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82, Washington Road (Episodio 5)
Nell'umidità della sera, fantasma tremolante che invadeva l'intera città, Sarah Venkman e Jake Sanders camminavano nelle strade deserte come anime perse. Esaurita la scarica di adrenalina erano diventati entrambi preda dello sconforto, ora che la mostruosità che era emersa dal professor Finnies faceva capolino nei loro ricordi sfidando ogni certezza riguardo a ciò che può esistere e ciò che mai dovrebbe, ora che le parole dei misteriosi uomini in nero aprivano scenari inaccettabili e tremendi, ora che erano sopravvissuti ad una gigantesca esplosione e altro non desideravano che svegliarsi da quell'incubo troppo concreto.
Avevano deciso di non tornare a scuola, temendo che altri esseri potessero celarsi al suo interno, e di non andare alla polizia, come pure sarebbe stato giusto fare, perché nessuno avrebbe mai creduto ad una simile storia, tantomeno se raccontata da due adolescenti. Era meglio tornare a casa, si erano detti, dove potevano trovare un po' di comprensione o, almeno, un po' di rassicurante calore. Sebbene casa sua fosse più vicina, Sarah aveva insistito che andassero entrambi a casa di Jake, vincendo l'incertezza del ragazzo con uno sguardo severo ed uno strattone violento.
Casa sua, se così poteva chiamarla, era una roulotte arrugginita parcheggiata in un deposito di decine di altre roulotte altrettanto arrugginite; da che i suoi genitori erano morti in un incidente vi abitava con suo zio, suo tutore legale, che ogni sera si ubriacava, la picchiava e la violentava, brevi sfoghi di bestialità che erano sufficienti a rendere la sua giovane vita un incubo. Viveva lì da quattro anni e ormai aveva sviluppato delle difese, era diventata abbastanza forte da respingerlo quando era parecchio sbronzo, aveva preso l'abitudine di non rientrare fino a tardi, sperando che lui crollasse prima, e si era chiusa in se stessa, dove il mondo crudele ed ingiusto non poteva raggiungerla.
Non aveva difese, però, da creature demoniache come quella che si era trovata davanti prima, perciò era rimasta immobile e sarebbe di certo morta se Jake non l'avesse portata via con la forza. Lo aveva sempre giudicato un debole, un ragazzino fragile che si fa mettere i piedi in testa, ma in quel momento le loro parti si erano rovesciate e così poco dopo, quando si erano nascosti nel tubo di cemento per salvarsi dall'esplosione, si era lasciata abbracciare, dapprima irrigidendosi come quando a toccarla era suo zio, poi rilassandosi e cercando il contatto quando aveva avvertito la delicatezza di quel gesto.
Ora camminavano a qualche passo di distanza, in un silenzio rotto solo da sporadici suoni che emergevano dalla città insolitamente quieta. Le distanze tra loro erano ristabilite, ed i loro ruoli erano tornati quelli di prima.
<<Ci siamo>>, disse Jake senza voltarsi a guardarla.
Suonò il campanello due volte senza ottenere risposta, dunque entrò chiamando sommessamente i genitori. Abitava in una villetta con un grazioso prato sul davanti. Una casa vera, giudicò Sarah senza particolare invidia, una di quelle con le porte sempre aperte, segno che chi vi abita si fida ciecamente del mondo.
C'era un po' di disordine, all'interno, appena un po' ma piuttosto strano: vasi ridotti in cocci, quadri staccati dalle pareti e con le tele strappate, un mobiletto all'ingresso sfondato come se fosse stato preso ripetutamente a calci. Jake le rivolse un'alzata di spalle, come a volersi scusare, ed avanzò verso quello che doveva essere il soggiorno. Il televisore era acceso e di fronte ad esso un uomo sedeva in poltrona con le braccia abbandonate oltre i braccioli come se si fosse addormentato di colpo.
<<Papà?>> chiamò Jake. <<Pa...>>
Sarah lo vide sbiancare come mai nessuno prima e lesse nei suoi occhi un orrore che da solo metteva i brividi. Avanzò anche lei e vide quel che lui vedeva: l'uomo aveva occhi e bocca spalancati e del suo torace non rimaneva che un grosso foro sanguinante. Trattenne un conato di vomito, mentre Jake si avviava a passo svelto verso la cucina senza aver mutato espressione né aver detto una parola. Sarah non si illuse che al padre del ragazzo fosse capitato qualche grottesco incidente domestico, seppe immediatamente che era opera di una cosa simile a quella che aveva divorato Double T, e realizzò che poteva trovarsi ancora in casa.
