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Il figlio della paura (ultima parte)
Così dicendo estrasse da chissà dove un piccolo cofanetto di legno e lo pose delicatamente davanti a me sulla scrivania. Sorpreso, posai lo sguardo su quell'oggetto, allungai le braccia, lo sollevai tra le mani e con stupore constatai che era alquanto pesante. "Ma...!" cominciai a dire, ma le parole mi morirono in gola, davanti a me non c'era più nessuno, la porta dello studio era aperta e del vecchio non restava alcuna traccia. Mi alzai di scatto dalla poltrona dirigendomi verso la porta giusto in tempo per vedere il portoncino d'ingresso richiudersi. Mi precipitai in strada e... nulla, fuori vidi solo la nebbia, fredda e ormai scura. Ancora sotto l'effetto sorprendente di quell'epilogo rientrai nello studio e accesi finalmente la luce. Il cofanetto giaceva lì sulla scrivania. Ritornai a sedermi e rimasi a guardarlo pensieroso: "cosa mai ci sarà dentro?" mi chiedevo e poi pensavo: "le ceneri di un ragazzo? No, impossibile!". Alla fine mi feci coraggio e dopo alcuni titubanti tentativi alzai il coperchio. Ciò che vidi mi fece balzare in piedi con un grido strozzato in gola. Improvvisamente sentii il mio corpo pervaso da un gelo agghiacciante. Davanti ai miei occhi inorriditi c'era un cuore umano... e... misericordia di Dio... BATTEVA!. Sì, il cuore PULSAVA nel cofanetto. Terrorizzato chiusi il coperchio, presi le chiavi dello studio e di corsa scesi le scale. Mi precipitai fuori nella nebbia richiudendo l'uscio a chiave poi mi infilai nella macchina parcheggiata lì davanti e dopo aver messo in moto mi avviai disperato. Percorsi solo qualche centinaio di metri, poi rendendomi conto dell'assurdità di quella situazione e, ancor peggio, di far partecipe qualcun altro dell'accaduto, fermai la macchina e, invertita la marcia, ritornai davanti lo studio. Lì rimasi parcheggiato non so quanto tempo fissando l'uscio timoroso e incredulo.
Quando infine i battiti del mio cuore divennero meno tumultuosi e il respiro regolare trovai la forza di rientrare. La luce era ancora accesa, nella fretta non l'avevo spenta, così come non avevo spento la radio che trasmetteva della musica sinfonica. Sulla scrivania il cofanetto giaceva con il coperchio abbassato. Fermo sull'uscio stetti a fissarlo e stranamente cominciai ad avvertire una sensazione di dolcezza che lentamente subentrava al terrore che prima mi aveva attanagliato e che ora andava dissolvendosi. Allora ritornai presso la scrivania e dopo aver tirato un profondo sospiro risollevai il coperchio. Il cuore era lì e pulsava. Con il fiato sospeso rimasi a fissarlo. Esternamente avevo riacquistato un certo equilibrio ma nella mente avveniva un processo tumultuoso. La ragione si rifiutava di accettare quell'evidenza ma quell'oggetto così irreale evidenziava i limiti della mente a considerare gli eventi oltre la ragione stessa. Mi trattenni fino a tarda sera, solitario davanti al cuore pulsante. Cercavo infatti di ragionare nel tentativo di darmi una spiegazione logica. Immancabilmente però il dialogo nella mente si esauriva dopo pochissime battute.
"può un organo del nostro corpo vivere in quel modo al di fuori del corpo stesso?" no! Assolutamente no! Era la risposta.
"E allora questo come si spiega?" era la successiva domanda alla quale non c'era né ragione né logica che potesse rispondere. Fu solo quando la mente cominciava ad accusare la stanchezza di quel vano lavorio che mi accorsi di un fatto ancor più straordinario di quanto già lo fosse quella situazione.
Per tutto il tempo che avevo passato a contemplare quel cuore la radio era rimasta accesa e sintonizzata sulla stessa stazione che trasmetteva musica sinfonica e contemporaneamente il cuore aveva pulsato con estrema regolarità. Quando infine la musica cessò le pulsazioni divennero irregolari, a momenti sembravano fermarsi, in altri invece riprendevano più intense. In ultimo venne trasmesso il notiziario. Quella sera le notizie riguardavano alcuni eventi sportivi, i soliti pettegolezzi sulla casa regnante inglese, un omicidio di stampo mafioso in Sicilia, la solita minacciata crisi di governo e alcune ricorrenti scaramucce presso non so quale confine. La scoperta più straordinaria fu che le pulsazioni cambiavano di ritmo in relazione alle notizie trasmesse. Erano lente, anzi lentissime, quando si trattava di notizie futili e diventavano più frequenti quando erano serie fino ad apparire agitate quando gli eventi annunciati riguardavano drammi sociali. Quella scoperta divenne la mia ancora di salvezza così presi la decisione di sollevare il coperchio del cofanetto ogni giorno alla stessa ora in cui veniva trasmesso il notiziario.
