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L'ultima occasione per capire qualcosa
Sto girando da più di tre ore. La spia della benzina si è appena accesa e ho una maledetta voglia di fumare una sigaretta. Finora ho litigato con quattro distributori. Il primo era guasto. Il secondo non prendeva il codice fiscale, il terzo non prendeva i miei 5 euro, l'ultimo se li è proprio divorati. Senza nulla in cambio.
Ho ancora la mano destra dolente per i pugni che ho tirato alla saracinesca. Su un paio di nocche i graffi bruciano. Ma neanche così tanto.
In giro da tre ore. Per le sigarette. Ho sprecato finora 180 minuti della mia vita per cercare qualcosa che probabilmente mi ucciderà entro un centinaio di anni.
Meglio accendere un po' di radio.
Dimenticavo.
La radio non c'è.
Chissà dove sono finito. Una strada a due corsie, di quelle provinciali. O statali. O come diavolo si chiamano. Cambiano nome ogni starnuto. Due corsie, lampioni ogni cento metri e qualche cespuglio per dare quel goccio di naturale che all'automobilista piace tanto. Ai lati della strada è tutto nella norma. Non c'è niente di interessante. Nemmeno qualche prostituta.
Sono certo di essere uscito dalla città
Sono certo di essere uscito.
Sono un po' meno certo di essere.
Un'autostoppista.
No.
Un autostoppista.
Accosto e abbasso il finestrino.
- Dove vai?
- Da qualche parte.
- Sali.
Partiamo.
Un uomo che avrà tra i 25 e i 50 anni. Viso rotondo con zigomi levigati dal colesterolo, sopracciglia spoglie e nere, occhi rossi grossi quanti quelli di una rana. Un accenno di barba. Un accenno di baffi. Berretto di lana rossa. Siamo a luglio. Giacca verde lunga fino alle ginocchia. Pantaloni di velluto azzurri. Scarpe indefinibili. Davvero vestito male. Le scarpe sono sporche di fango, ma non me ne faccio un cruccio. Anzi.
- Meno male che ti sei fermato. Non hai idea di tutto quello che mi è successo stanotte. Se vuoi un consiglio, quando le cose sembra che non abbiano senso, in realtà non ce l'hanno - dice scandendo il "non", - Alla fine i conti tornano sempre.
- Davvero? - rispondo con falso interesse.
- È incredibile. Quello che ho passato io stanotte non è credibile.
- Allora non raccontarmelo.
L'autostoppista si censura in un mutismo molto offeso.
- Hai una sigaretta? - gli chiedo senza guardarlo.
- No. Un pacchetto - mi risponde senza guardarmi.
- Benissimo.
Il viaggio prosegue. Per un quarto d'ora non ci diciamo niente. Per il quarto d'ora successivo anche.
- Hai la spia della benzina accesa.
- Lo so.
- Benissimo.
Ancora dieci minuti di silenzio. La provinciale è cresciuta, maturando in un'autostrada. Non ricordo nemmeno quando l'ho imboccata.
- Mi offri una sigaretta?
- Volentieri. Ce l'hai l'accendino.
- No. Mi faresti accendere?
L'accendino libbra nell'aria, senza gravità, sostenuto da nessuno. Il lato del passeggero è vuoto, eppure qualcuno o qualcosa mi sta accendendo la sigaretta. Una Winston rossa.
La mano destra fa ancora male. Dalla nocca del medio esce un po' di sangue.
- Vuoi un fazzoletto?
- Sì grazie.
Come l'accendino. Un fazzoletto bianco a triplo strato mi accarezza il dorso della mano pulendomi del mio stesso sangue. Ringrazio.
- Accosta pure. Sono arrivato.
Una piazzola di sosta. Finora non abbiamo incrociato nessuna macchina. L'autostoppista scende e mi ringrazia. Mi offre il pacchetto. Io accetto ben volentieri. Il berretto di lana.
Vedo lui ma non vedo il pacchetto. Eppure me lo porge. Eppure sento materialmente qualcosa nella mano. Eppure vedo la tasca gonfiarsi. Mi saluta. Sorride. Se ne va.
Rimango fermo lì per chissà quanto. Non mi muovo. Ma stasera che cos'ho combinato?
Sono uscito dal lavoro. Alle tremila e diciassette. Sono passato a casa e ho mangiato gli avanzi degli avanzi dell'arrosto di ieri. Ieri? Ieri. Ho preso la macchina. Avevo voglia di fumare.
Esco dalla macchina e una leggera brezza mi investe, spettinanomi quel tanto che basta per farmi bestemmiare. Mi copro gli occhi, come se una tempesta di sabbia stesse per abbattersi su quei tre metri quadrati su cui mi trovo. Un gesto istintivo. Che bella che è questa macchina.
Il proprietario deve averci speso una fortuna. Già che c'era poteva installarci un antifurto migliore. Io questi morti di fame non li capisco.
Non ci avevo fatto caso. Sul sedile posteriore c'è una pala.
La prendo e mi accendo una sigaretta. Non fa caldo. Passa un camion a una velocità folle. Lo fisso mentre abbandona l'orizzonte tra lampioni che hanno il singhiozzo e cielo scuro che più scuro non si può.
Scavalco la recinzione in ferro della piazzola di sosta. Un gesto istintivo. Terra e fango. Deve aver piovuto. Forse.
Mi metto a scavare.
Dieci minuti.
Una leggera brezza.
Tocco duro.
Rumore di ferro. Rumore fastidioso.
Getto la pala per terra. Una fossa di circa quaranta centimetri. Adesso scavo a mani nude, utilizzando maggiormente la sinistra per non aggravare il dolore della destra.
Un piccolo cofanetto. Di ferro. Ferro? Ferro. Su per giù 80 centimetri per venti, profondità una trentina. Pesa all'incirca una decina di chili. Sono abbastanza palestrato per reggerlo come se pesasse qualche grammo. Avvicino il cofanetto monotinta all'orecchio. Nessun rumore. Lo annuso. Nessun odore.
Sento qualcosa.
Un respiro.
Dietro di me.
Mi giro di scatto.
Una donna.
Mi correggo.
Una donna girata di spalle. Ferma. Immobile. Le braccia stese lungo l'esile corpo, vestita con una vestaglia trasparente. A piedi nudi.
Silenzio.
Un respiro.
La donna corre via, verso il buio.
L'ansia. L'ansia. Ansia ansia ansia ansia ansia ansia. Tonnellate di ansia mi pressurizzano il cranio. Eppure non sento paura. Non rimane che aprire il cofanetto.
Un colpo deciso e la serratura si apre, quasi rompendosi.
Dentro un corpo. Un piccolo corpo. Nudo. Credo. Verdastro. Testa enorme, sproporzionata rispetto al minuto qualcosa che dovrebbe essere la sua cassa toracica. Un paio di braccia secche da far schifo e due gambe.
Il corpo di un alieno. Un alieno morto. Un alieno.
Appoggio il cofanetto per terra. Devo fumare una sigaretta. Non ho l'accendino.
L'autostoppista mi porge il suo. Mi accendo una sigaretta e lo ringrazio. Corre via senza salutare. Correndo all'indietro.
Sotterro il cofanetto, richiudendolo con cura.
Un lavoro ben fatto.
Scavalco la recinzione.
Salgo in macchina.
La macchina non parte.
Senza benzina.
Scendo dalla macchina.
Non mi resta che fare una cosa.
Fare l'autostop.
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