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Fantasmi del passato - Parte seconda e ultima
Parcheggiai qualche metro lontano dal magazzino, recuperai l'arma e m'incamminai a piedi.
Quella era una zona industriale abbandonata: il posto ideale per nascondere una bambina e coprire le grida.
Arrivai davanti al posto e alzai gli occhi sull'insegna che diceva proprio "Dall'Angelo Custode".
La serranda del garage era a metà, e immaginai che l'avesse lasciata lì come una sorta di invito ad entrare. E così feci.
Feci qualche passo e mi guardai intorno: nella penombra notai che il posto era pieno di macchinari. Sembrava essere un vecchio magazzino dove a suo tempo veniva prodotto materiale di sicurezza alla persona: impalcature, pedane, ponteggi e capii il perché del nome.
Stavo esplorando il posto quando sentii un rumore. Tesi l'orecchio e lo risentii.
Immediatamente capii che c'era qualcuno in quello stanzone con me. Distinsi un'ombra, alzai l'arma e gliela puntai contro.
"Ah ah ah ah!", mi disse come un rimprovero. "Non così in fretta."
"Lascia andare la bambina", lo intimai io. "Adesso."
Nel buio e nella poca luce che c'era nel magazzino, percepii i suoi occhi infuocati puntati addosso. Poi udii una risata.
"Non sei più un poliziotto e vai ancora in giro con un'arma?", mi domandò.
Avevo ancora paura, lo sentivo. Ma ero carica di rabbia nel ripensare a tutto quello che aveva fatto.
"Allora è proprio vera quella storia che i poliziotti che vanno in pensione, prima o poi si ritrovano coinvolti in qualche caso anni dopo."
"Beh, sei stato tu a volerlo", gli risposi.
"Volevo rivederti da vicino. Mi sei mancata."
Era come se il mio corpo fosse una specie di ventosa: la mia sudorazione aumentava e sentivo i capelli attaccati al viso e al collo, pizzicarmi.
Alla fine cercai di inghiottire quel nodo che sentivo in gola, e dissi: "Voglio la bambina."
"La bambina?"
"Niente giochetti, vai a prenderla."
"Tu non sei in grado di salvare le persone. Te lo ricordi, vero?"
Deglutii.
"Io me lo ricordo bene. Ero lì con voi."
"Dammi la bambina", scandii.
Poi avanzò mostrando il volto alla luce della luna. Era la prima volta che lo vedevo in viso. Aveva occhi e capelli scuri, e non avrà avuto più di quarant'anni.
Io feci un passo indietro, ma senza mollare la presa dell'arma.
Lui allargò le braccia e sorrise.
"Non sei capace, ispettore Darma."
"Non avvicinarti!"
"O forse sarebbe meglio dire, ex ispettore Darma."
"Non avvicinarti, ho detto!"
Ma lui continuò ad avanzare con quel ghigno inamovibile sul viso.
"Sappiamo che non è solo per me che te ne sei andata dal commissariato."
"Cazzo, fermati!"
Poi si bloccò all'improvviso.
"Avanti... non basta qualche parolaccia a farti risultare credibile. Tu hai ancora paura di me e di quello che potrei farti..."
Serrai la mascella, e deglutii.
"Tu prova a toccarmi di nuovo, e giuro che questa volta ti ammazzo."
Sorrise a trentadue denti mentre diceva: "Mi piaci! Davvero! Puoi credere quello che vuoi, ma mi piaci un sacco! È per questo che ti ho lasciata vivere anni fa. Avrei potuto colpirti ovunque, ma non l'ho fatto."
"Ed è per questo che mi hai conficcato una lama lunga venti centimetri proprio dritta dove avresti potuto colpirmi organi vitali, giusto?"
Lui scosse il capo.
"Sei troppo importante per me, non lo capisci?"
"Però non saremmo mai stati una bella coppia."
"E per quale motivo?"
"Detesto gli stronzi e psicopatici come te."
Il suo ghigno sparì piano piano, e a denti stretti domandò: "Come hai detto?"
"Cosa c'è, non ridi più adesso?"
Per un attimo sembrò irrigidirsi, profondamente colpito da quello che gli avevo appena detto. Ma un istante dopo era già tornato a guardarmi con quel sorriso che detestavo fortemente.
"Se stai cercando di farmi perdere la pazienza, perdi tempo."
"Ne ho parecchio a disposizione."
Rise divertito. Poi disse: "Quando hai lasciato la polizia ti ho seguito ancora per un anno. Dopo, la tua vita era diventata così noiosa. Niente più sparatorie, niente più riconoscimenti, niente più innocenti da salvare. Come hai fatto?"
