Salina un'ultima volta e gli augurai buona fortuna. Scesi le scale ed entrai in garage. Accesi la luce e mi diressi verso un vecchio armadio. Lo aprii, mi misi sulle ginocchia, scostai delle vecchie scatole e recuperai quella più in fondo.
La fissai per diversi minuti, indecisa se scoperchiarla o meno. Poi mi decisi e recuperai l'arma. Quella era l'unica cosa che avevo tenuto di quel periodo, ma erano anni che non la toccavo.
Risalii in casa, presi le chiavi dell'auto e uscii. Infine salii in macchina e mi diressi dal killer delle donne.
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