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Antichrist VI
Sono quasi le sei del mattino ed è già da mezz'ora che ci troviamo nel mio ufficio. Lei si è data una ripulita. Ora, senza sangue appiccicato addosso e con il viso ripulito appare sotto un altro aspetto, non certo quello trasandato, da cerbiatta in fuga, com'era un'ora fa quando è stata trovata, rannicchiata e tremante seminascosta dal vecchio portone in via Palestina.
La osservo attentamente mentre è tutta intenta a sorseggiare un tè caldo, non ha voluto caffé né latte. Ora non trema più, evidentemente si sente al sicuro, lontana da ogni pericolo, ma nonostante ciò non smette di guardarsi intorno e sobbalzare ad ogni piccolo rumore. L'istinto della cerbiatta non l'ha del tutto abbandonata. Lascio che finisca di bere il te per continuare a interrogarla. Per la verità da quando è comparsa sulla scena non è che abbia detto granché, tranne che si chiama Chiara e che si trovava sul posto del delitto perché esortata al telefonino. Da chi? Lei ripete spesso un nme "Gerard" , accompagnato ogni volta da un sussulto.
"È il tuo ragazzo, questo Gerard?" le chiedo.
"Sì, era l'uomo della mia vita" risponde a muso d'uro, ostinatamente.
"Da quando lo era? Lo conoscevi da molto?"
"Che importanza ha il tempo quando si tratta di sentimenti?"
"Uhmm! Quindi era il tuo uomo ma non lo conoscevi da molto, è così?"
"Lo conoscevo da quanto basta e a voi cosa importa?"
"Importa perché se lo conoscevi abbastanza bene per avere con lui una relazione non ci dovrebbe essere nella tua rubrica telefonica la dicitura <chiamata da uno sconosciuto> o mi sbaglio?"
"Uffa, ma che volete da me? Vi ho già detto come stanno le cose. Non sono stata io a ucciderlo, semmai avrei dovuto essere la seconda vittima"
"Di chi? La vittima di chi, Chiara?"
"Dell'assassino, mi sembra ovvio"
Uhmm! Allora facciamo un attimo il punto. Sei la donna di Gerard, la vittima, ma non lo sei da molto, vieni chiamata sul telefonino dall'assassino, che non conosci affatto, e non sai il perché, giusto?"
"Sono stata chiamata da Gerard" afferma con convinzione.
"No, ti sbagli, sei stata chiamata dall'altro. Sul telefonino ci sono le impronte tue e di un'altra persona. Sì ci sono anche quelle di Gerard ma non sui tutti i tasti che hanno composto il tuo numero"
La rivelazione la colpisce come uno schiaffo in pieno viso, non aveva immaginato niente del genere. Quello che mi stupisce, invece, è la sua reazione, per nulla sconvolta, semmai di rabbia repressa.
"Ventisette anni, hai ventisette anni, e sembri sicura di te, pronta ad affrontare ogni pericolo che la vita ti frappone, mi ricordi tanto mia figlia, la stessa età. Le somigli molto, ho perso lei non vorrei perderne altre di quest'età" sono sincero, sebbene cerco di fare breccia da qualche parte.
"Bugie, non vedo la fede, quindi non hai nemmeno una figlia" è coriacea.
"Sono allergico all'oro, tutto qui." Lei commenta con una incurante scrollata di spalle.
"Chiara, quella fogna dell'Antichrist dove andate a strafarvi adesso è chiusa, riaprirà questa sera alle nove ed allora vi sarà una squadra di agenti che setacceranno il posto. Ti assicuro che lo rivolteranno come un calzino, poi parleranno con ogni possibile testimone: baristi, buttafuori, cubiste e quant'altri alla ricerca di un indizio qualsiasi che collega te a Gerard e a questo misterioso personaggio, di cui tu asserisci di non saperne niente. Chiara, se sai qualcosa faresti bene a dirmelo adesso perché stai tranquilla che da stasera in poi qualcosa salterà fuori e, poi, non sarà la stessa cosa. Lo capisci questo?"
"Io non so niente"
"Neanche del tuo uomo sai niente? Di quel Gerard?"