"Niente più mani addosso, niente più manette che stringono i polsi", continuai io ignorando la sua domanda. "Tu, come hai fatto a resistere?"
"Non sei mica l'unica che sa farmi eccitare, sai?"
"Immagino che fossi sempre presente ad assistere agli arresti, alle nostre facce quando guardavamo come riducevi le tue vittime..."
"Dovevate vedere le vostre espressioni! Era così eccitante!"
Io sorrisi.
"Mi chiedo come tu sia caduto così in basso."
Lui attese interrogativo.
"Eh sì. Ci hai provato con noi donne e non ti degnavamo neanche di uno sguardo."
"Balle."
Sogghignai.
"Non ti azzardare a ridere di me, troia!"
"Te la ricordi la mia partner, Susanna?"
"Oh sì che me la ricordo: è per lei che te ne sei andata. Non l'hai saputa difendere."
Ma io scansai la provocazione.
"Pensaci: eri talmente voluto da noi donne... che hai dovuto ucciderla per eccitarti", lo fissai con pena e continuai. "Perché da viva non ti avrebbe mai neanche toccato."
"Stai zitta!"
"E adesso rapisci e molesti le bambine perché una donna adulta non ti guarderebbe neanche se fossi l'unico uomo esistente sulla faccia della Terra!"
Mi si scagliò contro e la pistola cadde a qualche metro da me.
Mi afferrò per il collo, ma con un calcio me lo tolsi di dosso.
Recuperai l'arma e andai a nascondermi dietro un enorme macchinario.
Poi la sua voce mi raggiunse.
"Ispettore?", continuò. "Ispettore! Cosa fa, giochiamo a nascondino?"
Sentivo i suoi passi esplorare il posto.
"Per me non c'è problema. Io sono aperto a qualsiasi tipo di gioco. E poi... quando si tratta di cacciare una preda così appetitosa, io mi eccito il doppio."
Socchiusi gli occhi e mi concentrai sui suoi passi. Il destino di quella bambina ora dipendeva da me. Aprii gli occhi e mi accucciai a sbirciare dove fosse quando il rumore delle sue scarpe rivelarono la sua postazione. Voltai lo sguardo verso sinistra e lo vidi intento a cercarmi. Mirai ad una gamba, e feci fuoco, poi all'altra. Infine cadde.
Mi avvicinai di corsa senza smettere di tenerlo sotto tiro.
Imprecò contro di me e mi disse di tutto, ma le sue parole contavano meno di zero in quel momento.
Poi gli lanciai in grembo, una corda.
"Legati le mani a quel tubo, stronzo."
"Vaffanculo."
Sorrisi e scossi appena il capo.
"Non è un consiglio. Prendi la corda e legati le mani", caricai il colpo e continuai. "Subito."
"CHIAMA UN'AMBULANZA! NON VEDI CHE PERDO SANGUE?"
"Così adesso anche tu sai cosa si prova. Non è fantastico?"
"Potrei morire."
"Mi dispererò in un'altra vita. Ora legati le mani!"
Quando mi assicurai che i nodi fossero ben stretti, recuperai delle cinghie per bloccargli l'emorragia: mi serviva vivo.
Infine gli puntai l'arma contro e lo costrinsi a dirmi dove si trovava la bambina.
Lui sogghignò. "Se credi di aver vinto, sbagli di grosso."
"So come operi. Quella bambina è qui da qualche parte."
Annuì. "Potresti avere ragione, ma chissà a quale stadio del mio gioco si trova adesso."
Sgranai gli occhi e misi in conto che se la bambina poteva ancora essere viva, allora poteva aver subito torture.
"Lo scopriamo subito a che punto sta il tuo gioco di merda", continuai muovendomi verso l'abitacolo col microfono. Lo accesi e la mia voce venne fuori dagli altoparlanti.
"Tesoro, sono della polizia. Siamo qui per salvarti! Se mi senti, vieni fuori!"
Lo ripetei tre volte: niente. Infine ritornai da lui.
"Non ti sentirà mai", disse ridendo.
Lo fissai disgustata, e lui continuò.
"Avrei potuto tapparle le orecchie in qualche modo... o forse gliele ho proprio portate via."
La sua risata si fece ampia e riempì il magazzino, facendo eco.
Lo guardai sbellicarsi dalle risate, e a quel punto pensai a quanta paura avevo avuto in tutti quegli anni. Paura di lui, di come non ero riuscita a salvare Susanna, e di come non ero riuscita a difendermi la prima volta che mi aveva attaccato.
Infine la paura si tramutò in rabbia e mi partì un calcio diretto al suo stomaco.
Il ghigno sparì all'istante e la sua espressione rivelò la necessità di aria nuova.
Poi con l'arma lo colpii al labbro, tagliandoglielo.
