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Il figlio della paura (seconda parte)
A questo punto del racconto il vecchio s'interruppe, si asciugò l'angolo della bocca e rimase con la te-sta bassa e lo sguardo fisso per terra. Aveva parlato ininterrottamente con esasperante lentezza, se lo avesse fatto in fretta avrei avuto l'impressione che stesse farneticando così invece dava l'impressione di uno che stesse, anche se disordinatamente, pensando ad alta voce. Rimase silenzioso per lunghi se-condi. Il suo silenzio non era dovuto al fatto che stesse riordinando le idee perché inconsciamente sa-pevo che non aveva alcuna perplessità su quanto volesse dirmi. Né aspettava un mio invito a continuare perché per lo stesso motivo intuivo la sua determinazione. Piuttosto mi sembrava stesse in attesa di un mio segno per non continuare il suo racconto. In effetti fino a quel momento non mi aveva detto assolu-tamente nulla. È vero che la descrizione del suo passato appariva romantica ma apparteneva ad un pas-sato ormai lontanissimo ed anche la sua analisi sul presente era sì lucida e nostalgica ma niente di più. Eppure sapevo che c'era dell'altro, lo si poteva immaginare facilmente, non aveva fatto tanta strada per nulla. Quel senso di disagio che avevo dentro mi suggeriva di congedarlo, avrei fatto certamente in tempo, era quanto volesse concedermi, perciò aveva smesso di parlare. Ciononostante la curiosità ali-mentava il desiderio di ascoltare cos'altro avesse da dirmi a dispetto dell'apprensione che mi pervadeva, dovuta sempre a quella iniziale e greve espressione dialettale: la paèur.
Il vecchio, quindi, dopo aver emesso un profondo sospiro riprese lentamente a parlare mentre io, in-tuendo che stava per arrivare al punto, trattenevo il respiro e mi calavo sempre più in uno stato d'ansia.
"Stando nascosto nel bosco ad ascoltare i racconti dei mulattieri venivo a conoscenza di ciò che suc-cedeva nel mondo e spesso quello che sentivo non mi piaceva affatto anche se, poco dopo, con una scrol-lata di spalle me ne ritornavo noncurante alla mia vita di sempre. Ci fu, poi, un periodo che nel mondo non successe granché di importante, sì è vero guerre e rivoluzioni ci sono sempre state ma ci sono an-che stati dei momenti di tregua e di pace e quello si apprestava ad essere un periodo di generale calma anche se all'orizzonte stazionavano nuvole premonitrici. In quel periodo autunnale i giorni passavano tranquilli e il bosco si apprestava a cambiare aspetto per affrontare l'imminente inverno. Le giornate cominciavano a farsi più fresche e ad accorciarsi. Poi vennero le piogge e con loro la nebbia.
Già da un bel po' mi era sembrato di intravedere in lontananza un'indefinibile sagoma scura vagare tra gli alberi e questo accadeva sempre all'imbrunire. Non sono mai stato particolarmente curioso e quella lontana figura non mi interessava più di tanto. Inconsciamente, però, devo ammettere che quella pre-senza mi metteva addosso un certo disagio. Temevo infatti un imbarazzante incontro. Fu quanto avven-ne alcune sere dopo al tramonto di una fredda e umida giornata di tardo autunno. Nel pomeriggio aveva piovuto e verso sera, dopo la pioggia, era calata la nebbia che andava infittendosi. Stavo ritornando al capanno quando, a poca distanza da esso, cominciai a percepire nell'aria una disagevole presenza estra-nea. Inconsciamente sapevo che quell'incontro, tanto temuto, stava per verificarsi perciò, anziché acce-lerare il passo, presi a camminare più lentamente e guardingo.
"UOMO!" Sentii improvvisamente una voce chiamarmi. Aveva un tono basso, poco più di un sussurro ma con ferma intonazione. Mi fermai rassegnato portando lo sguardo nella direzione da dove mi era sem-brato provenisse il richiamo. Non sbagliai, infatti tra gli alberi alla mia sinistra intravidi una figura in-definibile, tutta ammantata di nero e con un ampio cappuccio che, ricadendo in avanti, ne oscurava il volto. Rimasi fermo e silenzioso, la mia risposta, infatti, era stata il gesto di fermarmi. Lentamente mi si avvicinò, quindi vidi aprirsi il mantello sul davanti e fuoriuscirne due braccia nude e bianchissime che reggevano tra le mani un involto di stoffa, la stessa del mantello. Del volto intravidi solo il mento che mi sembrò bianchissimo come le braccia. Ero terrorizzato dalla paura e, questa era per me una sensazione nuova e mai provata nella solitudine del bosco. Fui percorso da una brivido di gelo ma, ciononostante, la rassegnazione mi donava una straordinaria calma.