"Ho già detto che quello che c'era tra noi due a voi non interessa"
"Ovviamente non sai nulla di lui. Come ad esempio che il suo nome per intero era Gerardo Improta, nativo di Potenza e trapiantato da queste parti una decina d'anni fa. Allergico ad ogni forma di lavoro, è sempre vissuto ai margini della legge, con qualche capatina ogni tanto nei nostri accoglienti alloggi. Sì Chiara, era una nostra vecchia conoscenza, furto, scippo, spaccio e prostituzione. Tu non mi pare appartenga a qualcuna di queste categorie sociali, perciò come devo classificarti"
Appena finisco di parlare squilla il telefono, è il laboratorio. Ascolto con interesse quanto mi dicono mentre lei finge disinteresse. Credo che abbia qualche idea che le frulla per la testa e la cosa non mi piace per niente. C'è ancora un assassino in giro. Quando abbasso la cornetta lei afferma nervosa:
"Voglio andare via, non potete trattenermi oltre. Io non ho fatto niente" Cazzo se è vero! Ho le mani legate.
"Va bene, d'accordo, ti lascio andare" È come dentro un bunker, non vedo modo di poterlo forzare, non mi resta che lasciarla andare. Prima, però voglio giocarmi l'asso nella manica. Mi alzo dalla mia poltrona girevole e la precedo verso l'uscita. Apro la porta e mi soffermo non lasciandole lo spazio per passare.
"Senti Chiara, devo proprio dirtelo, a sei isolati di distanza abbiamo trovato un taxi giallo, apparentemente abbandonato. Dentro vi erano chiazze di sangue, il laboratorio le ha esaminate, appartengono al morto (di proposito uso questo termine asettico verso i suoi sentimenti). Quindi supponiamo che l'assassino sia un tassista o qualcuno che si sia spacciato per tale. Abbiamo anche confrontato altre impronte con quelle trovate sul telefonino e... Combaciano. Questo significa che ha fare quella telefonata non sia stato il tuo uomo ma l'assassino, il fantomatico tassista. Tu, Chiara, per caso conosci qualche tassista in particolare?"
Parlando l'ho osservata attentamente. È davvero tosta la tipa, anche bella, di una bellezza fredda, glaciale come i sentimenti che la devono pervadere. Non ha battuto ciglio su quanto le ho detto anzi, mi ha dato l'impressione di essere io a metterla al corrente di una buona dose di dati da analizzare. Ho paura per lei, mi dispiacerebbe se facesse una brutta fine, ma mi trovo con le mani legate.
Alla mia domanda non ha risposto, ha fatto un passo avanti con fermezza sparandomi a bruciapelo:
"Capisco perché sua figlia l'abbia lasciata, col suo modo di fare..." È un colpo basso che non mi aspettavo affatto, prima di spalancare del tutto la porta per lasciarle il passo tiro su un profondo respiro.
"Posso solo darti un consiglio da, come ti pare, vai a casa e restaci. Là fuori c'è qualcuno che non ha ancora chiuso i conti. Riflettici." Mi scanso e le lascio libero il passo. A poca distanza, nell'atrio vedo la sagoma di Castelli che staziona in attesa di direttive gli lancio un'occhiata accompagnata da un cenno. Lui abbassa la testa in segno d'intesa e si appresta a iniziare il pedinamento della ragazza.
Chiudo la porta dell'ufficio, guardo l'ora, manca poco alle sette, non è il caso di andare via, tanto tra meno di un'ora dovrei essere di nuovo in servizio. Mi sfilo la giacca, sgancio la fondina con la Beretta riponendola nel secondo cassetto della scrivania. Mi stiracchio e poi prendo posto sprofondandomi nella poltroncina. Con i tacchi poggiati sul bordo della scrivania mi accingo a rilassarmi qualche minuto ma sono interrotto da un delicato bussare alla porta. Invito a entrare, è Ines la giovane agente, mascotte tutto fare del commissariato, mi porge una busta chiusa, bianca, piccola, come quelle dei biglietti da visita. L'apro, dentro vi è un biglietto con poche righe.
"Mi dispiace per sua figlia, Commissario, non sapevo. Chiara" Faccio cenno a Ines di andare, non c'è risposta. Rimetto il biglietto nella busta. Apro il primo tiretto della scrivania per depositarla, il mio sguardo cade su una piccola fotografia che tengo gelosamente rinchiusa. È di una ragazza di ventisette anni, sorride a me e al mondo intero. Rappresenta il mio rammarico di padre che mi porterò dentro per tutta la vita. Penso a lei e rivedo lamiere contorte e fiumi di sangue. Quattro corpi straziati senza vita. Richiudo con amarezza il tiretto. Non scorrerà mai abbastanza sangue.
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