Lo vidi piegato in due in cerca di salvezza.
"Sei solo una troia..." disse sfinito.
Scossi il capo. "Forse non hai capito."
Ripartii nuovamente all'attacco e lo colpii sulla parte alta del viso, ferendogli la fronte e facendogli sanguinare l'arco sopraccigliare sinistro.
Lui gridò dal dolore, e tossì, ma non disse nulla.
Mi imposi davanti a lui e dissi: "Dunque. Adesso ricominciamo daccapo."
Lui mi fissò e rimase in attesa.
"Dove si trova la bambina?"
"Sei una dura, eh?"
"Ti sorprendo sempre più, non è così?"
Rise di nuovo, sputò sangue e con tono malizioso disse: "Mi piaci proprio un sacco."
"Sì, eh?"
Lui annuì.
Io annuii a mia volta e mi guardai intorno.
"Ehi! Hai visto in che bel posto mi hai condotto?", gli domandai.
Gli diedi il tempo di capire.
"È pieno di macchinari qui", feci qualche passo. "Al contrario di te non amo sperimentare nuovi giochi", sorrisi appena. "Ma per te farò un'eccezione."
"Cosa vorresti dire?"
Feci spallucce. "Beh, perché non proviamo a vedere come se la cavano le lame di questi macchinari a tagliare carne umana?"
Mi guardò incredulo, ed io sorrisi.
"Non hai le palle per farlo", mi disse.
"Scopriamolo."
Dovevo far capire che facevo sul serio. Così, quando vidi che lui non accennava a parlare mi avvicinai ad una macchina e la misi in moto.
"Funziona ancora... è positivo!", esclamai fissandolo.
Poi lo raggiunsi.
"Avanti..."
"Cosa credi di fare? Non riuscirai mai a prendermi in braccio."
"Sei un verme a tutti gli effetti", feci cenno verso il pavimento. "Strisciando ti sentirai a tuo agio", gli dissi puntandogli l'arma contro.
"Non sei tanto furba. Io morirei comunque e potresti non ritrovare mai la bambina."
Un punto per me: mi aveva appena rivelato che la bambina era ancora viva.
"È vero, ma almeno comincerei a fare fuori un po' di spazzatura."
Lui sorrise e scosse il capo. "Non sei quel tipo di poliziotto."
"No, io non ero quel tipo di poliziotto", lo corressi. "Devi ringraziare solo te stesso se ora agisco così. Te lo ricordi cosa hai fatto a Susanna, vero? E a tutte quelle donne, a quelle bambine? A me."
Scossi il capo. "Io adesso non ho nulla da perdere, e lo sai. Tu invece puoi dire lo stesso di te?"
Mi fissò per diversi minuti che mi parvero anni. Poi disse solo: "Al piano di sotto, sulla destra c'è una porta col lucchetto. La trovi là dentro."
Senza smettere di puntargli l'arma contro, raggiunsi le scale. Poi le scesi più veloce della luce, e seguii le indicazioni.
Sparai al lucchetto. Spalancai la porta e ispezionai la stanza: notai che l'aveva insonorizzata. In un angolo vidi una coperta tremare, e udii dei lamenti.
M'identificai.
"C'è qualcuno? Sono della polizia."
Il piccolo viso bianco e spaurito di una bimba spuntò da sotto le coperte, ed io abbassai l'arma.
La piccola indossava un vestitino bianco a fiori rosa sporco, presentava qualche taglio sul viso e dentro di me pregai che non le avesse fatto un male difficile se non addirittura impossibile da guarire.
Mi avvicinai lentamente e vidi che tremava. Non disse nulla e io feci lo stesso. Infine la coprii con la mia giacca.
Il killer delle donne si liberò dall'ultima corda e si portò in piedi. Poi recuperò un martello e scese le scale. Zoppicando, si avvicinò alla stanza interessata.
Si appoggiò allo stipite e domandò: "Davvero credevi che vi avrei lasciate andare?"
Si accorse che la stanza era vuota, e si voltò di scatto.
"No", risposi io.
Fece per venirmi in contro col martello alzato e non ci pensai due volte. Feci fuoco all'istante mirando alla testa, e un rivolo di sangue gli scese dalla fronte lungo tutto il viso, passando lungo il naso, la bocca, e infine il mento. Lo sguardo senza più vita puntato su di me. Infine cadde a terra.
Espirai e abbassai l'arma. Feci qualche passo e aprii la porta di uno sgabuzzino.
La piccola stava rannicchiata con la mia giacca addosso. Mi misi sulle ginocchia, mi fissò e le dissi: "Ora chiamo la tua mamma."
Lei annuì e tornò a rannicchiarsi.
La polizia era già sul posto meno di mezz'ora dopo.