"UOMO, PRENDI" così dicendo allungò le braccia porgendomi quel fagotto e, mentre a mia volta al-lungavo meccanicamente le mie, pronte a riceverlo, aggiunse:
"Prendilo ed abbine cura, è mio figlio, io non posso tenerlo perciò te lo affido. Un giorno torne-rò a riprenderlo".
Non disse altro e non mi lasciò nemmeno il tempo di pronunciare una parola. Avevo infatti abbassato lo sguardo verso quel fagotto che improvvisamente mi era stato depositato tra le mani e quando rialzai gli occhi ella era svanita nella nebbia portandosi dietro anche il mio disagio e la mia apprensione. Girai più volte, ma invano, il capo in ogni direzione senza riuscire a intravedere nemmeno un'ombra vagante ne a percepire alcun fruscio, era svanita nel nulla. Quindi con quel fagotto, apparentemente senza peso, ri-presi il cammino verso il capanno laddove lo depositai con estrema delicatezza sul giaciglio di foglie sec-che, poi cercando di fare il minimo rumore per non svegliarlo mi apprestai ad accendere il fuoco. Il bambino restò silenzioso per tutto il tempo che vi impiegai e, infine, quando il fuoco cominciò ad emana-re un chiarore sufficiente, mi inginocchiai e svolsi il pesante panno che lo avvolgevo. Man mano che il piccolo veniva alla luce potevo notare con mia grande meraviglia la bellezza e la delicatezza di quel cor-picino. Aveva pochi mesi di vita ed era roseo come un petalo di rose. Aveva lineamenti dolcissimi e un vi-so bellissimo con profondi occhi azzurri. I capelli, da quel poco che potevo vedere, erano biodi e ricci. Il bambino, mi accorsi, era ben sveglio e mi guardava sorridente e felice e per tutto il tempo che passò prima che si riaddormentasse di nuovo non emise alcun piagnucolio.
Nei giorni seguenti il mio problema principale fu quindi di provvedere al suo nutrimento per cui tra-scorrevo molte ore fuori e lontano dal capanno. Il piccolo non mi dava alcun problema né mi preoccupava il pensiero di doverlo lasciare solo durante il giorno. Era straordinariamente calmo e non piangeva mai, inoltre sembrava che anch'egli non si preoccupasse più di tanto di restare solo. Ricordo invece ancor og-gi con tenera gioia che ogni qualvolta rientravo nel capanno i suoi occhi si illuminavano di contentezza e mi sorrideva radioso.
Passò quindi l'inverno, poi, la primavera e l'estate e... altri autunni. Il bambino cresceva felice tra la natura e, presto, cominciai a portarlo con me nei miei spostamenti. Mi seguiva docile come un agnellino, dapprima mano nella mano, poi, sempre con maggiore indipendenza. Era felice e lo intuivo dalla sua e-spressione sorridente alla natura e alle sue svariate forme.
Incredibilmente il ragazzo non parlava mai cosa della quale, devo confessare, non ebbi mai modo di addolorarmene perché, per ovvie ragioni, anch'io sono stato un tipo taciturno. Dapprima temetti fosse sordomuto ma col tempo mi ricredetti, egli sentiva benissimo, percepiva ogni piccolo rumore o fruscio lo notavo dalla istantaneità con cui volgeva lo sguardo nella direzione dei rumori. Intanto il ragazzo cre-sceva e la nostra unione si rafforzava sempre di più, il suo naturale cambiamento avveniva davanti ai miei occhi così come la natura stessa che ci circondava.
Un giorno iniziai a condurlo con me alla sorgente e insieme restavamo ad ascoltare, celati tra il fo-gliame, i racconti dei viandanti e le informazioni che si scambiavano, notavo allora che a certe notizie di guerre, rivoluzioni o calamità naturali il suo viso si oscurava turbato, abbassava il capo e due lacrime prendevano a solcare quei lineamenti delicati allora lo accarezzavo e scompigliandogli con una mano i folti capelli biondi gli sussurravo "Su, su, coraggio, vedrai che passerà". Forse erano le mie parole o quelle carezze a rincuorarlo perché rialzava la testa e mi guardava intensamente, ma sereno, mentre gli occhi gli brillavano umidi, infine, posando il capo sul mio petto con le braccia mi stringeva forte la vita. Non ho mai capito se in quei momenti cercasse protezione da me o se, invece, mi donasse la sua.
Passarono gli anni ed ormai si era fatto un superbo giovanotto, alto e forte e, con quei capelli biondi e ricci sembrava un dio. Ora era lui che conduceva me nel bosco ed io ben felice di seguirlo e di affidarmi al suo vigore. Ora era lui che si fermava ad indicarmi quelle stranezze della natura che da piccolo lo a-vevano tanto colpito ed io, divertito, a parti ormai invertite, mi fingevo interessato e sorpreso.
