Eccola ritorna. La sento salire, sempre alla stessa ora, m'invade come un'onda di marea e mi sconvolge il cervello, i pensieri. A volte credo di riuscire a liberarmene o almeno a dominarla. Niente. Come una condanna il giorno seguente ritorna e mi strappa la vita. Vorrei potere fare qualcosa, ma la volontà è impotente. Oltrepassa le mie difese, s'insinua nei miei neuroni e li addomestica al suo volere. Ed io sono una marionetta, pilotato dalle sue voglie. Un corpo disumanizzato che non ha motivo di essere se non quello di seguire i suoi desideri. Illuso. Sono un illuso se penso di sottrarmi a questa tortura. Le sono sottomesso, un inutile pezzo di carne senza anima.
Stavolta mi ribello, lo voglio, lo desidero, non può possedermi così, senza che io faccia nulla. Mi scuoto dal torpore, dal calore familiare ma foriero di morte che lei mi dà. Esco, l'aria fresca mi aiuterà. Gente, c'è gente la in fondo, forse potrei parlare con loro per scrollarmela di dosso. Corro, cado, mi rialzo, corro ancora. Non c'è nessuno.
Mi rifugio in casa, sprango le porte, non sarà il legno a tenerla alla larga. Chiudo lo stesso tutto, salgo le scale, sul letto, la testa sotto il cuscino come quando ero piccolo e i tuoni mi terrorizzavano. Lei è lì, mi aspetta, la sento. Mi prende. Sono suo. Come se non avessi provato odio per lei pochi secondi prima, ora ci apparteniamo. Uniti per la morte. Non sono più io, sono lei. Non ho più volontà, solo movimenti, solo muscoli e ossa ma niente nervi, niente sinapsi, niente controllo.
Mi alzo e mi vergogno della mia paura. Ora sono con lei e lei mi dirà cosa fare, cosa è giusto e cosa non lo è. L'oblio è a un passo. Un'umida coperta tiepida mi avvolge.
Il senso di pace dura poco, mi riappare la stanza gelida, la montagnola bianca di cocaina sul tavolo di legno.
Ho male alla testa.
Piango.