Mentre la Scientifica era dentro col cadavere, io me ne stavo fuori a pensare a quello che era successo; il tutto, dinanzi alle luci della città.
"Non smetterò mai di ringraziarla."
Mi voltai: era la donna dell'edicola, la mamma della bambina.
"Sua figlia come sta?", domandai io.
"I medici la stanno visitando, ma siamo diretti in ospedale per effettuare esami più mirati."
Attesi qualche istante. "Spero che non..."
"Non lo dica, la prego", mi interruppe la donna.
Capii all'istante quanto poteva essere straziante pensare che qualcuno potesse violare l'innocenza dei propri figli.
Annuii e lei mi porse la mano.
"Auguri, ispettore."
Le strinsi la mano. "Auguri anche a voi."
Poi la vidi allontanarsi tra il via vai della polizia, del coroner, della stampa e dei curiosi.
Mi aveva chiamata ispettore, e per qualche istante non mi aveva destato il minimo fastidio. Solo che poi ripensai a quel mondo e capii che non faceva più parte della mia vita, ora.
Continuai a fissare la donna e vidi la bimba seduta sulla barella dell'ambulanza, alzare la manina e salutarmi.
Sorrisi appena e ricambiai il saluto. Poi le porte si chiusero e l'ambulanza partì.
I lampeggianti delle volanti illuminavano il posto, e in quel momento vidi venirmi in contro Salina.
"E meno male che le avevo proibito di azzardare qualsiasi iniziativa."
"Ha ragione, ma il killer delle donne mi ha portato nel covo e ho dovuto seguirlo."
"Come l'ha capito?"
"La telefonata. Quando mi ha chiamata ha detto che l'angelo custode era tornato", feci una pausa. "Quando siamo venuti alla palazzina intercettata, questa notte, in lontananza ho visto l'insegna del magazzino e ho collegato le due cose."
"Ovviamente quando le ho detto che mi dispiaceva di doverla tagliare fuori, lei aveva già capito il collegamento."
"Diciamo che stavo valutando l'idea."
"Ecco perché non ha replicato."
Non risposi, e lui continuò.
"Poteva essere pericoloso."
"Lo è stato", annuii. "Ma poi ho pensato a cosa poteva star vivendo quella bambina, e ho dovuto venir meno al nostro patto."
Aveva capito la natura del mio gesto, glielo leggevo negli occhi.
A quel punto disse: "È stato identificato come Fabio Delavere."
Aggrottai il mento e scossi il capo. "Mai sentito."
"Mente malata dall'età di undici anni, a quanto sembra. Problemi con la madre e con le donne. In centrale potremmo saperne di più."
Io annuii. "Avrei voglia di vedere la faccia di quello stronzo del vicequestore, ma credo che me la risparmierò. Io mi fermo qua."
Lui sorrise.
"Quando ha saputo che il killer delle donne era effettivamente l'autore degli omicidi è diventato ancora più stronzo di quanto già non lo sia."
"È difficile immaginarlo."
"Ha fatto una scenata e poi si è chiuso in ufficio."
"Spero per voi e per le indagini che arrivi presto un nuovo vicequestore."
"Già."
Lasciò trascorrere qualche secondo. Poi domandò: "Allora che fa, ci ha ripensato?"
"Riguardo a rientrare in polizia?"
Lui annuì.
"Gliel'ho detto. Io mi fermo qua", feci una pausa. Dopo stasera ho capito che con tutto questo non c'entro più nulla."
"Ha salvato quella bambina. Le pare poco?"
"No", scossi il capo e per un attimo fissai un altro punto. Poi tornai con lo sguardo su Salina. "Salvare una vita non è mai qualcosa da poco, ma quello che stavo cercando con questo caso non era un tentativo di rientrare in polizia. Sentivo in qualche modo il bisogno di smettere di avere paura. Non volevo più avere paura."
"E se adesso non ha più paura perché non tentare di essere reintegrata?"
Scossi il capo.
"Dopo che si vedono certe cose la mente ha bisogno di riposo. Adesso sento di appartenere a qualcos'altro", conclusi.
"E a cosa?"
Inclinai il capo e feci per riflettere. "Non lo so. Quando lo scopro glielo dico."
Lui rise ed io sorrisi appena. Poi feci per andarmene, ma la voce di Salina mi costrinse a bloccarmi.
"Ah, a proposito..."
Mi voltai e lui disse: "Se dovesse ripensarci, lei sa dove trovarmi."
Alzai una mano.
Infine mi allontanai, lasciandomi alle spalle, volanti, lampeggianti, scientifica, polizia e cadaveri: quel mondo che per anni era stato per me come una seconda casa, e che adesso era rimasto indietro una volta per tutte.
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