Anche oggi, e siamo in autunno inoltrato, in un tardo pomeriggio umido e nebbioso, mi ritrovo solitario nello studio. È passato giusto un anno, guardo l'orologio e sono quasi le diciotto e trenta. La radio trasmette una musica di Mozart e tra poco verrà trasmesso il puntuale giornale radio. Chiudo a chiave la porta d'ingresso e mi accomodo sulla poltrona. Estraggo il cofanetto e lo poso con delicatezza sulla scrivania, davanti a me, e ne sollevo il coperchio. Il periodo che stiamo attraversando non è molto tranquillo. Già da qualche giorno le notizie trasmesse non sono tra le più rassicuranti, speriamo comunque che oggi siano migliori. Alzo di un tono il volume della radio, ancora pochi minuti ed ecco il segnale orario seguito dallo stacchetto musicale che fa da sigla al notiziario. Ora ci siamo.
"Giornale radio" annuncia una voce maschile "buonasera, in studio... con la collaborazione di..." i miei occhi sono puntati sul cofanetto. Il cuore sembra essersi fermato in attesa anch'esso delle notizie, anche il mio sembra agire in sintonia.
"Riunione del Governo oggi pomeriggio per..." annuncia una seconda voce femminile.
plop... plop... plop... plop.
"Sciopero generale indetto dalle tre confederazioni sindacali per..."
plop... plop... plop... plop.
"Sciagura ferroviaria in..., venti morti circa un centinaio i feriti"
plop... plop... plop... plop... plop.
"Ancora violenze in Thailandia..."
plop... plop... plop... plop... plop... plop
"Africa centrale, più di ventimila le vittime finora per la fame"
plop... plop... plop... plop... plop... plop
"Afganistan, ancora attentati, abbattuti tre elicotteri ONU mentre si scatena la più sanguinosa offensiva dei telebani..."
plop... plop... plop... plop... plop... plop... plop
I battiti sono diventati così veloci che il cuore sembra voler balzare fuori dal cofanetto che lo ospita.
"Ucraina, si teme un altro incidente atomico alla centrale di... le conseguenze sarebbero cento volte maggiori di quelle di Cernobyl..."
plop... plop... plop... plop... plop... plop... plop
Ora il cuore è come impazzito. I battiti si susseguono con rapidità impressionante, di contro il mio respiro si fa lentissimo. Sono angosciato. Un impulso protettivo mi spinge verso il cofanetto. Ho voglia di allungare una mano per accarezzare il cuore e infondergli coraggio. Le mie dita lo sfiorano e si fermano incerte. Come diceva il vecchio in questi casi? Ah! Sì, coraggio!
Coraggio??, ma sì certo, un lampo mi squarcia la mente: coraggio!!, un sorriso euforico esprime la mia scoperta. Coraggio, questo è il suo nome.
"Coraggio!, Coraggio!" prorompe infine la mia voce. "Coraggio - ripeto di nuovo con dolcezza - vedrai che passerà".
Ancora pochissimi battiti a velocità vertiginosa poi, dopo alcuni attimi di intervallo, riprende a battere con minor intensità fino a normalizzarsi. Allora non mi sento più solo, so di aver trovato un amico. Sorridendo chiudo il cofanetto e lo rimetto nella sicura dimora della scrivania, quindi mi alzo, non prima di aver spento la radio, pronto ad uscire dallo studio.
Con animo sereno mi dirigo verso la porta, sblocco la serratura e l'apro, giusto in tempo per trasalire sorpreso. Nella penombra esterna si staglia la figura del vecchio. È trascorso esattamente un anno ma è identico a come lo ricordavo, anche i vestiti sono gli stessi.
"Buona sera" mi saluta a bassa voce.
"Buona sera" gli rispondo contento di vederlo ed assalito ad un tempo dall'incontenibile ansia di annunciargli la mia scoperta circa il cuore. Ma il suo sguardo mi fa desistere, è come se già sapesse quanto desidero dirgli.
"Sono tornato a riprendermi il cofanetto - poi, interrompendo con un gesto della mano ogni mio tentativo di obiettare, continua - ma... adesso credo che non sia più necessario, penso che posso lasciarglielo ancora in custodia, non è vero?"
"Si... Credo di si" rispondo confuso e meravigliato e, mentre si volta per andarsene, faccio in tempo a chiedergli: "Non mi avete ancora detto il vostro nome".
Mentre risponde mi rivolge, forse per l'ultima volta, uno sguardo tra l'ironico e il divertito.
"Che importanza ha il mio nome?, nessuno fino ad ora ha sentito il bisogno di chiamarmi con un nome. Non lo conosco neanche io, non so nemmeno se ne ho uno e, se mai ne ho avuto uno si perde ormai nel tempo. Sì, chiamatemi pure TEMPO".
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