Un grido che somigliava a un ringhio attirò la sua attenzione dalla cucina, perciò si affrettò a seguire le orme di Jake giusto in tempo per trovarlo con le mani protese ed un'espressione implorante sul volto. <<Mamma>>, piagnucolava disperato, <<sono io, Jake.>>
Ma della donna restava ben poco, sostituita da un abominio con artigli e zanne che spillava sangue dai pori come se si stesse liberando dei resti umani espellendoli con la forza. Nulla, in quel mostro, dava ascolto alle parole del ragazzo, e negli occhi accesi di sadica follia si scorgeva una famelica intenzione. Mentre Jake implorava ancora, la creatura fece per attaccare, ma Sarah stavolta non si lasciò bloccare, impugnò un lungo coltello da carne e lo piantò con tutta la forza che aveva nella tempia del mostro, sbilanciandolo e facendolo cadere sul lavandino. Notando dei residui sussulti di vita, non si fermò e gli piantò in corpo tutti i coltelli che trovò nel ceppo con furia e ferocia, sorprendendosi per un istante a pensare che lo stesse facendo a suo zio ma rigettando subito quel sadico pensiero. Quando fu certa di aver terminato l'opera si arrestò e rivolse lo sguardo a Jake, che ancora tendeva le mani e la fissava come se il mostro fosse lei.
<<Tu...>>, mormorò a fatica. <<Tu... hai ucciso mia madre.>> Lei scosse la testa e fece per prendergli le spalle per riportarlo in sé, ma le sue mani erano fradice di sangue, sangue di sua madre. <<L'hai uccisa, l'hai uccisa, l'hai uccisa!>>
In preda al panico ed alla disperazione, lasciò la cucina e corse fuori di casa. Sarah, scossa dall'accusa nonostante la consapevolezza di aver fatto l'unica cosa che c'era da fare, lo inseguì chiamando il suo nome.
<<Jake! Jake!>>
Nella nebbia che si addensava riusciva appena a scorgerlo, ma vide chiaramente quando delle braccia lo afferrarono trascinandolo in un vicolo. Si arrestò col fiato bloccato in gola, temendo che altri mostri fossero emersi dall'oscurità e l'avessero preso. Mentre si chiedeva cosa fare si sentì afferrare a sua volta, lottò scalciando e urlando, ma fu sopraffatta dalla forza degli aggressori e venne trascinata via, nel buio.
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- Anch'io devo fare mente locale quando scrivo un nuovo episodio, Ste, in effetti la serie si allunga e tenere insieme cose scritte a parecchia distanza l'una dall'altra non è semplice, però è divertente!!
Comunque hai visto che anche dopo un po' di tempo hai trovato tutto com'era, comprese le mie descrizioni!!
Welcome back, allora.
- Come ho già detto a Robi, eccomi di ritorno dopo una lunga (già, davvero lunga ) assenza. Dovrò tirarmi in pari con gli episodi e nel frattempo questo l'ho letto... ammetto di essere stato obbligato a tornare indietro per radunare le idee, ma ora tutto torna.
Sull'episodio niente da dire... come al solito scrittura esemplare, povera di dialoghi ma ricca, molto ricca; le descrizioni che fai sono ottime!!!
- Ahahahah!!! Tra l'altro, io ero al mare fino a qualche giorno fa e avevo perso i contatti con Internet, ma "Lost" l'ho visto (ci mancherebbe il contrario) e quindi dobbiamo aggiornarci sulle scorse puntate: e che puntate!
V - Linoge!!! Ormai lo sai che sono io quella che adora gli spargimenti di sangue! Quindi... fatevi sotto, mostri!!!
Bene! Allora attendo un tuo parere su "Empatia"!
Ciao!!!
- Ok, credo di aver esagerato giusto un pizzico con quel paragone...
Comunque grazie di essere passata a Washington Road e, mentre te ne vai, guardati le spalle... Leggerò il tuo racconto, alla prossima, ciao!!
- Stavo attendendo la pubblicazione del mio nuovo racconto quando ho visto il tuo sesto episodio. Ho così realizzato che ne avevi scritto un quinto che non avevo ancora letto.
E siccome in passato è stato detto che saltare un episodio di "82, Washington Road" è come perdersi una puntata di "Lost", eccomi qua!
Decisamente scorrevole e ben costruito: bravo!
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