Cambiarono, però, anche i tempi e all'orizzonte si stavano ingrandendo minacciose quelle nubi di tem-pesta che già da molto tempo scrutavo. La conferma alle mie preoccupazioni mi veniva dalle notizie dei mulattieri presso la sorgente. Parlavano di forti tensioni nel mondo che spesso sfociavano in atti di in-tolleranza e guerriglie. Egli s'incupiva ma lacrime sul suo volto non scorrevano più ed io temevo che stesse rassegnandosi ad un destino che solo io non conoscevo. E venne il giorno che le notizie erano un resoconto di fatti che ci interessavano molto da vicino. La guerra non bussava più alle nostre porte ma era entrata prepotente nelle nostre case. Si combatteva ovunque e non era più un'espressione racchiusa in un'area ben circoscritta bensì un fuoco che divampava in tutto il continente ed oltre. E una sera, pur-troppo, mentre stavo eccezionalmente rincasando da solo giacché per la prima volta si era rifiutato di seguirmi, tra le ombre della fredda nebbia autunnale, giunto davanti al capanno, sentii quella voce che non avevo mai dimenticato ma che avevo invano sperato di non dover mai più sentire.
"UOMO!" Era lì, vestita nell'identico modo di tanti anni prima con quel cappuccio calato sugli occhi. Da una fessura del mantello sbucò fuori il nudo braccio dalla pelle liscia e bianchissima e, con la mano aper-ta, mi indicò il capanno.
"Uomo, sono tornata a riprendermi il figlio" quelle parole, pur tanto prevedibili e maledettamente temute, mi gettarono in un profondo sconforto togliendomi ogni forza di reazione, sapevo che prima o poi sarebbe tornata e, in cuor mio, avevo sempre sperato che ciò non avvenisse mai. Inebetito e con il cuore gonfio di tristezza vidi l'uscio del misero capanno aprirsi lentamente ed uscirne lui, il mio ragazzo, addobbato di tutto punto pronto alla partenza. Mi volse un ultimo sguardo carico di tristezza e con un debole sorriso di rassegnazione, a testa bassa, si allontanò a fianco della figura mantellata dileguandosi nella penombra della sera".
Quel ricordo, evidentemente ancora così toccante, sembrò abbattere ancor più il vecchio che, facen-do una pausa, prese ad asciugarsi con lo stesso fazzoletto sia l'angolo della bocca che gli occhi umidi. Nella stanza la sera avanzava rapidamente e quella poca luce filtrante tra la nebbia andava affievolen-dosi, ciononostante non accesi la lampada da tavolo, probabilmente sapevo nel mio inconscio che se l'avessi fatto quell'atmosfera irreale sarebbe svanita immediatamente. Così, rapito dal suo racconto, mi apprestai ad ascoltare il resto.
"I giorni che seguirono divennero vuoti come il mio cuore, vivevo nello stesso modo di prima ma la man-canza del ragazzo mi faceva pesare per la prima volta la solitudine. Continuavo a recarmi alla sorgente ad ascoltare i mulattieri e le informazioni che si scambiavano inizialmente riguardavano solo episodi del-la guerra in corso poi, immancabilmente, si approfondivano nei ricordi di conoscenti scomparsi. Infine non transitò più nessuno.
Erano trascorsi pochi anni da quando era tornata a riprendersi il ragazzo ma a me erano sembrati millenni tanto i giorni si erano susseguiti tristi e grigi. Una sera, con la nebbia più fitta del solito, riav-vertii improvvisamente quel senso di disagio che aveva sempre preannunciato i nostri incontri e così, nelle immediate vicinanze del capanno udii la sussurrante voce:
"UOMO - mormorò gelandomi - uomo sono tornata per ridarti questo".
Così dicendo estrasse da sotto il mantello un piccolo cofanetto e porgendomelo disse:
"È ciò che resta del nostro ragazzo. Tu lo hai cresciuto ed è giusto che sia tu a prendertene cura ancora una volta."
Come tanti anni prima, mi posò tra le mani quell'oggetto svanendo poi nel nulla. Rinunciai perfino a cer-carla inutilmente con gli occhi, rimasi invece a fissare il cofanetto. Poi entrai nel capanno e accovacciato sul giaciglio di foglie secche presi a cullarlo con tutto l'amore che possedevo. Ormai da quel giorno è passato tanto tempo ed oggi temo di non aver più la forza di poterlo fare, non voglio che si perda nel nulla per questo ve lo consegno con la preghiera di custodirlo gelosamente. Un giorno tornerò anch'io a riprenderlo".
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